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Vaticano, un pellegrinaggio per San Giosafat

La tomba di San Giosafat nella Basilica di San Pietro

Se c’è una Chiesa greco-cattolica, di rito bizantino, ma fedele a Roma, lo si deve a lui. È per questo che San Giosafat è sepolto in Vaticano. Ed è per questo che, il prossimo 25 giugno, i fedeli greco cattolici sono attesi numerosi per un pellegrinaggio che lo celebrerà.

Si parla di almeno 5 mila persone provenienti dall'Ucraina, guidati dall’arcivescovo maggiore dei Greco Cattolici di Ucraina Sviatoslav Shevchuk.

Per l'occasione, si terrà una divina liturgia presso l'altare della Confessione, nella Basilica di San Pietro. Come successe nel 2013, quando il 25 novembre venne lo stesso numero di persone per celebrare il cinquantenario della traslazione di San Giosafat nella Basilica. E, come nel 2013, ci si aspetta che Papa Francesco faccia almeno un saluto ai fedeli greco-cattolici.

La presenza di San Giosafat nella Basilica vaticana ha un valore fortemente simbolico. Avvenne durante il Concilio Vaticano II, quando - su disposizione di Paolo VI - il corpo di San Giosafat Kucenwycz, arcivescovo di Polock e protettore dell’Ucraina, martire, venne così sistemato nella Basilica di San Pietro, sotto l’altare di San Basilio Magno, alla cui regola San Giosafat aveva dedicato tutta la vita

Forse non è un caso che la tomba si trova non lontano da quella che era la tomba di San Giovanni XXIII. Fu Papa Roncalli a decidere l’ubicazione del vescovo, che lui conosceva bene dalla sua esperienza di delegato apostolico in Turchia, Grecia e poi Bulgaria.

Se la decisione era stata presa da San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI la portò poi a compimento. E anche qui, i significati simbolici non devono essere sottovalutati: il 22 novembre 1963, mentre al Concilio si discuteva di ecumenismo, il corpo di San Giosafat fu portato accanto alla tomba di San Pietro. Quindi, il 25 novembre venne officiato un rito bizantino in onore di San Giosafat, alla presenza di Paolo VI, di quattro cardinali, alcuni patriarchi orientali e della gerarchia ucraina guidata da monsignor Josip Slipy, che fu poi creato cardinale nel 1965.

L’omelia del Cardinale Gustavo Testa, allora segretario della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, ricapitolava il percorso che aveva fatto la salma del santo. Dopo il martirio, il suo corpo era stato gettato nel fiume Dvina, ma poi era stata “miracolosamente ritrovata, poi insidiata” e quindi, fu “finalmente raccolta a Vienna, nella chiesa di Santa Barbara, da Andrea Szeptychyj, metropolita di Leopoli”. La salma era continuamente insidiata, e già nel 1949 la salma fu portata a Roma, su ordine di Pio XII. Ad accoglierla e prenderne custodia fu monsignor Giovan Battista Montini, sostituto alla Segreteria di Stato, che sarebbe diventato Paolo VI.

Sono coincidenze della storia cariche di significato. Ma chi era San Giosafat?

Nato a Volodymir, in ucraina, intorno al 1580, battezzato con il nome di Giovanni, si trovò nel mezzo delle lotte tra ortodossi e uniati. La diocesi di Polock, infatti, si trovava in Rutenia, una regione che dalla Rus di Kiev era passata in parte sotto il dominio di Sigismondo III, re di Polonia. I polacchi erano cattolici-romani, i ruteni erano greco-ortodossi.

San Giosafat entrò a venti anni nell’ordine di San Basilio, nel monastero della Santissima Trinità a Vilna. Lì assistette alle lotte tra uniti e ortodossi separati, e si orientò ben presto per la Chiesa unita. Visse per alcuni anni da eremita, scrisse delle opere per dimostrare l’origine cattolica della Chiesa rutena e il fatto che la Chiesa rutena era sin dall'inizio in comunione con la Chiesa di Roma.

Promosse la riforma dei monasteri di rito bizantino e il celibato del clero. E promosse l'unità delle chiese, mantenendo riti e sacerdoti e ortodossi, ma ristabilendo l’unione con Roma.

Così, dopo un primo atto di sottomissione al Papa (dicembre 1595), le Chiese rutene della metropolia di Kiev proclamarono quasi unanimi l’unione con Roma nel sinodo di Brest-Litovsk del 6-10 ottobre 1596, anche se la diocesi si unì a Roma solo nel 1700, dato che il vescovo di Lviv inizialmente aveva rifiutato di sottoscrivere l'unione.

È questa la Chiesa “uniate”, parola che poi è stata utilizzata in senso dispregiativo, specialmente con riferimento alla Chiesa greco-cattolico ucraina, che – dopo l’accorpamento forzato alla Chiesa ortodossa russa con lo pseudo-sinodo di Lviv nel 1946 – è tornata alla Chiesa cattolica alla fine del dominio sovietico.

San Giosafat rappresenta dunque il simbolo di una unione con Roma mai venuta meno. Fu vescovo di Vitebsk e poi di Polock. Proprio a causa di questo lavoro in favore dell'unità, fu ucciso il 12 novembre 1623, e il suo corpo buttato nel fiume Dvina e poi recuperato e portato a Polock. Dichiarato beato da Urbano VIII nel 1643, il suo corpo fu spostato a Bila perché lo zar Pietro il Grande aveva ordinato di bruciarlo.

Nel 1863, la polizia zarista lo murò sotto il pavimento della chiesa, e quando fu proclamato santo, nel 1867, ancora non si sapeva l’ubicazione del corpo. La cassa fu ritrovata solo nel 1916, quando fu trasportata a Vienna, prima nella chiesa di Santa Barbara, e poi nascosta nei sotterranei di Santo Stefano. Quindi, nel 1949, l’Urna di San Giosafat fu trasportata finalmente in Vaticano.

E lì che i pellegrini della Chiesa greco-cattolica, sempre rimasta fedele a Roma, verranno a onorarlo. E chissà che il Papa, che da un ucraino, padre Chmil, ha imparato il rito orientale, e che conosce bene la situazione dell’Ucraina tanto da aver lanciato una iniziativa straordinaria per alleviare la popolazione dal conflitto, non colga l’occasione per fare un saluto.

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