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Un servizio di EWTN News

Cina, dopo l’accordo sui vescovi, un coadiutore per Pechino

Matteo Zhen Xuebin, prossimo coadiutore di Pechino

Un terzo delle diocesi di Cina sono vacanti, ma la priorità è quella di dare un coadiutore al vescovo di Pechino, che pure è lontano dall’età della pensione. Il prossimo 25 ottobre, così, Matteo Zhen Xuebin, 54 anni, sarà ordinato vescovo e nominato coadiutore – cioè con diritto di successione – dell’arcivescovo di Pechino Giuseppe Li Shan, che guida la comunità cattolica della capitale cinese dal 2007.

La notizia è stata data da Asia News, e confermata da fonti indipendenti. L’ordinazione avrà luogo presso la cattedrale di San Salvatore, presieduta proprio dall’arcivescovo Li Shan. Si tratta della prima ordinazione che avverrà formalmente nel quadro del nuovo accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi.

L’annuncio del rinnovo dell’accordo è arrivato il 22 ottobre. Per la prima volta, l’accordo ha durata quadriennale, come aveva chiesto Pechino, che preferiva “congelare” la situazione allo status quo e che addirittura avrebbe voluto un accordo definitivo. L’accordo resta confidenziale, formalmente non è stato detto se ci sono state “limature”, di fatto permette alla Cina una grande libertà nel muoversi e anche nel porre pressioni sulla Santa Sede.

Da parte della Santa Sede, l’accordo è un male necessario, un modo di “aprire” la Cina e anche di mantenere la Chiesa in comunione. I problemi, comunque, non sono da nascondere, ci sono dieci vescovi cinesi in stato di arresto, il tema della libertà religiosa è sempre presente.

In questo contesto, la prossima nomina del coadiutore di Pechino è interessante. L’arcivescovo Li Shan era stato nominato con la doppia approvazione di Roma e Pechino nel 2007, ma ha solo 59 anni, ed è dunque molto lontano dall’età dei 75 anni in cui un presule deve andare in pensione.

Sembra che abbia chiesto lui stesso un coadiutore, in parte per motivi di salute e in parte per gli impegni che ha come presidente dell’Associazione Patriottica.

Zhen Xuebin, il prescelto, ha 54 anni, solo cinque in meno dell’arcivescovo di Pechino cui ha il diritto a succedere. Finora era segretario generale e cancelliere della diocesi, e già di fatto si occupava del governo pastorale della Chiesa di Pechino.

Originario della provincia di Shanxi, è stato uno dei primi seminaristi cinesi che hanno potuto formarsi all’estero. Dal 1993 al 1998 ha studiato alla St. John’s University di New York, di proprietà dei Vincenziani.

È poi rientrato in Cina, dove è stato ordinato sacerdote. Ha insegnato in seminario di Pechino e ha assunto incarichi di responsabilità nella Chiesa locale.

Xuebin sarebbe così il decimo vescovo nominato nell’ambito dell’accordo sino vaticano. Sono invece più di 30 le diocesi vacanti in Cina.

Nel 1949, la Chiesa cattolica in Cina contava 20 arcidiocesi, 96 diocesi (incluse Macao, Hong Kong, Baotou e Bameng), 29 prefetture apostoliche e 2 amministrazioni ecclesiastiche. Le autorità cinesi hanno invece creato una geografia di 104 diocesi (escluse Macao e Hong Kong) delineate secondo i confini dell’amministrazione civile, ed escludendo i ranghi presenti nella Chiesa cattolica, che considerano anche arcidiocesi, metropolie e prefetture appunto.

Il culmine della frizione avvenne nel 2023, quando il governo cinese decise unilateralmente

installare il vescovo di Yujiang Giovanni Peng Weizhao come ausiliare della diocesi di Jainxi, che non è riconosciuta dalla Santa Sede.

Quest’ultimo caso aveva suscitato l’accorata protesta della Santa Sede. Protesta che oggi, però, sembra essere più debole se consideriamo che l’ordinazione di padre Antonio Sun Wenjun come vescovo di Weifang lo scorso 29 gennaio si è accompagnata dalla decisione di Papa Francesco di erigere la diocesi di Weifang, elevando così la prefettura di Yiduxian al rango di diocesi.

Perché questo renderebbe più debole la posizione sulla diocesi di Jainxi? Perché l’elevazione della prefettura, affidata dal 1931 ai frati minori francesi e vacante dal 2008, accoglie il criterio della ridefinizione della diocesi sulla base della fisionomia delle attuali città. Un passo indietro doppio, dato che il vescovo Joseph Sun Zhibin, che ha guidato la prefettura fino alla sua morte nel 2008, era uno dei cinque vescovi dello Shandong ordinati nel 1988 in maniera illecita e poi però rientrato in comunione con Roma.

In qualche modo, la Santa Sede sembrerebbe accettare una nuova distribuzione della diocesi, considerando anche una maggiore vicinanza con le prefetture locali.

La situazione in Cina, però, non è generalmente migliorata per i cattolici. Anzi.

Recentemente, il vescovo Peter Shao Zumin della diocesi di Yongija-Whenzou, nell’Est della Cina, è stato arrestato e messo agli arresti domiciliari in una proprietà dello Stato. Non era la prima volta che il vescovo Shao, 60 anni, veniva arrestato.

Shao era stato nominato alla guida della diocesi di Yongija-Wenzhou nel 2016, nel 2017 è stato detenuto più volte e molestato regolarmente durante i giorni di festa della Chiesa. La diocesi è considerata turbolenta a causa di una ampia diaspora, con molta emigrazione verso l’Europa e specialmente in Francia, che dà alla diocesi una particolare apertura per il mondo esterno.

Ma Shao veniva arrestato soprattutto a causa del suo rifiuto di aderire alla Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, l’associazione soggetta al governo che rappresenta in via ufficiale la Chiesa Cattolica in Cina ed è indipendente dalla Santa Sede. Va segnalato che, con il primo accordo per la nomina dei vescovi, c’erano state crescenti pressioni sui sacerdoti perché aderissero all’Associazione Patriottica, cosa che suscitò un intervento dell’allora prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il Cardinale Fernando Filoni.

Ci sono almeno altre tre diocesi che non hanno avuto notizie dei loro vescovi per diversi anni. Il vescovo Joseph Zhang Weizhu di Xiangxiang è stato arrestato il 21 maggio 2021; il vescovo Augusti Cui Tai di Xuanhua, anche lui scomparso nella primavera del 2021; e il vescovo James Su Zhimin di Baoding, arrestato nel 1996, che ora avrebbe 91 anni, se fosse ancora vivo.

Tutti questi vescovi sono riconosciuti dalla Santa Sede, ma non dal governo cinese. C’è poi il caso di Thaddeus Ma Daqin, che alla sua nomina come vescovo di Shanghai nel 2012 lasciò l’Associazione Patriottica. È finito anche lui agli arresti domiciliari, e non ha praticamente mai amministrato la diocesi. Quindi, il governo cinese ha pensato di nominare unilateralmente il vescovo Shen Bin a Shanghai, spostandolo dalla diocesi di Haimen. Sembra che la delegazione della Santa Sede che ha viaggiato in Cina per rinnovare l’accordo abbia incontrato Ma Daqin.

La nomina era una chiara rottura dell’accordo sino-vaticano, confidenziale, ma che dovrebbe prevedere una forma di mutuo riconoscimento. Da parte cinese, è stato detto che quella decisione era un trasferimento, non una ordinazione e dunque non ricadeva nell’accordo. Papa Francesco ha deciso di sanare poi la decisione di Pechino nominando Shen Bin come vescovo di Shanghai, e di fatto considerando la diocesi come vacante.

Anche nelle ultime nomine, la Santa Sede ha accettato in un caso la divisione delle diocesi di Pechino, stabilendo la diocesi di Weifang in luogo di una prefettura, e ha persino accettato un candidato che sembra essere stato nominato da Pechino già nel 2022, almeno a quanto si legge sul sito chinacatholic.cn.

(La storia continua sotto)

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La Santa Sede punta ad avere un ufficio di rappresentanza a Pechino, una liaison non diplomatica, per tenere da vicino d’occhio la situazione e aiutare ad interpretare l’accordo nei termini giusti, per evitare incomprensioni. Una delle possibilità è quella di trasferire la missione di studio sulla Cina, che ha sede ad Hong Kong, proprio a Pechino. È una eventualità tutta da esplorare.

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