Città del Vaticano , 09 May, 2016 / 5:00 PM
Un impegno comune, fondato su valori condivisi e proiettato verso i temi della solidarietà verso i sofferenti, l’educazione dei giovani, la cura per la “casa comune”. Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Royal Institute for Interfaith Studies si sono incontrati il 3 e il 4 maggio, e hanno messo nero su bianco i progressi del dialogo. Un documento in otto punti, per un incontro che continua.
E’ la quarta volta che gli esperti vaticani del dialogo interreligioso e l’istituto guidato dal principe Hassan bin Talal della famiglia reale giordana si incontrano. L’Istituto è nato nel 1994, con l’obiettivo di sviluppare al massimo il dialogo interculturale e interreligioso. Uno dei frutti di questo lavoro è stato la lettera “Una parola comune”, promossa da un altro reale di Giordania, il principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, che a partire dal 2007 ha rinverdito il dialogo islamico cattolico dopo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona.
Dall’altra parte, c’è il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso guidato dal Cardinal Jean-Louis Tauran. Il lavoro portato avanti nel dialogo islamico-cristiano è stato costante. Nel mezzo delle atrocità del sedicente ISIS in Medio Oriente, due dichiarazioni del Pontificio Consiglio hanno prima invitato i partner del dialogo a prendere una posizione sulle atrocità del sedicente califfato, e poi sottolineato che il dialogo con l’Islam era ancora possibile e necessario. Recentemente, una delegazione del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso ha ristabilito i contatti con l’Università al Azhar in Egitto, riaprendo un ponte con l’Islam sunnita.
C’è, insomma, una vasta area di dialogo che si è sviluppata nel corso degli anni, e che Papa Francesco apprezza: incontrando le due delegazioni, ha definito i membri del Royal Institute “costruttori di dialogo”.
In cosa consistono gli otto punti della dichiarazione finale dell’incontro? Viene prima stabilito che “condividiamo credi e valori e comuni” e che le cose comuni “sono più delle nostre particolarità”, e sono una base “per vivere pacificamente e fruttuosamente insieme”.
Cristianesimo e Islam hanno “un ruolo di civilizzazione e umanizzazione” se i loro seguaci “aderiscono ai principi di adorare Dio e amare e prendersi cura degli altri”.
Le due delegazioni chiedono che la dignità della persona umana e i suoi diritti inalienabili devono essere “riconosciuti, garantiti, protetti della legge”, e per questo cristiani e musulmani si “impegnano nella solidarietà” con fratelli e sorelle che hanno bisogno, senza fare distinzioni su razza, religione, etnia.
Tra i campi di collaborazione, c’è l’aiuto ai poveri (da “offrire con compassione”, senza scopi di “proselitismo”) e l’impegno per i giovani, i quali “hanno il diritto a una educazione appropriata che li prepari ad essere buoni cittadini rispettosi della diversità”.
Anche l’impegno ecologico è un tema per un comune contributo, dato che “il nostro mondo, la nostra casa comune” sta attraversando “molte crisi complicate e ha bisogno dello sforzo” dei suoi abitanti nel farne “un posto in cui vivere bene”.
Infine, Royal Institute e Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso mostrano “solidarietà e vicinanza” per quanti soffrono “di violenza e conflitto armato”, sottolineando che “diritto internazionale, dialogo, giustizia, misericordia e compassione” sono “sono valori e mezzi per raggiungere pace e armonia”.
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