Milano, 07 December, 2016 / 9:00 AM
Un discorso forte, a 360 gradi, quello pronunciato ieri sera nella chiesa di Sant'Ambrogio a Milano dal Cardinale Arcivescovo Angelo Scola in occasione della festa patronale di Sant’Ambrogio.
Parlando dell’Europa il porporato ha ricordato che il suo compito storico non è “un superstato né una raffinata tecnocrazia, ma una convivenza delle diversità, capace di farle collaborare e di integrarle nell’orizzonte di senso proprio un umanesimo personalista. Si ha la sensazione - bisogna riconoscerlo anche se è francamente allarmante - che l’Europa, e in essa Milano, si trovi ad affrontare emergenze per le quali non sembra avere sufficiente pensiero, né forza politica, non sembra più neppure possibile coniugare il pessimismo dell’intelligenza con l’ottimismo della volontà, visto che l’Europa sembra da troppo tempo incapace di agire - oltre che di pensare - in modo efficace”.
Per il Cardinale Scola sono quattro le emergenze con cui l’Europa deve confrontarsi: “il terrorismo, l’ondata migratoria, la crisi finanziaria e la crisi politica”. Secondo Scola di fronte all’emergenza migranti “si sta rispondendo con un approccio reattivo e in ordine sparso. L’incapacità di pensare anzitutto in termini di accoglienza insieme alla spinta nella direzione di una Realpolitik che vorrebbe legittimare il diritto di escludere, sono sintomi di un fallimento e di un declino complessivo dell’Europa come protagonista di fronte a questa marea umana di sofferenza. L’attuale fenomeno migratorio si presenta così, secondo non pochi analisti, come il banco di prova più importante del futuro dell’Europa”.
Non siamo dinanzi - ha aggiunto l’Arcivescovo di Milano - a una crisi solo economica ma anche politica. “Se la politica è essenzialmente gestione del potere, oggi non solo le forme tradizionali di tale gestione sono divenute problematiche, ma la stessa collocazione del potere è divenuta incerta. I luoghi del potere sono oggi più diffusivi, meno identificabili, più anonimi”.
Di fronte ad una situazione del genere l’Europa ha il dovere di chiedersi se sia ancora “in grado di incarnare ancora un’idea politica forte, quale è stata quella che negli anni Cinquanta è riuscita ad aggregare i primi Stati membri. È necessaria una nuova visione dell’Europa che, da una parte, valorizzi quella molteplicità culturale che da sempre la caratterizza e, dall’altra, permetta agli stessi Stati di ritrovare la necessaria unità per rispondere alle sfide dei tempi, prime fra tutti l’immigrazione e la sicurezza”, pertanto “siamo chiamati a partire dalla realtà, nelle sue urgenze concrete, per lasciar emergere l’ideale: anche oggi servono nello stesso tempo grande realismo e grandi ideali.
"Un sano rapporto tra reale e ideale come metodo per edificare una comune casa europea mostra che in Europa siamo attrezzati per affrontare l’inevitabile tensione tra identità e differenza e tra unità e pluralità che, a ben vedere, anche se con caratteri diversi, ha connotato ogni epoca”.
E si arriva al contributo che i cristiani possono e devono offrire all’Europa. Per Scola “i cristiani porteranno il loro contributo per ricostruire un’esperienza del bene comune che stia a fondamento dell’impegno politico e nutra un’altra idea di Europa dopo che quella burocratica e finanziaria è diventata da sola inservibile. I cristiani hanno tutti gli strumenti culturali per raccogliere la sfida della pluralità. Si tratta di ripensare gli assiomi su cui poggiano le nostre democrazie procedurali e il principio di laicità sul quale intendono reggersi. In una società plurale, per sua natura tendenzialmente conflittuale, la laicità è tale solo se crea le condizioni per garantire la narrazione di tutti i soggetti personali e sociali che la abitano, in vista del reciproco riconoscimento. Solo così è possibile una convivenza tendenzialmente armonica che generi vita buona”.
E guardando a Milano il Cardinale parla anche del rapporto con i musulmani. “L’Islam - sostiene - con la sua forma di vita estremamente semplice e chiara per tutti, rappresenta per esempio una sfida da non lasciar cadere. Dall’altra parte il progressivo sfumare nella società dell’esistenza cristiana in forme via via più secolarizzate pone problemi che domandano una fede ben ancorata alla mentalità e ai sentimenti di Cristo e che soprattutto esigono oggi la forza della testimonianza”. Dal canto suo “il cristianesimo avrà saputo cogliere alcuni stimoli propri di ogni epoca, per rilanciarli in maniera creativa. Per questo appare miope deprecare l’attenzione ai segni dei tempi come un cedimento allo spirito del tempo, o peggio come una sostituzione della fede con il politically correct: questo è certo un rischio, ma speculare rispetto a quello, non meno grave, della chiusura della fede nell’ambito dell’intimità personale, importante sì, ma completamente ininfluente sulla civiltà. L’Italia e l’Europa hanno urgente bisogno di ricominciare ad investire sulla promozione e protezione della vita e sulla famiglia fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna; il bene della vita umana ed il corrispondente diritto alla vita, dal concepimento al suo termine naturale, Un cristianesimo dell’amore personale renderà quotidiana testimonianza al bene della differenza sessuale che, rettamente intesa, lungi dall’introdurre qualunque tipo di discriminazione, si offre come strada percorribile per imparare il valore dell’altro e il dono di sé”.
Infine il Cardinale attacca quello che chiama il “relativismo giuridico”. “Non è estranea - conclude - alla crisi politica in cui sono immerse l’Italia e l’Europa un’equivoca concezione di diritti individuali il relativismo giuridico”.
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