Roma, 13 February, 2017 / 2:00 PM
È con un decreto ad experimentum della durata di 3 anni che il vescovo Gianfranco Todisco, di Melfi-Rapolla- Venosa, ha “abolito” i padrini e le madrine per Battesimo e Cresima. Una scelta radicale, con uno scopo educativo: spesso – si legge nel decreto – manca “una responsabilità di trasmettere la fede con la testimonianza di vita”, e quindi c’è bisogno di una nuova pastorale, a partire dai genitori (che prendono di fatto il ruolo dei padrini) e dalla comunità.
La scelta del vescovo di Melfi è stata presentata su Avvenire insieme a quella di Giuseppe Satriati, vescovo di Rossano-Cariati, che in una lettera pastorale che sarà diffusa nei prossimi giorni prevederà una rimodulazione della scelta dei padrini. Ma davvero padrini e madrine non sono necessari per il Sacramento?
Monsignor Pietro Amenta, Prelato Uditore della Sacra Rota, spiega ad ACI Stampa, codice di diritto canonico alla mano, che la presenza di padrino e madrina “non è del tutto necessaria né del tutto indispensabile”. Ma rilancia: “Il problema riguarda piuttosto un vero e proprio rinnovamento della pastorale sacramentale”.
Monsignor Amenta fa notare che vi sono due problemi: il primo, che riguarda gli “addetti ai lavori”, vale a dire la qualificazione giuridica del testo; il secondo riguarda un problema più generale di rinnovo della pastorale sacramentale. Monsignor Amenta cita i canoni 872 e 892, che riguardano Battesimo e Cresima, in cui si legge che la presenza dei padrini è richiesta “qualora sia possibile”.
E nota che la scelta del vescovo di Melfi è perlomeno inusuale, in qualche modo pleonastica, perché utilizza “un decreto per sospendere la vigenza del codice, che peraltro già relativizzava la figura di padrino e madrina”, ma questa decisione appartiene ad un altro tipo di documento, la cosiddetta “dispensa”, che non può essere data per una intera comunità, ma solo caso per caso. Sarebbe stata forse meglio – aggiunge il Prelato - “una lettera circolare a tutto il clero, in cui il Vescovo avrebbe potuto spiegare che, siccome il codice lo rende facoltativo, si è presa la decisione di evitare i padrini, almeno per garantire una uniformità di comportamento da parte dei parroci”.
E’ pleonastica anche la considerazione che da ora in poi è la comunità che si fa carico dell’accompagnamento alla fede dei candidati, a maggior ragione considerando il fatto che “da ormai 30 anni a questa parte i sacramenti si celebrano all’interno della Messa, perché ci sia l’intera comunità ecclesiale a rispondere e ci sono nel rito stesso risposte che riguardano l’impegno dell’intera comunità ecclesiale”.
Quello sollevato dal vescovo Todisco e del vescovo Satriani è però un tema più ampio, un segnale di un problema che monsignor Amenta vede con chiarezza. “La pastorale sacramentale – afferma – va profondamente rinnovata con decisioni coraggiose”. Eliminare i padrini è certo una soluzione coraggiosa, ma – si chiede - è la soluzione adeguata? Dà l’idea di togliere qualcosa che non funziona. Come togliere ad un paziente lo stomaco perché ha l’ulcera, invece di trovare la medicina per sanarlo.
Piuttosto, si dovrebbe – aggiunge – “cercare di conferire il sacramento del Battesimo e della Cresima chiedendo anche ai genitori un tipo di percorso di fede. Avere anche il coraggio di rifiutare un sacramento se ci si rende conto che la famiglia in cui crescono i bambini e ragazzi non sia in grado di trasmettere neppure un vago senso della fede”.
Il problema è più ampio ed i padrini sono solo una piccola parte del problema. E, sebbene il problema forse sia stato mal posto in senso giuridico, “il vescovo di Venosa ha di fatto scosso le coscienze sulla pratica sacramentale. Quanta importanza diamo al Sacramento che ci viene conferito? È questa la domanda cruciale”, conclude monsignor Amenta.
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