Città del Vaticano , 05 August, 2016 / 10:00 AM
Il dialogo interculturale, da portare avanti senza la volontà di alcuna colonizzazione ideologica. La necessità della preghiera, sempre fondamentale per definire un incontro. La convivenza nella consapevolezza forte della propria identità come antidoto alla paura. In questa intervista ad ACI Stampa, il Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore della Penitenzieria Apostolica, affronta i nodi del dialogo tra Islam e modernità, cattolicesimo ed Islam, cattolicesimo e modernità.
Papa Francesco ricorda che non si può dire che tutto l’Islam è violento e fondamentalista, tanto è vero che domenica alcuni Iman erano in un certo numero di chiese cattoliche, come segno di solidarietà dopo l’uccisione di Pade Hamel. Quale pensa che sia il modo migliore per affrontare la situazione?
E’ sempre necessario avere presente che il punto di partenza non è essenzialmente il dialogo interreligioso, ma il dialogo interculturale. Il dialogo interreligioso, in senso stretto, è possibile soltanto fra religioni rivelate come l’Ebraismo e il Cristianesimo. Con l’Islam si può approfondire un grande e proficuo dialogo culturale, poiché molti valori umani possono essere condivisi. Nodale in ogni esperienza di questo dialogo deve essere la relazione tra tradizione islamica e modernità. Il Cristianesimo ha vissuto un rapporto intenso con la modernità, che dal punto di vista storico e culturale, non è ancora pienamente risolto. La tensione tra fedeltà alla tradizione ed apertura ai valori della modernità, che affondano le proprie radici esattamente nel Cristianesimo, è una tensione sempre in essere, che di fatto appartiene al codice genetico stesso del Cristianesimo. Ora, la domanda potrebbe essere: “Può l’Islam avere un sereno rapporto con la modernità? L’Islam può fare propri i valori della modernità, che hanno radici indiscutibilmente cristiane?” penso che sia questa la grande sfida! Dunque siamo di fronte ad una vera e propria “via” culturale. Evitando ogni tentazione di colonizzazione, è necessario approfondire il dialogo interculturale, dilatare per noi occidentali i confini della razionalità, evitando di chiuderci nel tecno-scientismo tipicamente europeo. Solo l’apertura alla trascendenza e ai valori dello spirito favorirà questo tentativo di autentico dialogo e potrà condurre ad un incontro fecondo con le tradizioni islamiche. La presenza di esponenti dell’Islam a liturgie cattoliche può avere unicamente questo significato culturale. Lo Spirito può agire anche al di fuori dei confini della Chiesa Cattolica e, dunque, può guidare le coscienze ad un sempre maggior riconoscimento della verità e, in essa, della dignità della persona umana.
La preghiera, dice il Papa, è uno strumento di lavoro, ma come organizzarla?
La forza della preghiera è assolutamente ed urgentemente da riscoprire. In ogni Diocesi, in ogni parrocchia, in ogni comunità, associazione, movimento e aggregazione, in ogni famiglia cristiana, è necessario iniziare a pregare per la pace. Per i cristiani è indispensabile scoprire come l’Adorazione Eucaristica, la lettura meditata e pregata delle Sacre Scritture, la preghiera del Santo Rosario, l’affidamento a Maria, che è Madre pietosa di tutti i popoli, siano altrettanti elementi indispensabili per far maturare in se stessi la coscienza della drammaticità del momento e per implorare umilmente l’aiuto soprannaturale al fine di poter vivere questo grave momento nel modo più cristiano possibile. Organizzare momenti di preghiera anche pubblici non è un cedimento alla violenza, ma è piuttosto utilizzare l’arma più importante che noi cristiani abbiamo: la vittoria di Cristo sul male e sulla morte, la vittoria pacifica di un Dio Crocifisso, che ha dato la vita per l’umanità ed è risorto, sconfiggendo il peccato radice di ogni male. Quando i responsabili della cosa pubblica rivendicano energicamente che gli atti di terrorismo ai quali assistiamo attoniti, nulla cambieranno del nostro modo di vivere, che non ci priveranno dei nostri valori, è necessario chiedersi se vogliamo continuare a vivere senza Dio, o se siamo disponibili a riaccogliere Dio, come protagonista della vita pubblica occidentale!
Come possiamo imparare a convivere senza paura?
La paura nasce dalla non conoscenza dell’altro, dalla non certezza della propria identità e dalla generalizzazione di taluni aspetti, spesso parziali. Tutti e tre questi elementi devono essere curati in Occidente, così come in Oriente. E’ pertanto necessario approfondire la reciproca conoscenza, per sapere cosa davvero l’altro desidera, cosa davvero egli creda, cosa davvero egli voglia quando compie determinati gesti. E’ Necessario riscoprire la forza e la chiarezza della propria identità, elemento – questo indispensabile – ad ogni, seppur remota, ipotesi di integrazione. Senza una chiara identità culturale e religiosa, l’Occidente in cosa pensa di trovare le proprie radici? In che modo pensa di integrare le persone che vengono a vivere sul nostro territorio? Sarà sufficiente il consumismo, il benessere per farli sentire parte di una tradizione bimillenaria? Il Papa pensa proprio di no, ed io sto decisamente con il Papa. Infine è necessario, anche se è molto difficile e faticoso, non generalizzare alcuni aspetti. Certamente l’Islam incomincia e deve sempre più incrementare questo atteggiamento, a dare segnali chiari di dissociazione radicale da ogni forma di fondamentalismo. Dissociazione, che deve essere inequivocabile, immediata, anche se espressa non con il nostro linguaggio occidentale. Non è pensabile per noi esprimerci con determinati codici comunicativi e pretendere che altri, non integrati nella nostra cultura, facciano lo stesso. Non di meno resta ciò di cui parlavo all’inizio: il rapporto tra Islam e modernità. Può l’Islam incontrarsi davvero con la modernità occidentale? L’Occidente può identificarsi unicamente con la modernità, o deve riscoprire altre più solide e remote radici? Ritengo che questa seconda opzione possa essere vincente, forse l’unica percorribile.
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