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Un servizio di EWTN News

Meeting di Rimini: apertura al confronto con l'altro

Dal discorso inaugurale del presidente Mattarella alle testimonianze di chi lavora con i migranti, il Meeting per l'Amicizia dei Popoli di Rimini apre sguardo e cuore al tema dell'immigrazione, così fondamentale oggi. 

Nel discorso inaugurale al Meeting dell’Amicizia tra i popoli il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha affermato che solo un’Europa unita può dare una seria risposta alle migrazioni: “La portata inedita delle migrazioni suscita apprensione. Si tratta di un’ansia, di una paura comprensibile, che non va sottovalutata. Ma non dobbiamo farci vincere dall’ansia e dobbiamo impedire che la paura snaturi le nostre conquiste, la nostra civiltà, i nostri valori. Quelli per i quali noi europei siamo un modello e un traguardo nel mondo".

Il presidente Mattarella ha ripetuto che "anche qui che non possiamo deturpare l’immagine dell’Europa, come luogo di libertà, di democrazia, di diritti, per renderla meno attraente. Il tema delle migrazioni, oggi, rende evidente come ci si realizzi davvero insieme agli altri e non da soli".

Il presidente ha quindi sottolineato che "fino a qualche tempo addietro i continenti erano separati. Mancavano effettiva conoscenza vicendevole e possibilità diffusa di spostamenti. Oggi i mezzi di comunicazione cancellano le distanze, fanno conoscere in tempo reale diversità di condizioni di vita e di benessere e permettono di viaggiare con relativa facilità e velocemente, anche se, come ben sappiamo, per tanti questo avviene subendo pesanti angherie e affrontando rischi gravissimi".

Ormai, il mondo è cambiato, e per il capo dello Stato "ci può soccorrere, permettendo di governarlo in sicurezza, soltanto il principio che ci si realizza con gli altri. Che vuol dire far crescere - sul serio e presto - possibilità di lavoro e di benessere nei Paesi in cui le persone hanno poco o nulla, perché, in concreto, il loro benessere coincide pienamente con il nostro benessere".

Come sconfiggere il terrorismo? "Con la nostra civiltà, e senza rinunciare ad essa, sconfiggeremo anche i terroristi", risponde deciso il presidente Mattarella.  Terroristi che "seminano morte per tentare di cambiare i nostri cuori e le nostre menti. E' questa una sfida per gli Stati democratici. Ma anche per le religioni".

Per il presidente "il dialogo tra le fedi è oggi una necessità storica, è una condizione per conquistare la pace. Il dialogo tra le fedi è un atto di umiltà, che può riconciliarci con la storia dell’uomo. E’ questo un tema di grande valore spirituale, che ha fortissime implicazioni politiche e sociali. Dialogo tra credenti di religioni diverse, dialogo sul destino dell'uomo tra credenti e non credenti: ecco un terreno sul quale la cultura europea può dare, ancora una volta, un apporto straordinario”.

Il Meeting, già nelle edizioni precedenti, ha dato il suo apporto. Anche quest’anno l’incontro tra diverse vedute non manca, così come la testimonianza di chi opera per salvare i migranti. Il racconto del comandante della Guardia Costiera, Paolo Cafaro, è una testimonianza lampante.

“Quando riceviamo una richiesta di soccorso - racconta il comandante - non siamo felici. Significa che qualcosa ha fallito nella nostra attività quotidiana di prevenzione dove operiamo per evitare l’emergenza. A quel punto facciamo tutto per evitare che le persone muoiano. Altri dovrebbero fare altro”.

Il comandante ha quindi mostrato un video nel quale ha illustrato le emergenze in cui la Guardia Costiera è intervenuta: il salvataggio dell’equipaggio di una barca a vela nel mare grosso a Nord della Sardegna, poi il soccorso a un mercantile a Sud est della Sicilia, il recupero di un ferito grave con l’appoggio di un elicottero nell’Alto Adriatico. Nel Mare Egeo traggono naufraghi dalle acque. Lo stesso, notte e giorno, anche dal Canale di Sicilia. Restano impresse le immagini dell’uomo probabilmente africano che, sfinito, è afferrato alle braccia aperte in croce e strappato dalle acque. Dentro un tramonto stupendo, due vedette della Guardia Costiera tornano a riva stracariche di africani che battono le mani per ringraziare di aver avuto salva la vita.

Sono 650.000 i migranti salvati dall’agosto del ’91, quando ebbe inizio l’emergenza dei flussi migratori a seguito della crisi sociale e politica in Albania. Racconta il comandante Cafaro:  “Dirigevo i soccorsi, non avevo contatti diretti con i naufraghi, ma i miei equipaggi sì. Nel febbraio 2015 due nostre unità navali misero in salvo tra Lampedusa e la Libia due gommoni: in tutto duecento persone. Era freddo. Erano senza scarpe, senza magliette. Era freddo, molto freddo, li salvarono tutti. 12 morirono durante il trasporto. Salvarli e vederli morire: fu uno choc per i nostri. Non ci fu nulla da fare. Partii con un team di psicologi per sostenere gli equipaggi. Non vollero nessun psicologo, solo tornare in mare per salvare altre persone”.

Altro evento, altra testimonianza per presentare un altro progetto per accogliere i profughi attraverso i ‘corridoi umanitari’ con il Libano, con la Comunità di Sant’Egidio, che finora ha accolto ed inserito 300 profughi siriani accolti e inseriti, ed entro fine anno saliranno a 1.000 a fine anno.

“Il primo obiettivo del nostro progetto - dicono i responsabili - è stato offrire una strada per arrivare in Italia in modo sicuro e legale, grazie ai visti umanitari e a successivi permessi di soggiorno e lavoro. Il corridoio umanitario è lo strumento che ci consente di farlo. Chi arriva trova una rete sociale, una comunità che vuole accogliere. Trovano scuola d’Italiano, rapporti con gli altri. E’ vera integrazione e inclusione sociale”.

I numeri forniti dal professor Paolo Morozzo Della Rocca, membro della Comunità di Sant’Egidio e docente di diritto dell’immigrazione alla Luiss di Roma, lasciano esterrefatti: negli ultimi sette anni più di 10.000 migranti hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Più di 3.000 solo dall’inizio di quest’anno. Barconi e gommoni affondano e si rovesciano con il loro carico di umanità dolente e disperata. Conflitti, fame, persecuzioni religiose hanno fatto fuggire da Siria e Iraq milioni di abitanti. Vivono in campi profughi 1.500.000 uomini, donne e bambini in Libano, 2.500.000 in Turchia e 800.000 in Giordania. Le loro condizioni sono troppo spesso sotto la soglia di sopravvivenza. Sempre senza alcuna certezza o speranza di un futuro possibile. Nascono qui i viaggi disperati verso l’Europa e verso il nostro paese di chi non ha di fronte nessun’altra alternativa all’immigrazione clandestina.

“Una buona accoglienza - sottolinea Morozzo - è l’unica risposta concreta al fenomeno migrazione. Includere significa abbassare il timore sociale verso lo straniero. Con i corridoi umanitari si tutela la vita dei migranti e nello stesso tempo la sicurezza della nostra società. Certo i nostri numeri non rappresentano una risposta quantitativamente in grado di risolvere il problema. Però sono la dimostrazione di come ci si possa organizzare dal basso per rispondere a questo dramma. Accogliamo e inseriamo senza chiedere aiuto alle Istituzioni. E’ la provocazione di un gesto che dimostra come accogliere e includere sia giusto e possibile".

Il progetto - aggiunge - "ha subito interessato Conferenza Episcopale e istituzioni in Polonia ed è osservato con attenzione in Francia. E’ un modello replicabile e moltiplicabile. Ci auguriamo possa essere seguito anche da UE e stati nazionali”.

Davanti a queste testimonianze drammatiche dal Meeting è venuta anche una risposta democratica per governare queste sfide con l’esempio tunisino. Mohamed Fadhel Mahfoundh, in rappresentanza del ‘quartetto’ premio Nobel per la pace 2015 e presidente dell’Ordine nazionale degli Avvocati di Tunisia, ha raccontato questa esperienza democratica di dialogo per la pace della Nazione: “I partiti politici erano sull’orlo dello scontro assoluto che si è verificato con l’assassinio di un deputato, ma altri hanno detto no a quello che poteva succedere”.

Secondo il premio Nobel la rivoluzione aveva messo l’accento sulla libertà ma con l’avvento del nuovo governo tutto sembrava minacciato: “Grazie però a una società civile forte, la classe dirigente e le associazioni della società civile hanno evitato la violenza e lo scontro più duro. C’è stata una profonda opera di ascolto dell’altro... Noi tutti crediamo che non sia possibile tornare indietro. Oggi parliamo della Tunisia come di un Paese democratico; anche da noi c’è lo jihadismo ma è un fenomeno mondiale, una piaga che bisogna combattere con la cultura politiche. I giovani non devono cadervi, ma avere sbocchi per dare voce alla loro speranza”.

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