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Un servizio di EWTN News

Fondo pensioni vaticano, perché la nomina di un amministratore unico?

La facciata della Basilica di San Pietro

L’incubo, in questo momento, è quello del corralito, ovvero della sospensione della liquidità, sul modello di quella che ci fu in Argentina tra il 2001 e il 2002 per evitare il collasso delle banche. Mutatis mutandis, con la nomina di un amministratore unico per il Fondo Pensioni Vaticano, nella persona del Cardinale Kevin J. Farrell, e la necessità proclamata di una riforma che azzeri il deficit, c’è l’incubo che in qualche modo il Papa possa decidere prima o poi di sospendere l’erogazione delle pensioni o di parte delle pensioni. Un provvedimento che porterebbe, quello sì, i dipendenti vaticani in piazza.

Nell’era della molto proclamata trasparenza finanziaria vaticana, infatti, non si sa quale sia l’ammontare del bilancio del Fondo Pensioni Vaticano. Eppure, vi contribuiscono tutti i dipendenti. Eppure, lo statuto del 1992 fu approvato e modificato dall’ULSA, una sorta di sindacato vaticano, come si legge sugli statuti originari approvati in quell’anno. Non si conosce l’entità del bilancio, non si sa nemmeno come si voglia riformarlo

Nel 2014, il compianto cardinale George Pell, presentando la grande riforma dell’economia vaticana, sottolineò anche la necessità di ristrutturare il Fondo Pensioni Vaticano. Pell, e insieme a lui l’economista maltese Joseph Zahra, allora presidente della COSEA, sottolinearono che le pensioni attuali e quelle per la generazione successiva erano al sicuro, ma che ci fosse bisogno di trovare una nuova strada, anche perché “molti Paesi occidentali hanno dovuto affrontare sfide” riguardo al sistema pensionistico.

Fu nominato un comitato tecnico, guidato dal Segretario prelato del Consiglio per l’Economia, monsignor Brian Ferme. Il comitato è composto da quattro esperti laici: Bernhard Kotanko (Austria), Andrea Lesca (Italia), Antoine de Salins (Francia), Nino Savelli (Italia). Savelli andrà poi a guidare il Fondo Pensioni Vaticano, mentre il comitato portò nel 2015 ad una prima riforma degli Statuti del Fondo Pensioni.

Questa riforma separava il Fondo Pensioni dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, il cui presidente era sempre anche presidente del Fondo. Era una necessaria razionalizzazione, che però non cambiava la sostanza del fondo pensioni.

Cosa è successo da allora? Che il Fondo ha nominato consulenti, ha cominciato a pensare a nuove forme di pensionamento, persino ad accantonare parte degli introiti per fare delle assicurazioni previdenziali e così, in qualche modo, superare l’impasse di una popolazione che invecchia e che non ha un vero ricambio generazionale.

Di fatto, però, non ci sono stati cambiamenti sostanziali. L’ADLV, sindacato che rappresenta gli oltre 4 mila dipendenti di Curia, si è così descritto allarmato dalla lettera del Papa sul Fondo, lamentando che i dati dei bilanci del Fondo non sono pubblici, e che “in Vaticano invece questi aspetti sono a beneficio di pochi, mentre bisognerebbe capire come vengono amministrate le trattenute in busta paga a carico dei dipendenti. Le pensioni sono a garanzia anche e soprattutto delle future generazioni, in un discorso di equità e giustizia, che hanno diritto a un futuro degno grazie a un assegno pensionistico adeguato. Chi certifica un eventuale passivo?”.

L’ADLV ha notato anche che “La stragrande maggioranza dei dipendenti vaticani ha già tirato la cinghia. Il taglio di un biennio per tanti avrà un effetto pesante: anche 20 mila euro a fine carriera. I salari non sono stati indicizzati al costo della vita, mentre l’aumento degli affitti degli immobili vaticani è stato rapportato all’inflazione”.

Nella lettera del Papa ai cardinali si parla di “provvedimenti strutturali urgenti e non più rinviabili”, ed è lì il nodo centrale della questione. Il Fondo Pensioni è stato dotato di grandi risorse – gli statuti originali parlano di una dotazione di 10 miliardi di lire – e, secondo una fonte vaticana, queste risorse possono bastare per coprire le pensioni non di sole due generazioni, ma almeno di quattro generazioni a partire da ora.

Da cosa viene questa urgenza improvvisa ora? È qui che nasce l’incubo del corralito. La prima riforma delle pensioni vaticane arrivava mentre il patrimonio della Santa Sede viveva una grande difficoltà economica, tanto che nel 2014 una lettera del Segretario di Stato vaticano aveva stabilito il blocco del turnover e delle nuove assunzioni in Vaticano, giustificando il provvedimento proprio con le necessità economiche. Oggi, nella stessa difficoltà, l’idea è quella che le pensioni possano essere congelate, a meno che non si trovi una soluzione.

Le pensioni, comunque, andavano riformate. Anche la Commissione Referente sulla Struttura Economica Organizzativa della Santa Sede, la famosa COSEA, mise come primo dei dieci punti da studiare “la riforma del sistema pensionistico”.

Papa Francesco, tuttavia, si basa sulla sua esperienza. E, nell’esperienza argentina, in situazioni di crisi si è risposto generalmente in due modi: con l’incameramento, da parte dello Stato, del fondo pensioni autonomo – ed è in fondo successo quando l’APSA è stata distaccata dal controllo del Fondo; e con la liquidità girata dalla riscossione delle imposte nazionali. Quando mancava la liquidità, si fermava temporaneamente l’erogazione delle pensioni.

Ma come fa a mancare la liquidità al Fondo Pensioni? Perché la dotazione del Fondo potrebbe anche essere stata utilizzata per coprire il deficit vaticano, in quell’ottica di mutuo aiuto tra tutti gli enti vaticani che lavorano un po’ in osmosi per quanto riguarda le questioni finanziarie.

Alla fine, se ci si pensa, tutto è correlato. All’inizio del pontificato, furono anche congelati i conti delle cause dei santi, e poi il Papa stabilì nel 2016 nuove norme per l’amministrazione delle cause dei santi. Serviva una gestione più trasparente del denaro, ma serviva soprattutto avere un controllo di tutte le spese.

Oggi, con la nomina di un amministratore unico per il Fondo Pensioni Vaticano, si può pensare che il Cardinale Farrell possa avere più libertà di gestione, magari chiedendo anche degli aiuti a qualche organizzazione o fondazione internazionale per coprire le uscite del Fondo e continuare a garantire le pensioni.

Intanto, in nome dell’austerity, Papa Francesco ha scritto anche ai cardinali, chiedendo di lavorare per trovare delle risorse interne.

Se non ci sono state grosse emorragie, comunque, il Fondo Pensioni dovrebbe bastare per almeno due generazioni. Poi, certo, ci sarà il problema dell’invecchiamento della popolazione, che riguarda tutti i governi. Una riforma non può fare male. Una cattiva riforma sì.

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