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Gesù, l'unica possibilità di accedere a Dio. V domenica del tempo di Pasqua

Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel brano di Vangelo sono state enunciate nel cenacolo il giovedì santo, durante l’ultima Cena.

Il contesto nel quale Cristo le pronuncia è drammatico: ha appena rivelato il nome di colui che lo tradirà e questi si è allontanato nella notte, poi annuncia la sua “partenza” e precisa che i suoi amici non potranno seguirlo ed infine predice il rinnegamento di Pietro. I discepoli sono angosciati e terrorizzati perché percepiscono che gli eventi annunciati da Gesù avranno conseguenze drammatiche per la vita del loro Maestro e per lo stessi.

Gesù, sempre colmo di attenzioni e di premure verso i suoi, per aiutarli ad affrontare con serenità e fiducia i futuri avvenimenti, li invita a volgere i loro occhi e il loro cuore su Dio e su di Lui: Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me. Gesù, in altre parole, chiede ai suoi discepoli di avere verso di Lui la stessa fede che hanno nei confronti di Dio. Ma chi è costui per avere il coraggio di parlare in questo modo? Come può farsi simile a Dio?

Gesù nella sua vita terrena ha sempre parlato del Padre suo che è nei cieli. Egli afferma che suo cibo è fare la volontà del Padre e dichiara senza ambiguità la sua origine divina. Per questo motivo quando parla della sua morte la presenta e la considera sempre come un “ritorno a casa”, dove Qualcuno che Egli ama e dal quale si sente amato lo attende. Il Padre appunto, di cui ha assoluta consapevolezza di essere Figlio e quindi di partecipare della sua stessa natura divina.

Per questo motivo le parole che Egli rivolge ai suoi discepoli sono parole di una tenerezza incredibile, in quanto manifestazione dello stesso amore che il Padre nutre per Lui. Egli dice loro che va a preparare un posto e poi tornerà a prenderli con sé perché ha un solo desiderio: “dove sono io, siate anche voi”. Ci viene svelato il vero volto di Dio. Dio, che è  il Totalmente diverso da noi, l’inaccessibile è anche il Dio vicino, è un Padre che nell’Unigenito suo Figlio si fa carico delle nostre angosce e sofferenze, ci consola con la sua amicizia fino a desiderare di renderci partecipi delle sue prerogative divine. La meta dell’umano, allora, non è nell’umano, ma in Dio. Il cristiano non è uno spaesato, un vagabondo privo di meta.

Il cristiano sa che alle domande cruciali che ogni uomo si porta nel cuore - “Dove stiamo andando? Qual è lo scopo della vita? Cosa c’è dopo la morte?”- c’è una risposta. Noi siamo incamminati là dove è Gesù, cioè nella casa del Padre. “La visione del Padre è il fine di tutti i nostri desideri e di tutte le nostre azioni”.

Si capisce così la domanda di Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. A questa richiesta Gesù risponde in una maniera provocatoria. Egli dichiara che lui è l’apparizione, il volto del Padre. Egli è nel Padre e il Padre è in Lui. Egli è la Via che conduce al Padre. Conseguentemente il cristiano non solo sa qual è la meta della propria vita, ma conosce anche la strada per giungervi e questa è Cristo stesso.

In conclusione. C’è stato un uomo, Gesù di Nazareth che è vissuto 2000 anni fa in uno sperduto villaggio dell’Impero romano, un uomo che aveva degli amici, che mangiava e beveva come tutte le persone, che si stancava e piangeva, che è morto di una morte atroce che, tuttavia, si è presentato con una pretesa incredibile: egli è l’unica possibilità per l’uomo di accedere a Dio perchè si è qualificato come il Figlio di Dio.

Sul riconoscimento di questa prerogativa divina sta tutto il cristianesimo. Gesù, infatti, è stato condannato non per le opere buone che ha compiuto e che tutti, ieri come oggi, riconoscono, ma perché si è fatto uguale a Dio. Una pretesa scandalosa che obbliga l’uomo a prendere una posizione netta nei suoi confronti.

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