Hong Kong, 20 February, 2017 / 10:00 AM
Non è passato inosservato l’articolo che il Cardinale John Tong Hon, arcivescovo di Hong Kong, ha pubblicato nei giorni scorsi. L’articolo è il secondo del Cardinale, impegnato nello spiegare la difficile mediazione della Santa Sede con il governo cinese per quanto riguarda la nomina dei vescovi. L’accordo è dato per imminente, ma la realtà sembra invitare ad una maggiore prudenza.
Di certo, l’idea dell’accordo non piace a molti dei cattolici in Cina. Il Cardinale Joseph Zen, il predecessore del Cardinale Tong, più volte è sceso in campo, chiedendo di non scendere a patti con la Cina e di chiedere il rispetto della libertà religiosa, nonché di far valere il principio che il Papa è l’unica autorità chiamata a scegliere i vescovi sul territorio. Ed anche Liu Banian, il "padrino" dei cattolici di Cina (è presidente onorario dell'Associazione Patriottica), ha dato recentemente una intervista al South China Morning Post criticando l'articolo del Cardinale Tong, con argomentazioni speculari e allo stesso tempo diverse da quelle del Cardinale Zen.
E' probabilmente questo clima di incertezza che ha portato il Cardinale Tong a prendere carta e penna per la seconda volta. Il Cardinale scrive che “l’accordo Sino-Vaticano sulla nomina dei vescovi sarà la croce del problema e una pietra miliare del processo di normalizzazione delle relazione tra le parti”. Ma – aggiunge – questa “non è assolutamente la fine della storia”, dato che sarebbe “irrealistico, se non impossibile, aspettarsi che i problemi si risolvano nel giro di una notte.
In sintesi, il Cardinal Tong ha sostenuto che il governo cinese ha deciso di riconoscere finalmente il Papa come la suprema autorità della Chiesa, e che il Papa avrà potere di veto su tutti i candidati all’episcopato che non considera adeguati. Il Cardinale ha anche spiegato che la Associazione Patriottica, ovvero l’associazione controllata del governo che regolamenta la Chiesa ufficiale, nel momento in cui perderà il potere di “eleggere” vescovi diventerà un semplice “corpo volontario” cui i vescovi possono libereamente affiliarsi. E poi ha mostrato un certo ottimismo riguardo la riconciliazione con 7 vescovi illeciti (nominati senza il consenso del Papa) e sul riconoscimento dei vescovi della Chiesa clandestina.
Come funzionano le cose? La Chiesa patriottica in Cina sceglie i propri vescovi dopo una sorta di elezione locale, che tutti sanno essere condotta sotto controllo statale. La Santa Sede potrebbe accettare questo processo se allo stesso tempo il governo cinese accetti che ogni proposta deve poi essere approvato dal Papa. È un periodo che i diplomatici vaticani definiscono come “il momento delle tre scimmie: non vedo, non sento e non parlo”. In pratica, si accetta una sorta di processo elettorale farsa per avere una base di dialogo e rivendicare l’autorità del Papa.
Come funzionerà il tutto, lo ha spiegato il Cardinale Tong. Il quale ha scritto che “secondo la dottrina la più alta autorità nella nomina dei vescovi”, e questo significa che “le elezioni delle Chiese locali e le raccomandazioni delle Conferenze Episcopali saranno semplicemente delle raccomandazioni”, e l’Associazione Patriottica, da un organo del governo, diventerà semplicemente un organismo volontario, lasciando da parte quella definizione di Chiesa “indipendente, autonoma, autogestita” che è inaccettabile per la Chiesa, come ha fatto notare già Benedetto XVI nella lettera inviata ai Cattolici Cinesi nel 2007.
Sebbene il Cardinale Tong riempia il suo articolo con un certo ottimismo, la situazione è più complessa. Tutti i vescovi ufficiali sono tenuti ad iscriversi all’Associazione Patriottica. Ad esempio, il vescovo Taddeus Ma Daqin, che ha osato dimettersi dall’Associazione, è stato subito messo agli arresti domiciliari, e poi, una volta riammesso, è rimasto comunque in isolamento nel seminario di Sheshan, senza dignità episcopale.
I segnali dal lato cinese sono contrastanti. L’agenzia UCA News ha dato notizia che il piano annuale postato sul sito dell’Amministrazione Statale per gli Affari Religiosi di Cina ha deciso di “aumentare i poteri legali del governo sul lavoro religioso del regolamento emendato degli affari religiosi per mantenere un controllo attraverso la stretta gestione dei membri del partito comunista”. Ma c’è anche un segnale positivo: la volontà di andare avanti con decisione nel percorso per l’elezione di nuovi vescovi della Chiesa Cattolica.
Da una parte la buona volontà, dall’altra la difficoltà di accordare tutte le situazioni cinesi. Da una parte le trattative per l’accordo, dall’altro il tema della demolizione delle croci, nonché la recente espulsione di missionari sud Coreani.
E nel mezzo, i problemi relativi ai vescovi illeciti. Sono sette. Con l’accordo, torneranno fedeli a Roma? E in che modo? Perché non c’è solo la questione della scomunica “latae sententiae” per l’ordinazione illecita, ma anche l’accusa di gravi comportamenti immorali, difficilissimi da controllare per Roma. Si può risolvere solo la scomunica latae sententiae con una “richiesta di perdono” , sincero pentimento e atto di sottomissione al Papa.
Di certo, quella dell’accordo non è una soluzione che soddisfa del tutto la Santa Sede, ma che potrebbe rappresentare una apertura, secondo il Vaticano, magari anche cancellando delle diocesi missionarie che oramai non hanno più ragione di esistere.
I vescovi non ufficiali, invece, secondo il Cardinale Tong non dovrebbero avere problemi a diventare ufficiali, perché “se ci fosse un accordo, ci sarebbe un clima di maggiore fiducia”.
L’accordo sui vescovi è slegato comunque dall’accordo diplomatico. La Cina è uno dei Paesi che non relazioni con la Santa Sede, che ha una nunziatura di Cina stabilita a Taipei, in Taiwan. La nunziatura è guidata da una chargé d’affairs. Quando Monsignor John Fitzpatrick Russell da Taipei fu promosso nunzio in Turchia, per un po’ la sede è rimasta senza un ufficiale di alto rango. Poi questi è arrivato, nella persona di Æosč Sladan, sebbene la nomina non sia stata annunciata pubblicamente. Per prudenza.
La presenza della nunziatura a Taipei è infatti uno dei maggiori ostacoli per le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cina. Si potrebbe decidere di aprire una rappresentanza diplomatica a Pechino e stringere maggiormente i rapporti con Taiwan – per la Cina continentale poco più di una provincia ribelle – con maggiore presenza pastorale.
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