Città del Vaticano , 16 April, 2016 / 5:00 PM
La Santa Sede come corridoio umanitario. Portando con sé in aereo dodici rifugiati siriani, Papa Francesco si è prestato al “ponte areo” messo in atto da anni per trasportare i rifugiati in maniera sicura dai Paesi di origine a Paesi in cui possano essere appunto definiti rifugiati. Si chiama “corridoio umanitario”, ed è un progetto fortemente sponsorizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, che infatti si farà carico inizialmente dell'ospitalità di queste 12 persone. Un progetto che da poco è diventato un “progetto pilota” del governo italiano, prendendo così un riconoscimento anche a livello internazionale.
Papa Francesco aveva parlato dei corridoi umanitari all’Angelus del 6 marzo 2016. Li aveva definiti “un segno concreto di impegno per la pace”, e plaudito al progetto-pilota avviato in Italia che “consente di aiutare persone che fuggono dalla guerra e dalla violenza, come i cento profughi già trasferiti in Italia, tra cui bambini malati, persone disabili, vedove di guerra con figli e anziani”.
Ci sono vari motivi per cui la Santa Sede può aver deciso di trasportare i profughi attraverso un corridoio umanitario: per sottolineare che il progetto merita attenzione; per mostrare un impegno in prima persona; e – non ultimo – perché il progetto è ecumenico, coinvolge le chiese protestanti, è stato anche finanziato per un periodo dall’8 per mille della Chiesa valdese. Così, oltre che i patriarchi ortodossi, anche le chiese protestanti hanno partecipato a questo ecumenismo cristiano di vicinanza ai profughi. Un modo, insomma, di abbracciare tuti, e di mostrare una preoccupazione ecumenica comune.
Da Sant’Egidio filtra che la comunità non sapeva niente dell’iniziativa del Papa, che non hanno una presenza a Lesbo, che la comunità si occuperà solo della prima accoglienza. D’altra parte, Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, è stato in Grecia circa due mesi fa. I contatti della Segreteria di Stato con autorità greche e italiane erano stati avviati (come dichiarato da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana) e la cosa ha necessitato di una certa preparazione. E il modello del corridoio umanitario è un modello “leggero” che la Santa Sede poteva facilmente utilizzare.
Come funzionano i corridoi umanitari? Prima le associazioni proponenti, attraverso i contatti diretti nei Paesi interessati al progetto o le segnalazioni predispongono una lista di potenziali beneficiari; quindi i beneficiari vengono trasmesse alle autorità consolari del Paese che sta mettendo in atto il corridoio umanitario e i Paesi da cui i rifugiati provengono; quindi i consolati interessati rilasciano visti con Validità Territoriale Limitata, secondo un regolamento europeo che permette ad uno stato membro di emettere visti per motivi umanitari.
Molti dei rifugiati non hanno documenti, ma quanti hanno operato i corridoi umanitari sostengono che non c'è assolutamente rischio di infiltrazioni terroristiche. Valgono i documenti internazionali, e il controllo che si fa a terra. E' un modo sicuro di operare, e di permettere una migrazione più "umana", e meno soggetta al traffico di esseri umani.
Il progetto pilota in Italia ancora non coinvolge la Grecia, ma coinvolge Libano, Marocco ed Etiopia. Che il Papa abbia voluto operarlo in Grecia sembra anche significativo.
Il viaggio di Papa Francesco, in fondo, ha rappresentato anche un grande appello alla Comunità Europea, e viene subito dopo l’accordo UE-Turchia. L’accordo prevede un sussidio alla Turchia di 3 miliardi di euro, l’inserimento della Turchia in un progetto europeo, ma soprattutto una sorta di “scambio di migranti”. Ovvero: la Grecia rimanda in Turchia i rifugiati siriani, e per ogni persona che viene rimandata indietro la Turchia ne manda uno all’Unione Europea.
L’idea è quella di dare incentivi ai rifugiati siriani per evitare di affidarsi agli scafisti, dando loro buone possibilità di essere trasferiti direttamente dai campi profughi turchi.
E anche qui rientra la questione del corridoio umanitario. Il corridoio altro non è che un ponte aereo. Invece di affidarsi agli scafisti, i rifugiati vengono trasportati direttamente in aereo nel Paese che li accoglierà.
La Santa Sede ha così colto questo strumento diplomatico, che recentemente ha anche ricevuto l’appoggio dell’ONU. Il 30 marzo, a Ginevra, Ban Ki Moon, Segretario generale delle nazioni Unite, ha invitato la comunità internazionale a risistemare nuovamente i 480 mila rifugiati siriani entro il 2018. E la Santa Sede ha deciso di dare il buon esempio. Utilizzando un modello già presente e che ha funzionato nel corso degli anni.
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