Città del Vaticano , 04 March, 2015 / 12:31 AM
La tanto attesa enciclica sull’ecologia di Papa Francesco ha suscitato l’interesse internazionale in vista di appuntamenti cruciali per il pianeta. La prossima Conferenza ONU sul Cambiamento Climatico si terrà a Parigi nel 2015, e un supporto papale a qualunque delle nazioni che si siederanno ad un tavolo potrebbe spostare i bilanciamenti in favore dell’una o dell’altra parte.
Papa Francesco ha già detto che vuole terminare l’enciclica in tempo per la Conferenza di Parigi, e ha annunciato – durante la conferenza stampa in aereo di ritorno dal viaggio nelle Filippine – che ci lavorerà una intera settimana a marzo prima di mandarle alle traduzioni, in modo che sia pronta per giugno.
Nel frattempo, tutti sono in cerca di un supporto papale. Anote Tong, presidente della piccola nazione del Kiribati, è stato in udienza da Papa Francesco lo scorso 5 febbraio, e ha chiesto il supporto papale per portare all’attenzione della comunità internazionale i problemi della sua nazione, perché l’effetto serra rischia di farne scomparire i bellissimi atolli.
Il 31 gennaio è stata invece Gina McCarthy, amministratore dell’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti, a visitare il Vaticano con l’obiettivo di mostrare all’opinione pubblica quanto l’amministrazione Obama sia vicina alla Santa Sede nelle posizioni sul cambiamento climatico. Si è parlato – ha raccontato una fonte vaticana – anche della posizione della Santa Sede alla conferenza di Parigi.
La posizione della Santa Sede dovrebbe essere polarizzata in due temi chiave: lo sviluppo sostenibile e il dovere di proteggere. Una nozione – quest’ultima – che “può essere declinata come il dovere di proteggere la popolazione (dalla guerra) e il dovere di proteggere la creazione (dallo sfruttamento),” ha spiegato un officiale vaticano che ha preso parte ai colloqui sul tema.
Partendo da questi due pilastri, la Santa Sede proverà a ribaltare le conclusioni della Conferenza ONU 2014 sul Cambiamento Climatico, che si tenne a Lima Perù. Conclusioni che Papa Francesco ha definito “un po’ deludenti” nel suo viaggio di ritorno dalle Filippine.
Gli esperti vaticani sottolineano come il documento fosse piuttosto interlocutorio, e pieno di nozioni che richiedevano una ulteriore chiarificazione.
Uno dei temi al centro del dibattito è quello dei contributi intesi e determinati dalle nazioni (in gergo, gli Intended National Determined Contribution), vale a dire lo sforzo che ogni nazione deve fare per contribuire allo sforzo comune per combattere il cambiamento climatico. Il problema è proprio nella vaghezza del testo: chi deciderà se questo sforzo è sufficiente? E chi controllerà come il supporto finanziario verrà gestito per raggiungere gli obiettivi? E chi chiedere alle parti in causa di sviluppare o accrescere il loro impegno?
Su questo si baserà la discussione di Parigi, e per questo l’opinione della Chiesa è fondamentale per spostare gli equilibri. Oltre al diritto di proteggere e allo sviluppo sostenibile, è possibile che l’enciclica inserisca alcune buone pratiche da seguire, e una di questa è la Red Eclesial Pan-Amazzonica che viene presentata in Vaticano tra il 2 e il 4 marzo 2015.
Concepita come una rete tra gli Stati interessati dalla deforestazione dell’Amazzonia, la REPAM si configura come un modello per le prossime attività della Santa Sede. L’innovazione sta nel coinvolgimento dei Paesi sviluppati non come meri fornitori di aiuto economico, ma come parte attiva della rete. E per questo sono stati invitati anche Paesi osservatori dall’Africa, Asia, e Europa, perché poi il modello si possa esportare.
Sarà questo modello di sussidiarietà tra Stati contemplato nell’enciclica dell’ecologia? Difficile dirle. In una prima fase, la stesura dell’enciclica era stata affidata al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Corea, ad agosto del 2014, il Cardinal Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio, aveva consegnato una prima bozza, che in realtà era il brogliaccio che raccoglieva tutti i contributi dei consultori.
Quindi, una stesura finale è stata affidata a uno di coloro che erano stati consultati, il teologo irlande Tim Bartlett, e poi il nuovo testo era stato rivisto da una commissione ristretta in Vaticano, che includeva ufficiali della Seconda Sezione della Segreteria di Stato, membri del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e un rappresentante della Pontificia Accademia delle scienze.
Ora, la bozza è nelle mani del Papa. Tra i temi, anche quelli della destinazione generale dei beni e del ‘landgrabbing’. Includerà probabilmente alcune delle riflessioni del testo “Terra e Cibo” appena pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace.
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