Città del Vaticano , 14 January, 2017 / 1:30 PM
“Mi arrivano delle cose”. Papa Francesco saluta così il presidente palestinese Mahmoud Abbas, meglio conosciuto con il nome di battaglia Abu Mazen, appena sedutosi nello studio per una udienza privata. E il gesto si riferisce alle informazioni che arrivano da Israele e Palestina, da quel conflitto che la Santa Sede guarda con attenzione e di cui Papa Francesco ha chiesto la risoluzione anche nel suo recente discorso al Corpo Diplomatico.
Con la Palestina, la Santa Sede ha stabilito un accordo che ha di fatto riconosciuto lo Stato di Palestina. L’accordo è entrato in vigore l’1 gennaio 2016, ed era stato firmato il 26 giugno 2015. Già dalla fine del 2015, la rappresentanza palestinese presso la Santa Sede – che aveva una relazione speciale con l’Organizzazione di Liberazione per la Palestina dal 1994 – si è trasformata in una ambasciata. È lì che va il presidente palestinese dopo l’incontro con Papa Francesco e quello in Segreteria di Stato con il Cardinale Parolin e l'arcivescovo Gallagher (ministro degli Esteri vaticano), per fare una sorta di “battesimo ufficiale” di un ufficio già funzionante come ambasciata da un anno e mezzo.
Prima, però, l’incontro con Papa Francesco. È un incontro breve: Abu Mazen arriva alle 10.10, ha cominciato l’incontro alle 10.12 ed ha terminato il colloquio privato alle 10.35. In tutto, 23 minuti di conversazioni, con l’aiuto di un interprete arabo spagnolo, che è stato Yoannis Lahzi Gaid, il secondo segretario particolare di Papa Francesco.
Riporta la Sala Stampa della Santa Sede che "nel corso dei cordiali colloqui si sono rilevati anzitutto i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e la Palestina, suggellati dall’Accordo globale del 2015, che riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nella società palestinese".
Il Papa e Abu Mazen hanno anche "ricordato l’importante contributo dei Cattolici in favore della promozione della dignità umana e in aiuto dei più bisognosi, particolarmente nei campi dell’educazione, della salute e dell’assistenza".
Normale che i colloqui si soffermassero anche "sul processo di pace in Medio Oriente, esprimendo la speranza che si possano riprendere i negoziati diretti tra le Parti per giungere alla fine della violenza che causa inaccettabili sofferenze alle popolazioni civili e ad una soluzione giusta e duratura", e si per questo "auspicato che, con il sostegno della Comunità internazionale, si intraprendano misure che favoriscano la reciproca fiducia e contribuiscano a creare un clima che permetta di prendere decisioni coraggiose in favore della pace".
Nei colloqui, poi, "non si è mancato di ricordare l’importanza della salvaguardia del carattere sacro dei Luoghi Santi per i credenti di tutti e tre le religioni abramitiche. Particolare attenzione è stata infine dedicata agli altri conflitti che affliggono la Regione".
Cinque i regali di Abu Mazen al Papa: una icona del volto di Gesù; una pietra proveniente dal sito del Golgota, nella Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme; una documentazione del lavoro che si sta facendo del restauro della Basilica della Natività di Betlemme (dove è stato svelato un angelo bizantino); il libro “Palestine and the Holy See” sulla storia delle relazioni diplomatiche; e una icona dorata della Sacra Famiglia.
Dal canto suo, Papa Francesco ha regalato una medaglia dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia, una copia dell’Amoris Laetitia e una copia della Laudato Si, spiegando che “sono due miei scritti sull’amore e la famiglia e sulla cura del creato.
Dopo il colloquio con il Segretario di Stato il presidente palestinese è andato ad inaugurare la sede della ambasciata presso il Vaticano, in un palazzo della santa sede. Decisamente eccessive le misure di sicurezza, la stampa non ha potuto avvicinare il presidente che ha solo fatto una veloce dichiarazione in arabo tradotta poi per i giornalisti, ringraziando il Papa e la Santa Sede per il riconoscimento dello Stato e augurandosi che sia un esempio che altri stati seguiranno. Commentando le parole del presidente Trump che avrebbe immaginato si spostare la sede della amabsciata USA in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, Abu Mazen ha solo detto che per ora non si sa nulla e commenterà solo se si farà, e che comunque non sarebbe un buon segnale per la via della pace.
In Ambasciata c’erano il sostituto della segreteria di stato Angelo Becciu, il segretario per i rapporti con gli stati Bettancourt e monsignor Liberio Andreatta della Opera Romana Pellegrinaggi.
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