Torino, 01 May, 2015 / 8:30 AM
Di fronte alle difficoltà del lavoro dobbiamo essere realisti ma anche “carichi di speranza, perché sappiamo che non siamo soli sulla trincea dell'impegno responsabile che ci attende, ma con noi c'è il Buon pastore che ci conosce uno a uno e ci guida sulla via della giustizia e della solidarietà”. Sono le parole dell'Arcivescovo di Torino Mons. Cesare Nosiglia, nel corso della veglia per il lavoro e l'occupazione che si è svolta lo scorso 28 aprile.
Dobbiamo dire no – ha aggiunto il prelato – ad una economia dello scarto e all'idolatria del denaro, dicendo invece sì “alla logica del servizio e della fraternità. È in questa luce che emerge l'importanza di quanto l'Agorà del sociale ha proposto: un patto intergenerazionale per promuovere un nuovo modello di sviluppo che attivi sinergie concrete tra i percorsi di formazione, il lavoro considerato non solo come mezzo per avere profitto ma per promuovere la dignità della persona e le relazioni di comunione e solidarietà effettiva anche con chi non lavora o è povero”.
L'obiettivo di questo patto “è affrontare e scalfire la situazione difficile e complessa che è per noi oggi quella del lavoro, per chi lo perde a cinquant'anni e non riesce più a trovarlo o per chi lo cerca, come tanti giovani e non lo trova, se non precario e non rispondente alla qualificazione professionale acquisita con impegno e sacrificio”.
Il lavoro – ha spiegato Mons. Nosiglia - “non è importante solo per l'economia, ma è una dimensione antropologica irrinunciabile che riguarda la dignità delle persone e,di conseguenza, la cittadinanza e l'inclusione sociale. Per avviare la ripresa sul piano dell'occupazione è necessario che tutte le componenti sociali si attivino secondo una logica che incida fortemente sulle scelte concrete, a partire dalla finanza e dalle competenze professionali. Il patto intergenerazionale non va attivato per dare banalmente ai giovani quello che spetta agli anziani. Quello di cui c'è bisogno è di identificare il contenuto del patto, assumendo come categoria fondamentale la solidarietà. La soluzione si trova all'interno di una logica di scambio e non di mero passaggio dal vecchio al giovane”.
Oltre ai giovani è necessario garantire particolare attenzione a donne e migranti. Sono soprattutto le donne – ha sostenuto l'Arcivescovo - “a pagare lo scotto della crisi di un'azienda sono le donne e diverse ricerche rivelano come anche quando hanno una parità con gli uomini, guadagnino meno. Inoltre, su di loro continua a gravare circa il quadruplo di tempo rispetto agli uomini per le attività di cura della casa, dei figli, degli anziani”. “Per quanto attiene all'immigrazione – ha proseguito – assistiamo a un graduale aumento della competizione: è una lotta fra poveri, perché il lavoro è poco per tutti”.
Di fronte a questo quadro bisogna dire sì “a una più incisiva e disponibile attenzione e cura delle periferie esistenziali. Oggi non è assolutamente sufficiente assistere il povero donandogli il pesce per sopravvivere o l'accoglienza disorganizzata e di permanente provvisorietà. L'assistenza è necessaria, ma non basterà mai a ridare dignità e a tracciare percorsi di inclusione sociale efficaci. Nella società - ed al suo interno nella Chiesa – sono presenti a livello potenziale enormi energie che sono tuttora inespresse come servizio. La Chiesa, arrecando qualche disturbo alle opere di difesa, deve insistere nel ricordare a chi ha avuto ed ha di più che a lui è chiesto di più, a partire dai propri doni specifici. Chiesa e realtà istituzionali devono anche dare esempio nel mettere a disposizione le loro strutture e spazi abitativi vuoti, le loro risorse da investire nell'educazione e in progetti condivisi di abitabilità per quanti ne sono privi”.
“Dobbiamo accogliere – ha concluso Mons. Nosiglia - l'invito di Papa Francesco: partite dalle periferie e non dal centro - occorre acquisire uno sguardo contemplativo sulla realtà. Non possiamo avere uno sguardo sul reale basato sui dati macro economici, su tante statistiche che sono sempre negative e lasciano poco spazio alla speranza, o su di un ottimismo di propaganda; serve invece uno sguardo che sa penetrare dentro gli avvenimenti e la propria vita con una carica di realismo e insieme di fiducia e di intraprendenza, sapendo che Dio costruisce con noi e non è assente dalla nostra esistenza concreta”.
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