Città del Vaticano , 25 March, 2016 / 6:13 PM
L’unico giorno in cui la Chiesa non celebra la liturgia eucaristica è il giorno della morte di Gesù. Ma si adora la croce, e l’amore che ha portato su quella croce Dio stesso per noi.
Nella celebrazione della Passione di Cristo nella basilica vaticana è il Papa che guida la liturgia, ma è il predicatore della Casa Pontificia che offre una riflessione.
Padre Raniero Cantalamessa ha messo in luce la differenza tra amore e misericordia, tra giustizia e vendetta. L’amore di Dio si trasforma in misericordia per mettere un limite al male del nostro peccato. E la giustizia divina non è “retribuitva”, ma è ciò che ci rende giusti, giustificati.
Cita Lutero il cappuccino e Benedetto XVI che scrive: “L’ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Questa è la vera misericordia. E che ora, poiché gli uomini non ne sono in grado, lo faccia Dio stesso – questa è la bontà incondizionata di Dio”.
Quindi, dice Cantalamessa, “è ora di renderci conto che l’opposto della misericordia non è la giustizia, ma la vendetta”.
E porta esempi attuali: “L’odio e la ferocia degli attentati terroristici di questa settimana ci aiutano a capire la forza divina racchiusa in quelle ultime parole di Cristo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Per quanto lontano possa spingersi l’odio degli uomini, l’amore di Dio è stato, e sarà, sempre più forte”. Quindi oggi più che mai “dobbiamo demitizzare la vendetta! Essa è diventata un mito pervasivo che contagia tutto e tutti, a cominciare dai bambini. Gran parte delle storie portate sullo schermo e dei giochi elettronici sono storie di vendetta, spacciate per vittoria dell’eroe buono. Metà, se non più, della sofferenza che c’è nel mondo (quando non si tratta di mali naturali) viene dal desiderio di vendetta, sia nei rapporti tra le persone che in quelli tra gli stati e i popoli”.
Parla della famiglia il predicatore e usa l’immagine del matrimonio cristiano: “Avviene nel matrimonio qualcosa di simile a quello che è avvenuto nei rapporti tra Dio e l’umanità, che la Bibbia descrive, appunto, con l’immagine di uno sposalizio. All’inizio di tutto, dicevo, c’è l’amore, non la misericordia. Questa interviene soltanto in seguito al peccato dell’uomo. Anche nel matrimonio, all’inizio non c’è la misericordia, ma l’amore. Non ci si sposa per misericordia, ma per amore. Ma dopo anni, o mesi, di vita insieme, emergono i limiti reciproci, i problemi di salute, di finanze, dei figli; interviene la routine che spegne ogni gioia.
Quello che può salvare un matrimonio dallo scivolare in una china senza risalita è la misericordia, intesa nel senso pregnante della Bibbia, e cioè non solo come perdono reciproco, ma come un “rivestirsi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di magnanimità” (Col 3, 12). La misericordia fa sì che all’eros, si aggiunga l’agape, all’amore di ricerca, quello di donazione e di con-passione. Dio “si impietosisce” dell’uomo (Sal 102, 13): non dovrebbero marito e moglie impietosirsi l’uno dell’altro? E non dovremmo, noi che viviamo in comunità, impietosirci gli uni degli altri, anziché giudicarci?”.
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