All’udienza generale di mercoledì 27 marzo papa Francesco aveva ricordato la storia
"incontrerà in momenti distinti un gruppo di parenti di israeliani tenuti ostaggio a Gaza e un gruppo di familiari di palestinesi che soffrono per il conflitto a Gaza.
Parlando ai nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede il 21 maggio, Papa Francesco ha chiesto di pregare per la Terrasanta. Era il culmine di una settimana in cui le vicende della Terrasanta sono state cruciali nella diplomazia pontificia: dalla telefonata di Erdogan a Papa Francesco all’incontro del Papa con il ministro degli Esteri Zarif, i temi hanno sempre riguardato il conflitto Hamas – Israele, lo status di Gerusalemme. Va fatto nottare che il dialogo è avvenuto con Paesi musulmani, mentre le parole cristiane sono state lasciate alle Chiese presenti sul territorio.
La mediazione della Santa Sede non è elencata tra i quattro motivi che il Jerusalem Post ha ipotizzato fossero alla base della mancata annessione dei territori della Cisgiordania da parte di Israele, annunciata per l’1 luglio. Certo è che l’incontro che il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha tenuto lo scorso 30 giugno con gli ambasciatori di Stati Uniti e Israele presso la Santa Sede ha avuto il suo peso diplomatico.
Sono i segni di una ripresa dell’attività diplomatica dopo il coronavirus. In questa settimana: l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano, ha avuto una telefonata con il capo negoziatore palestinese. La Santa Sede è intervenuta all’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Il Papa ha nominato un nuovo nunzio in Bielorussia.
Ancora una volta, la Santa Sede chiede dialogo in Medio Oriente, e in particolare una soluzione negoziata del conflitto israelo palestinese che porti alla soluzione di due Stati. Ma non è il solo scenario difficile su cui è focalizzato lo sguardo della diplomazia pontificia: più volte, Papa Francesco ha in questi ultimi giorni rinnovato l’appello per una soluzione pacifica nella Repubblica Democratica del Congo.
“Mi arrivano delle cose”. Papa Francesco saluta così il presidente palestinese Mahmoud Abbas, meglio conosciuto con il nome di battaglia Abu Mazen, appena sedutosi nello studio per una udienza privata. E il gesto si riferisce alle informazioni che arrivano da Israele e Palestina, da quel conflitto che la Santa Sede guarda con attenzione e di cui Papa Francesco ha chiesto la risoluzione anche nel suo recente discorso al Corpo Diplomatico.
Un processo di pace portato avanti dalle due parti in causa, con il supporto (ma non l’ingerenza) della comunità internazionale. E un maggiore spazio dato alla cosiddetta “track two diplomacy”, ovvero la diplomazia a partire dalle relazioni delle piccole comunità, e in particolare delle piccole comunità religiose. Così l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, tratteggia la “road map” della pace nel conflitto israelo-palestinese.
La soluzione “due popoli, due Stati” per l’annoso conflitto israelo-palestinese potrebbe essere a rischio. È il grido di allarme lanciato dall’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la Sede ONU di New York.