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La vera sete è la nostra: terza Domenica di Quaresima

I capitoli tre e quattro del Vangelo di Giovanni ci raccontano l’incontro di Gesù con Nicodemo, che incarna il giudaismo ortodosso; con La samaritana, che incarna il giudaismo scismatico; con Il funzionario del re (4. 43-54), che incarna il mondo pagano. Tre episodi che vogliono sottolineare una sola verità: tutti sono chiamati a incontrare Cristo. Nessuno è escluso dalla salvezza a causa della religione o della razza.

La scena dell’incontro con la samaritana, il brano di oggi, si svolge presso un pozzo.

Questa pagina evangelica è stata definita “una delle più umane e più belle del IV Vangelo” (de La Potterie). Ha sempre toccato i cuori degli scrittori (Mauriac, Ricciotti, Guardini, Papini) e dei pittori perché è una storia d’amore, dove è presente uno Sposo (Cristo) che viene da lontano per cercare la sua Sposa (l’umanità) che lo aveva abbandonato e che finalmente ritrova.

Per questi motivi “la pagina di San Giovanni lascia in tutti quelli che l’hanno letta e meditata una impressione indimenticabile” (Mollat).

Sono state date diverse interpretazioni di questo brano:

  • Una interpretazione psicologica e pastorale: Gesù insegna come parlare ad un peccatore per portarlo alla conversione;
  • Una interpretazione sacramentale: l’acqua viva sarebbe il Battesimo; il cibo di cui parla Gesù nei w 31-34 indicherebbe l’Eucarestia;

L’episodio, in realtà, rivela in maniera progressiva chi è Gesù e che cosa significa credere.

Nel racconto evangelico appaiono due significative parole “dono di Dio” e “sete”. Per un ebreo il dono più prezioso fatto da Dio al suo popolo è la legge di Mosè. Anche il Prologo del vangelo ricorda questa tradizione: “la legge fu data tramite Mosè”, ma “la grazia della verità avvenne per mezzo di Gesù Cristo” (v.17). Con la venuta di Cristo il dono di Dio per eccellenza non è più la Legge, ma Cristo rivelazione di Dio, nel quale ogni uomo che lo accoglie diventa a sua volta figlio di Dio.

Credere, allora, significa “volgersi” a Gesù Cristo, incontrarlo, accorgersi della sua presenza e percepire che egli ci ha aspettato per arricchirci del suo dono, che altro non è che Lui stesso.

Eutimio, scrittore bizantino, commentando il versetto “Se tu conoscessi il dono di Dio”, scrive: “egli diceva questo di stesso, egli che a poco a poco, stava per manifestarsi alla donna”. Il dono di Dio è dunque la conoscenza profonda delle parole e del mistero di Gesù Cristo.

Appare evidente allora che la sete di Gesù è in realtà la sete di dare a questa donna se stesso. Lo mette in grande evidenza anche il prefazio di questa III domenica di Quaresima/A:

“Egli chiese alla samaritana l’acqua da bere,

per farle il grande dono della fede.

E di questa fede ebbe sete così ardente

da accendere in lei la fiamma del tuo amore”.

Tuttavia, la chiave per interpretare la sete di Gesù si trova in Gv. 19.28-37, dove Cristo morente sulla croce grida: “Ho sete”.

Che valore attribuire a questa sete? Essa ha un significato fisico e spirituale.

La sete di Gesù a livello spirituale esprime il suo desiderio della salvezza dell’umanità. E’ la sete di chi vuole attirare a sé le anime e donare loro la pienezza della vita. Questa interpretazione si è fatta strada soprattutto con la teologia monastica, in particolare S. Bernardo.

Scrive un autore: “Stando alla lettera, Cristo ha avuto sete corporalmente…nel senso spirituale, tuttavia, egli aveva una sete ancor più bruciante della nostra salvezza, per la quale aveva tutto fatto e tanto sofferto” (Dionigi il Certosino).

I veri bisognosi in realtà siamo noi. Gesù ha tutto da donare, noi tutto da ricevere.

 

 

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