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Un servizio di EWTN News

Un documento finale per spiegare cosa è la sinodalità secondo Papa Francesco

Foto di gruppo dei partecipanti al Sinodo 2024

È un documento che alla fine consta di 155 paragrafi (tre in più della primissima stesura), diviso in cinque parti, e che fungerà esso stesso da esortazione post-sinodale. Ma il documento finale del Sinodo non è solo un “inno alla sinodalità” secondo Papa Francesco. Mostra che ci sono profonde spaccature su alcuni temi, in primis sul ruolo delle donne, ma anche sulla funzione delle conferenze episcopali. Lancia l’idea di un cambiamento di mentalità e di una forma rinnovata del ministero del vescovo di Roma, senza specificare quale. È il segno, in fondo, di una Chiesa in stato di Sinodo permanente. Con, forse, più Concili particolari (è una proposta) e un Consiglio di Patriarchi e arcivescovi maggiori presieduto dal Papa (tema che viene dal dialogo con le Chiese orientali).

Non ci sono né vincitori né vinti, in questo grande dibattito sinodale che è durato tre anni. Si parlava, dal fronte progressista, di dare più competenze dottrinali alle Conferenze Episcopali, di includere l’idea del diaconato femminile, persino della pastorale per le persone LGBT, nonché addirittura di forme di controllo e tutela che coinvolgevano anche i nunzi. Dal fronte conservatore, il problema era conservare il deposito della fede.

Papa Francesco ha tirato fuori dalla discussione le questioni più controverse, affidate a gruppi di studio che termineranno il loro lavoro a giugno 2025, ha risolto la questione sottolineando che fa parte di questo sinodo anche la fase attuativa, e ha dunque portato l’assemblea, nella sua seconda riunione in un anno, a dover discutere più che altro del significato di sinodalità. Colpisce, comunque, l’assenza delle citazioni di alcuni documenti di Giovanni Paolo II dal testo finale, che ha subito 1151 modi, ovvero proposte di modifica.

E così, su alcuni temi si nota la necessità di maggiore precisione teologica. Su altri, una completa assenza di questioni che erano state alla base di vari dibattiti. Forse nessuno si dirà contento di tutto questo.

I paragrafi con più voti contrari

Cosa notare di questo sinodo? Prima di tutto, va messo in luce quali sono stati i paragrafi del documento che hanno ricevuto meno consensi. Sono segni importanti, perché in generale ogni paragrafo ha ricevuto maggioranze “bulgare”, tanta era la condivisione, ma anche la mancanza di controversia.

Sono 97 i voti contrari per il paragrafo 60, che supera di poco i due terzi dei consensi. È il paragrafo che parla del ruolo delle donne nella Chiesa. Si parla di come, nella Scrittura, si veda già il ruolo delle donne, si sottolinea che “le donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese”, si riconosce che “sono attive nella vita delle piccole comunità cristiane e nelle parrocchie”, e che “contribuiscono alla ricerca teologica” e hanno posizioni di responsabilità “nelle istituzioni legate alla Chiesa, nelle Curie diocesane e nella Curia Romana”.

“Questa Assemblea – si legge nel testo - invita a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo”.

Insomma, il diaconato femminile resta una opzione, e questo è una apertura cruciale in un dibattito che aveva visto una chiusura improvvisa da parte dello stesso Papa Francesco. Ed è probabilmente questo che non è piaciuto all’assemblea, un po’ disorientata anche da una terminologia quasi sociologica sul ruolo della donna nelle posizioni di comando.

Prende 45 voti contrari il paragrafo 125, che parla delle Conferenze Episcopali, definite nel loro “ruolo importante nello sviluppo della sinodalità, con il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio”. Tra le proposte, quella “di precisare l’ambito della competenza dottrinale e disciplinare delle Conferenze Episcopali. Senza compromettere l’autorità del Vescovo nella Chiesa a lui affidata né mettere a rischio l’unità e la cattolicità della Chiesa, l’esercizio collegiale di tale competenza può favorire l’insegnamento autentico dell’unica fede in un modo adeguato e inculturato nei diversi contesti, individuando le opportune espressioni liturgiche, catechetiche, disciplinari, pastorali, teologiche e spirituali”.

È questione spinosa, quella della competenza dottrinale, che potrebbe aprire la porta anche a diverse interpretazioni della dottrina a seconda delle aree geografiche. Sarà tema di dibattito.

Quindi, tra i paragrafi che hanno avuto meno voti a favore c'è il paragrafo 129, che parla di una “salutare decentralizzazione”. C’è, qui, il tema dei Concili particolari, che “dovrebbero essere convocati periodicamente”. Il paragrafo sottolinea anche che “la procedura per il riconoscimento delle conclusioni dei Concili particolari da parte della Santa Sede (recognitio) dovrebbe essere riformata, per incoraggiare la loro tempestiva pubblicazione, indicando termini temporali precisi o, nel caso di questioni puramente pastorali o disciplinari (non riguardanti direttamente questioni di fede, morale o disciplina sacramentale), introducendo una presunzione giuridica, equivalente al consenso tacito”.

Infine, prende 43 voti contrari il paragrafo 27, che definisce “uno stretto legame tra synaxis e synodos, tra l’assemblea eucaristica e quella sinodale”, sottolineando che “l’approfondimento del legame tra liturgia e sinodalità aiuterà tutte le comunità cristiane, nella pluriformità delle loro culture e tradizioni, ad assumere stili celebrativi che manifestino il volto di una Chiesa sinodale”, e chiedendo “l’istituzione di uno specifico Gruppo di Studio, a cui affidare anche la riflessione su come rendere le celebrazioni liturgiche più espressive della sinodalità; si potrà inoltre occupare della predicazione all’interno delle celebrazioni liturgiche e dello sviluppo di una catechesi sulla sinodalità in chiave mistagogica”.

Una Chiesa sinodale?

Sono punti particolarmente controversi, che mostrano anche come le opinioni all’interno dell’assemblea siano variegate. Il documento finale non esita a parlare di “fatiche, resistenza al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della parola di Dio e sulla pratica del discernimento” (paragrafo 6), chiede di riconfigurare la metodologia di Chiese locali in modo sinodale, sottolinea che “la chiamata alla missione è contemporaneamente la chiamata alla conversione di ogni Chiesa particolare e della Chiesa tutta”, e sottolinea un dato fondamentale, ma forse poco riconosciuto: che “la Chiesa esiste per testimoniare al mondo l’evento decisivo della storia: la risurrezione di Gesù” (paragrafo 14).

Il documento finale guarda anche all’idea di sinodalità, a come in Oriente e Occidente la parola Sinodo si sia definita in modi diverse, che oggi si sta cercando di comprendere meglio, e che si racchiude in una definizione: “la sinodalità è il camminare insieme dei Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata” (paragrafo 28).

Una conversione relazionale

Uno degli obiettivi delineati dal Sinodo è quella di una “conversione relazionale”, ovvero di una apertura all’altro, e all’ascolto, perché – si legge al paragrafo 54 – viene proprio da una mancanza di relazione che si trova la radice dei “mali che affliggono il nostro mondo, a partire dalle guerre e dai conflitti armati, e dall’illusione che una pace giusta si possa ottenere con la forza delle armi. Altrettanto letale è la convinzione che tutto il creato, perfino le persone, possa essere sfruttato a piacimento per ricavarne profitto”. Dopo aver notato le chiusure sul creato, sulle persone della disabilità, sui migranti, il documento sottolinea anche che “la chiusura più radicale e drammatica è quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani”.

La missione, d’altronde, “coinvolge tutti i battezzati”.

Il documento va ad analizzare il ruolo del vescovo (“un servizio nella, con e per la comunità”), con l’idea di valorizzare sia i vescovi ausiliari che l’esperienza dei vescovi emeriti. Quindi, i sacerdoti sono “chiamati a vivere il proprio servizio in un atteggiamento di vicinanza alle persone, di accoglienza e di ascolto di tutti, aprendosi a uno stile sinodale”.

E poi, la questione dei ministeri ordinati, sia quelli istituiti, che vengono conferiti dal Vescovo, una volta nella vita, con un rito specifico, dopo un appropriato discernimento e un’adeguata formazione dei candidati”, ma anche i “ministeri non istituiti ritualmente, ma esercitati con stabilità su mandato dell’autorità competente, come, ad esempio, il ministero di coordinare una piccola comunità ecclesiale, di guidare la preghiera della comunità, di organizzare azioni caritative, ecc., che ammettono una grande varietà a seconda delle caratteristiche della comunità locale”.

E – si nota – in alcuni casi – anche fedeli laici, uomini e donne, “possano essere anche ministri straordinari del Battesimo”, mentre  “nell’ordinamento canonico latino, il Vescovo (con l’autorizzazione della Santa Sede) può delegare l’assistenza ai matrimoni a Fedeli laici, uomini o donne”. Si chiede allora “sulla base delle esigenze dei contesti locali, si valuti la possibilità di allargare e rendere stabili queste opportunità di esercizio ministeriale da parte di Fedeli laici”.

Il documento sottolinea che “ai Fedeli laici, uomini e donne, occorre offrire maggiori opportunità di partecipazione, esplorando anche ulteriori forme di servizio e ministero in risposta alle esigenze pastorali del nostro tempo, in uno spirito di collaborazione e corresponsabilità differenziata”.

Tra le idee, maggiore partecipazione dei laici e laiche nei processi decisionali, nelle istituzioni ecclesiastiche, e anche un effettivo riconoscimento della dignità e il rispetto dei diritti che lavorano come dipendenti della Chiesa e delle sue istituzioni.

(La storia continua sotto)

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La competenza del vescovo

Importante il paragrafo 92, che sottolinea come “in una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo a servizio dell’unità e del rispetto della legittima diversità”. Inalienabile, ma “non incondizionata”, e dunque non c’è “contrapposizione” tra “consultazione e deliberazione”, tanto che si chiede persino un cambiamento del diritto canonico laddove parla di voto "solamente consultivo", una riforma "che chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra consultivo e deliberativo e illumini le responsabilità di coloro che nelle diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali".

Il documento affronta anche temi come quello della trasparenza, che “non compromette il rispetto della riservatezza e della confidenzialità”, alla cultura della salvaguardia, alla necessità di stabilire “strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere” , e si richiede di trovare “forme e procedure efficaci di rendiconto e valutazione, appropriate alla varietà dei contesti, a partire dal quadro normativo civile, dalle legittime attese della società e dalle effettive disponibilità di competenze in materia”.

Organismi di partecipazione

Come già detto nel documento della Commissione Teologica Internazionale del 2018, il documento chiede di rendere gli organismi di partecipazione “obbligatori”, intervenendo “sul funzionamento di questi organismi, a partire dall’adozione di una metodologia di lavoro sinodale”.

Il vescovo di Roma

Da rivalutare anche i modi di esercizio del vescovo di Roma – ma non si cita qui la Ut Unum Sint di Giovanni Paolo II, come sulle conferenze episcopali non si cita la Apostolos Suos. La proposta è quella di “istituire un Consiglio dei Patriarchi, Arcivescovi Maggiori e Metropoliti delle Chiese Orientali Cattoliche presieduto dal Papa, che sia espressione di sinodalità e strumento per promuovere la comunione e la condivisione del patrimonio liturgico, teologico, canonico e spirituale”.

Si ragiona anche sul fatto che “l’esodo di molti Fedeli orientali in regioni di rito latino rischia di compromettere la loro identità”, e dunqu “per affrontare questa situazione, andranno elaborati strumenti e norme volti a rafforzare al massimo la collaborazione tra Chiesa latina e Chiese Orientali Cattoliche”.

Formazione integrale

Si chiede anche una maggiore forza su una formazione “integrale, continua e condivisa” cosa che “richiede la presenza di formatori idonei e competenti, capaci di confermare con la vita quanto trasmettono con la parola: solo così la formazione sarà realmente generativa e trasformativa. Non va trascurato, inoltre, il contributo che le discipline pedagogiche possono dare alla predisposizione di percorsi formativi ben mirati, attenti ai processi di apprendimento in età adulta e all’accompagnamento dei singoli e delle comunità. Dobbiamo dunque investire nella formazione dei formatori”.

Inoltre, “lungo il processo sinodale, è stata ampiamente espressa la richiesta che i percorsi di discernimento e formazione dei Candidati al ministero ordinato siano configurati in stile sinodale”, vale a dire che “devono prevedere una presenza significativa di figure femminili, un inserimento nella vita quotidiana delle comunità e l’educazione a collaborare con tutti nella Chiesa e a praticare il discernimento ecclesiale”.

La assemblea chiede anche “una revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis che recepisca le istanze maturate nel Sinodo, traducendole in indicazioni precise per una formazione alla sinodalità”.

 

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