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Integrare, dialogare, generare: la ricetta di Papa Francesco per l'Europa

Non muri, ma ponti: è questo l’appello di Papa Francesco all’Europa, lanciato nel discorso di accettazione del Premio Carlo Magno. Il Papa chiede all’Europa di lanciare un “nuovo umanesimo”, basato su tre concetti chiave: l’Europa deve avere capace di integrare, di dialogare e di generare. Solo così potrà tornare ai suoi valori originari. Con il sogno di "un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni". 

Nella Sala Regia, di fronte a presidenti del Consiglio e teste coronate, dopo aver ascoltato la laudatio di Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo ultimo vincitore del Premio, Papa Francesco riprende i temi dei suoi discorsi alle istituzioni europee del 2014. Anche perché, i discorsi a Strasburgo sono la linea guida delle motivazioni del Premio Carlo Magno, che dal 1950 viene conferito a coloro che hanno promosso in qualche modo l’integrazione europea.

Cosa ha portato al conferimento del Premio a Papa Francesco? Le considerazioni che vengono fuori dai discorsi sono amare. Marcel Philipp, sindaco di Aachen (città sede del Premio) parla di una “allarmante erosione delle fondazioni morali e culturali dell’Europa”, e di un “consumismo della benestante Europa che è vergognoso, se non distruttivo”. Martin Schulz sottolinea a chiare lettere che “l’Europa sta vivendo una crisi di solidarietà. I nostri valori condivisi sono sotto attacco”. Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, afferma che “il progetto europeo non cesserà mai di essere rilevante” e invita a “riprendere il coraggio dei nostri predecessori di affrontare le difficoltà per superarle e indirizzare la storia, piuttosto che essere indirizzati dalla storia”. E Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, sottolinea che “siamo stati e saremo europei. (…) In un certo senso, l’Europa è un articolo di fede”.

Per parte sua, Papa Francesco plaude “la creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti”, tipici di una Europa che si è saputa ricostruire dopo la guerra, creando una “famiglia di popoli” che è “lodevolmente diventata nel frattempo più ampia”.

Il Papa riprende il concetto di Europa “nonna”, usato da lui perché notava crescere “l’impressione di una Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso attrattiva”, tanto che l’Europa era “tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione”.

Ma – afferma Francesco – “i progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri”.

Il “nuovo umanesimo” europeo, per Papa Francesco, si basa su capacità di integrare, di dialogare e generare.

Integrare, perché “le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa, si andarono consolidando nel corso della storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove culture più diverse senza apparente legame tra loro”. Il Papa afferma che “l’identità europea è sempre stata una identità multiculturale”, e sottolinea il lavoro cui è chiamato il mondo politico, chiamato a “promuovere una integrazione che trova nella solidarietà il modo di fare le cose, il modo in cui costruire la storia”.

Per Papa Francesco, il punto è “vincere la tentazione di ripiegarsi la tentazione di ripiegarsi di paradigmi unilaterali e di avventurarsi in ‘colonizzazioni ideologiche’, riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea.

La capacità di dialogo, invece, serve a “ricostruire il tessuto sociale”, in quanto “la cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido: che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente ad un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato”. Una cultura che il Papa auspica venga insegnata alle giovani generazioni.

Infine, la capacità di generare, perché i giovani “non sono il futuro dei nostri popoli, sono i presente; sono quelli che già oggi, con i loro sogni, con la loro vita, stanno forgiando lo spirito europeo”. E per integrare i giovani c’è bisogno di creare “nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al servizio della gente alla società”. In una parola, il Papa chiede di “passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito ad interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione".

Il passaggio da una economia liquida ad una economia sociale di mercato "ci permetterà di sognare" una Europa in cui rinasca il nuovo umanesimo. E la Chiesa - dice il Papa - "può e deve contribuire" alla rinascita dell'Europa, con "l'annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce nell'andare incontro" alle persone che soffrono.

E il Papa declina quindi il suo sogno per una Europa "che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo", che "accoglie e valorizza gli anziani". Il Papa sogna anche "un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano" e dove "i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile". E infine il sogno di un'Europa per la famiglia, un'Europa che promuove e tutela i diritti di tutti, e dove non si possa dire che "il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia". 

 

 

 

 

 

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