Assisi, 20 September, 2016 / 6:15 PM
Scende il tramonto sulla cerimonia della accensione delle lampade, come tradizione una per ogni paese in guerra. Nella piazza della Basilica di Assisi non è la prima volta che queste lampade si accendono, e c’è il rischio di perdere la speranza, ma la presenza del Papa riporta il desiderio di pace ad Assisi insieme alle religioni in una giornata di preghiera per tutti.
C’è il Rabbino Abraham Skorka, Abbas Shuman, Vice-Presidente dell’Università Al-Azhar (Gijun Sugitani, Consigliere Supremo della Scuola Buddista Tendai e con loro e vescovi cattolici, sul palco arriva Tamar Mikalli, fuggita da Aleppo. Parla Bartolomeo I, David Brodman, Rabbino di Israele; Koei Morikawa, Patriarca del Buddismo Tendai Din Syamsuddin, Presidente del Consiglio degli Ulema . Ed è poi Papa Francesco a ricordare a tutti quelli che hanno sete di pace che “è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto”.
Il suo è un grido contro l’indifferenza “un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza”.
Ritorna con il cuore a Lesbo il Papa alle “famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell’oblio”.
Senza armi se non “la forza mite e umile della preghiera” e per questo “cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi”.
Non contano per il Papa le diverse tradizioni religiose “non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri” convinti che, come disse Benedetto XVI “ogni forma di violenza non rappresenta «la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione» Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa e non la guerra!”.
Pregare per non rimanere “imprigionati nelle logiche del conflitto e rifiutare gli atteggiamenti ribelli di chi sa soltanto protestare e arrabbiarsi. La preghiera e la volontà di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno. La nostra strada è quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà, processi di pace”.
Pace che significa educazione per “imparare ogni giorno la difficile arte della comunione”.
E per questo, conclude il Papa, “ desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio. I credenti siano artigiani di pace nell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo!” E quindi un appello ai leaders religiosi e politici: “ Assumiamo questa responsabilità, riaffermiamo oggi il nostro sì ad essere, insieme, costruttori della pace che Dio vuole e di cui l’umanità è assetata”.
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