Fabriano, 31 March, 2017 / 12:00 AM
‘Ora et labora...’ è la regola benedettina per rendere gloria al Signore, ma a Fabriano, uno dei luoghi danneggiati dal terremoto del 30 ottobre scorso, è divenuto anche un ‘motto’ per rinascere dalle macerie del sisma.
Il monastero benedettino di santa Margherita è situato nel centro storico della città, vicino alla cattedrale di san Venanzio: esso è un edificio maestoso e spartano, già danneggiato dall’evento sismico del 1997 e riparato grazie alla forza di volontà di tutta la città; esso è abitato da 14 monache guidate dalla badessa, madre Lucia.
L’attuale terremoto ha lasciato segni pesanti non solo alle strutture cittadine, ma soprattutto negli animi dei suoi abitanti. Ed anche il monastero ha subito danni gravissimi, tantochè la comunità monastica aveva avuto inviti a spostarsi in altri monasteri, situati a Perugia ed Assisi; sarebbe stato un abbandono della città in quei momenti difficili, come ha spiegato suor Emanuela: “Abbiamo deciso di comprare le impalcature da sistemare all’interno, essenziali per proteggerci dal pericolo di crolli dei soffitti, che presentavano crepe impressionanti. Ci sono arrivati aiuti da tutta Fabriano e anche da fuori. Abbiamo avvertito una solidarietà che non immaginavamo. E poi la gente che ci ha aiutato a montare i tubi, le tavole, con guida sicura e certificata. Questa esperienza ci ha unite, fortificate. Ora possiamo dire di essere serene”. Questa decisione ha dato fiducia alle famiglie della città, che non si sono sentite abbandonate, come ha scritto il vescovo della diocesi di Fabriano-Matelica, mons. Stefano Russo: “Abbiamo visto che la decisione di questa comunità di non abbandonare la città è stata un’iniezione di fiducia e ottimismo”.
A loro abbiamo chiesto di raccontarci come vivono questa situazione post sisma: “Con fiducia, ripetendo con san Paolo: ‘scio cui credidi’ (so a chi ho creduto, dalla seconda lettera a Timoteo,ndr); mettendo in atto, secondo le nostre possibilità, ciò che ci può ridare serenità e cercando di non bloccare le quotidiane attività ordinarie della comunità. Manutenzione, consolidamento e messa in sicurezza sono sicuramente le cose che abbiamo cercato di fare, in attesa di poter riparare più a fondo le parti rovinate, tenendo però lo sguardo ed il cuore non solo rivolti ai muri, ma prima di tutto a Dio e poi anche alle persone e alle cose materiali”.
Allora in quale modo si può vivere la speranza oltre il terremoto?
“Nella preghiera di consacrazione monastica noi diciamo: ‘Accoglimi Signore secondo la tua Parola e avrò la vita, non deludermi nella mia speranza’. Tra le speranze che l’umanità coltiva noi cerchiamo di vivere prima di tutto la speranza come virtù teologale per credere in Dio al quale nulla è impossibile e rimanendo fedeli ai nostri impegni monastici. San Giovanni Paolo II ha detto che nella perseveranza si sprigiona la speranza e san Paolo dice che la speranza non delude; allora restando fedeli al nostro impegno vocazionale e intercedendo nella preghiera per tutti, cerchiamo di reagire all’inerzia, alla sterile attesa che tutto ci deve essere dovuto dalle Istituzioni, alla tentazione di stallo, mettendo in atto -sempre confidando in Dio, azioni di resilienza quali la preghiera, il silenzio, il lavoro, la creatività, il servizio reciproco, la condivisione”.
Perché avete deciso di non abbandonare il convento?
“Perché riteniamo che i motivi per restare qui siano superiori a quelli di andare altrove. Il monastero è stato molto danneggiato dal terremoto del 1997 e in parte riparato, ora è altrettanto danneggiato dai recenti terremoti di agosto e ottobre 2016 e sequenza sismica, ma finché ci è consentito di svolgere la nostra vita monastica dentro il monastero, messo in parte in sicurezza, non abbiamo motivo di abbandonare un edificio che da oltre 600 anni ospita una comunità orante al centro della città; né ci sentiamo di privare la chiesa Diocesana e la città della nostra presenza orante. Diceva Thomas Merton a proposito della vita monastica che essa scorre silenziosa e nascosta nel cuore del mondo e nel tempo come le acque di Siloe e come il chicco di grano di cui Dio stesso si prende cura e fa crescere in modo che egli stesso non lo sa”.
Quindi una comunità monastica orante nel centro della città: ma quale è effettivamente il ruolo delle consacrate nella Chiesa?
“Innanzitutto rendere gloria a Dio ed essere di aiuto ai fratelli. Nel recente Documento sulla ricerca del Volto di Dio, la Chiesa descrive il ruolo dei consacrati con alcune immagini bibliche molto significative: Come il marinaio in alto mare ha bisogno del faro che indichi la rotta per giungere al porto, così il mondo ha bisogno di voi. Siate fari, per i vicini e soprattutto per i lontani. Siate fiaccole che accompagnano il cammino degli uomini e delle donne nella notte oscura del tempo. Siate sentinelle del mattino....che annunciano il sorgere del sole... Con la vostra vita trasfigurata e con parole semplici, ruminate nel silenzio, indicateci Colui che è Via, Verità e Vita..., l’unico Signore che offre pienezza alla nostra esistenza e dona vita in abbondanza... Gridateci come Andrea a Simone: ‘Abbiamo trovato il Signore’....; annunciate, come Maria di Magdala il mattino della risurrezione: ‘Ho visto il Signore!’ ...Tenete viva la profezia della vostra esistenza donata. Non abbiate timore di vivere la gioia della vita evangelica secondo il vostro carisma”.
In quale modo poter annunciare la gioia della Resurrezione in luoghi dove la gente è stanca?
“Cercando di portare e offrire Gesù come Colui che solo può darci quella gioia che nessuno può togliere, la gioia che ridona fiducia allo sfiduciato, forza e vigore allo stanco. Noi lo facciamo restando qui dove siamo, attraverso il nostro ritmo di vita monastica dell’ ‘Ora, Labora et Lege’; aprendo la porta a chiunque desideri partecipare alla nostra preghiera per attingere la Gioia che è dono dello Spirito alla stessa fonte da cui anche noi stesse attingiamo. Gesù stesso ha detto: ‘Senza di me non potete fare nulla’, perciò ci offriamo a Lui e offriamo Lui alla gente. La gioia è una virtù pellegrina ha detto papa Francesco ai consacrati, nel senso che deve camminare con noi, sempre annunciandola con lo stile di vita del proprio carisma; il nostro ‘benedettino’ è sintetizzato nel ‘nulla anteporre all’Amore di Cristo’”.
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