Città del Vaticano , 24 February, 2017 / 9:00 AM
È sempre una bella esperienza parlare con Sua Beatitudine Ignace Youssef III Younan, Patriarca siro-cattolico di Antiochia. Il sorriso e l’amabilità non nascondono un pensiero lucido e deciso sulla situazione gravissima dei cristiani in Medio Oriente, soprattutto in Iraq, Siria. Cristiani che fuggono dalla persecuzioni dei fondamentalisti e dalla guerre. Cristiani, cattolici, che non riescono neanche a trovare una nuova casa in Libano, perché nel paese non c’è una legge per i rifugiati.
Ieri sera, nella sede dell'Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, in occasione della campagna mediatica #StandTogether, il Patriarca si è intrattenuto con i giornalisti.
La prima questione da affrontare è come far sì che i cristiani non debbano fuggire dalla loro terra.
Si deve creare un ambiante accogliete e pacifico perché possano tornare. Sono fuggiti perché sono minacciati, perseguitati e non hanno più niente. Il problema essenziale per l’ Occidente allora è evitare l’opportunismo. Ogni paese va a cercare trattative commerciali, e va evitato, e poi va evitato il paternalismo.
Certo la regione ha molte “malattie”, ma è più un problema politico internazionale o i popoli stessi, i cristiani, potrebbero prendere in mano il loro destino?
In Medio Oriente questo è praticamente impossibile. Basti pensare alla guerra in Libano: i cristiani erano in numero simile agli islamici, eppure è stata una catastrofe per tutti ma specialmente i cristiani perché non potevano trovare una soluzione. E negli altri paesi è impossibile, perché i cristiani sono piccole minoranze. Come ad esempio in Egitto. I Copti sono solo 10 milioni su 80, e per loro è difficilissimo avere un deputato. Sono le moschee che dirigono le elezioni. Allora noi possiamo solo cercare di vivere in pace, ma abbiamo bisogno di interventi dalla famiglia delle nazioni, per dire a certi popoli: vivete nel XXI secolo, non nel VII. E ci vuole una politica unica di fronte alla questione.
E rapporti con le comunità islamiche?
Le relazioni sono buone a livello formale, politico e diplomatico. Si ci incontriamo, ora c’è il congresso ad Al- Azhar, ci sarà un rappresentante della Chiesa siro-cattolica, ma la cosa importante è sapere che noi siamo oppressi dal fondamentalismo dell’Islam radicale che riceve fondi e aiuti finanziari. Allora che fare? Speriamo che l’Europa si risvegli e trovi una soluzione adeguata.
E l’incontro ad al-Azhar che importanza ha?
Lo abbiamo fatto altre volte, si è un modo di far vedere al mondo che sono aperti. Ma nella università si insegnano delle lezione che usano i versetti come sono. Alcuni sono tolleranti, altri molto meno. E questo si vede anche dall’indottrinamento avuto per esempio che hanno subito gli assassini di padre Hamel. É una situazione molto difficile. Anche al-Azhar deve riformarsi. Ci sono dei musulmani che sono fuori dal Medio Oriente che dicono appunto questo, che bisogna cambiare. E l’incontro del Papa con lo sceicco di Al- Azhar è un passo diplomatico”.
Qual è la vostra preoccupazione?
Come convincere i giovani a tornare nelle loro terre natali. Speriamo che pace e riconciliazione e la stabilità tornino presto. Il problema è che ci sono agende geopolitiche che non capiamo. E la nostra gioventù sta perdendo speranza. Non si sa davvero quando poter tornare. Dopo la liberazione della piana di Ninive sono andato in visita e ho visto che le chiese erano state incendiate. Solo le chiese cristiane. Le città cristiane devastate. Allora la gente non pensa di poter tornare senza una presenza governativa forte. Allora cercano di andare soprattutto in Australia, Canada e Svezia.
Sarebbe utile una visita del Papa?
Noi saremmo felici ovviamente se il Papa ci visitasse, ma vogliamo dei fatti che possano rassicurare i nostri. C’è una differenza molto grande tra una visita in paesi come i vostri e la nostra situazione.
E allora che può fare la diplomazia vaticana?
Sta facendo, ma non è ancora sufficiente. Nel sinodo del 2015 ho proposto che la Santa Sede organizzi un incontro dei leader delle grandi potenze e delle Nazioni Unite per decidere una politica comune. Per dire: tutte le nostre comunità cristiane che hanno le loro origini in quella parte del mondo sono in pericolo di scomparire, dovete fare qualcosa e non solo i vostri interessi.
#StandTogether è una piattaforma digitale, inclusiva ed ecumenica, creata per dare voce a tutti i cristiani che vivono in situazioni di discriminazione o persecuzione. Il progetto nasce dall’incontro tra diverse istituzioni interessate a rafforzare una cultura del dialogo e della pace, uno spazio comune a tutti questi soggetti per valorizzarne il lavoro e amplificarne la voce. Il portale nasce dalla cooperazione tra il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, Associazione Amici di Rome Reports, Fundación Promoción Social de la Cultura e Associazione ISCOM, ideatori del progetto.
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