Vienna, 14 June, 2016 / 1:00 AM
Il pregiudizio anti-cristiano, il meno accettabile. Monsignor Janusz Urbanczik, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) lo rimarca in una riunione del Consiglio Permanente, che si è tenuto lo scorso 9 giugno nella sede di Vienna.
“Il sentimento anti-cristiano – ha detto monsignor Urbanczyk – sembra essere il meno accetttabile, eppure sembra ricevere meno attenzione delle altre forme di intolleranza a causa del fatto che il cristianesimo è la principale religione in Europa”. E l’osservatore nota che “la marginalizzazione e l’ostinazione sociale contro le religioni e i credenti praticanti sembrano essere tra le principali cause di intolleranza e discriminazione, mentre i discorsi pubblici giocano un ruolo fondamentale”.
Nel delineare le sfide della Santa Sede all’OSCE, mons. Urbanczik ricorda che la Santa Sede è in relazioni con il Consiglio d’Europa dal 1962, ha lì un Osservatore Permanente dal 1970, partecipa a incontri e comitati, ha ratificato diversi trattati del Consiglio d’Europa, e guarda con attenzione ai rapporti tra OSCE e Consiglio d’Europa, con lo scopo di “contribuire al bene comune”.
Quali sono, dunque, le sfide? La “straordinaria migrazione di persone che fuggono da guerre e persecuzioni, nonché da guerre ed esclusioni, da differenti aree vicine all’Europa”. E poi, la promozione della tolleranza, dato che – nota la delegazione della Santa Sede – in Europa “c’è una generale crescita di razzismo e intolleranza (incluso l’antisemitismo e la discriminazione contro i musulmani)”, e che “i cristiani anche soffrono di intolleranza e discriminazione, sia che siano una maggioranza, sia che siano una minoranza, spesso senza che questo venga notato”.
E per questo la Santa Sede incoraggia sia l’OSCE che il Consiglio d’Europa a dare “la giusta attenzione anche alla discriminazione e intolleranza contro i cristiani in Europa, senza che sia applicata alcuna selettività o distinzione gerarchica”.
Infine, il dialogo interreligioso e il dialogo tra comunità religiose e Stati. Questi “sono mezzi potenti a nostra disposizione, sia per promuovere maggiore tolleranza, rispetto e comprensione, e per assicurare la stabilità e la sicurezza delle nostre società”.
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