Città del Vaticano , 19 October, 2024 / 4:00 PM
C’è anche un piano di pace di una serie di ex ministri israeliani e palestinesi sul tavolo di Papa Francesco. L’ex primo ministro israeliano Olmert, insieme a tre ex ministri degli Esteri palestinesi tra cui al Kidva, che è anche nipote del leader storico dell’OLP Yassir Arafat, hanno presentato al Papa quello che ritengono essere un possibile piano di pace per uscire dalla situazione in Terrasanta.
Il Cardinale Rai, intanto, prende ancora una volta le distanze da Hezbollah, mentre il ritorno del Cardinale Zuppi dalla Russia porta la speranza di un nuovo piano per il rimpatrio dei bambini ucraini.
FOCUS TERRASANTA
Terrasanta, Papa Francesco incontra l’ex primo ministro di Israele e tre ex ministri degli Esteri palestinesi
Il 17 ottobre, Papa Francesco ha avuto un breve colloquio di 15 minuti con una mini delegazione composta da Ehud Olmert, già primo ministro di Israele, e tre ex ministri degli Esteri di Palestina, ovvero Nasser Al-Kidwa, Gershon Baskin e Samer Sinijlawi.
I quattro hanno portato all’attenzione del Papa una loro proposta per la pace in Terrasanta. Olmert è stato primo ministro dal 2006 fino al 2009 e ha un passato nelle negoziazioni di pace in Medio Oriente. Il suo governo aveva siglato il cessate il fuoco nella guerra in Libano del 2006, ed è stato protagonista dell’ultimo tentativo per la creazione di due Stati con il presidente palestinese Mahmoud Abbas, meglio conosciuto con il nome di battaglia di Abu Mazen.
Parlando con l’Osservatore Romano, al-Kidwa, nipote del leader storico dell’OLP Yasser Arafat, ha detto di aver presentato al Papa “una proposta di pace per Gaza che prevede un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas e il contestuale rilascio di un numero concordato di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, la ripresa di trattative per la costituzione di due stati separati e in pace tra loro”.
Olmert ha sottolineato di ipotizzare “un’annessione da parte di Israele di una porzione di territorio da concordare pari al 4% della Cisgiordania di Palestina, in cambio di un territorio di pari dimensioni oggi nei confini di Israele. Un territorio da dare ai palestinesi che consenta un corridoio di collegamento tra la Cisgiordania e Gaza”.
Da parte palestinese, Al Kidwa sottolinea che “Israele deve ritirare completamente i suoi militari da Gaza e consentire la creazione di un’entità palestinese che la amministri. Pensiamo, come soluzione temporanea e provvisoria, ad un Consiglio di commissari composto da tecnocrati e professionisti di valore riconosciuto e non da rappresentanti politici. Questo consiglio dovrebbe essere collegato al Consiglio dei ministri dell’Autorità palestinese, che dovrebbe preparare finalmente le elezioni generali nei territori palestinesi entro 24/36 mesi”.
Un esercizio di buona volontà che comunque i due statisti non ritengono sufficiente, tanto da proporre, dice Olmert, il dispiegamento a Gaza di una “Temporary Arab Security Presence” (Tasp), che contestualmente al ritiro delle forze di difesa israeliane (Idf) possa stabilizzare la situazione. Questa forza araba di interposizione dovrebbe essere in collegamento con le forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), e ricevere indicazioni dal Consiglio dei Commissari. Il suo principale compito dovrebbe essere quello di prevenire ulteriori possibili attacchi ad Israele provenienti da Gaza.
Al-Kidva sostiene che il futuro assetto pacifico prevederebbe che lo Stato di Palestina accettasse l’obbligo di “essere uno Stato non militarizzato, tranne per le sue esigenze di polizia interna”.
La delegazione pensa anche ad uno statuto speciale per Gerusalemme (la Santa Sede punta anche su quello) che “abbia piena autorità su ogni parte della città, secondo le regole più volte indicate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, e con un ruolo speciale attribuito al Regno di Giordania, com’è già oggi per la Spianata delle Moschee. In ogni caso pensiamo che la Old City dovrebbe essere fuori di ogni controllo politico e dedicata alle tre religioni monoteiste che la considerano luogo santo di preghiera”, come ha spiegato Olmert.
In questa situazione, dice Olmert, “Gerusalemme può essere la capitale di Israele nelle parti che erano già Israele prima del 5 giugno 1967, oltre a quei quartieri ebraici costruiti dopo il ’67, che rientrerebbero in quel 4,4% di cui parlavo sopra”, mentre – completa al Kiva “Al Quds (il nome arabo di Gerusalemme), capitale della Palestina, includerà tutti i quartieri arabi che non facevano parte di Israele prima della guerra del ’67”.
Si tratta di un piano che, tra l’altro, secondo i promotori avrebbe l’appoggio degli israeliani, stanchi della guerra.
Parlando con Telecinco, Olmert ha detto che “la cosa migliore per Israele oggi è di risolvere il conflitto storico con i palestinesi e permettere che i palestinesi esercitino il loro diritto all’autodeterminazione, libertà di movimento e libertà di espressione”.
Olmert, parlando con Telecinco, ha comunque sottolineato le responsabilità dell’Iran, descritto come “un Paese radicale, assassino, irresponsabile, forte militarmente e ricco che vuole dominare tutto il vicino Oriente”.
Libano, il Cardinale Rai prende le distanze da Hezbollah
Il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei Maroniti, ha concesso la scorsa settimana una intervista alla rivista cattolica Il Regno in cui ha preso nette distanze da Hezbollah. Il cardinale, tra l’altro, ha sempre puntato il dito sull’organizzazione terrorista,.
Secondo il Cardinale Rai, Hezbollah ha “deciso di fare questa guerra contro la volontà del popolo libanese, che non vuole la guerra, e contro la volontà del governo. È una guerra forzata, e dobbiamo subirne le conseguenze”.
Il Patriarca Rai ha chiesto un cessate il fuoco immediato e ha denunciato che il Libano è schiacciato tra due potenze che rifiutano di arrendersi, lamentando che Hezbollah, nonostante l’uccisione dei suoi leader in prima linea, “è determinato a continuare la guerra mentre il governo libanese vuole la pace”.
Il Patriarca ha anche affermato che né Israele né Hezbollah hanno ascoltato gli appelli alla pace, e il Libano si trova sepolto sotto questo conflitto.
FOCUS UCRAINA-RUSSIA
Il viaggio del Cardinale Zuppi a Mosca
È arrivato senza fanfara il secondo viaggio del Cardinale Matteo Zuppi a Mosca. Il cardinale è stato da l4 al 16 ottobre nella capitale russa, portando avanti il dialogo sul ritorno a casa dei bambini ucraini che sembrava avere avuto sviluppi positivi.
(La storia continua sotto)
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Va ricordato che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, lo scorso 18 settembre è stato in contatto in video conferenza con Tatiana Moskalkova, commissaria per i Diritti Umani della Russia. Dopo lo sviluppo positivo che ha portato anche alla liberazione di due sacerdoti greco-cattolici, padri redentoristi, rimasti in prigionia per più di un anno e mezzo, Russia e Santa Sede proseguono i contatti.
Il viaggio di Zuppi si inserisce in questo ambito, mentre sembra ci sia anche una volontà russa di mandare un rappresentante in visita in Vaticano.
Quattro le figure di spicco dell'entourage di Vladimir Putin che il cardinale ha incontrato, secondo una nota della Sala Stampa della Santa Sede diffusa lo scorso 17 ottobre: Sergey Lavrov, ministro degli Esteri della Federazione Russa; Yuri Ushakov, consigliere del presidente della Federazione russa per gli affari di politica estera, Marija Lvova-Belova, commissaria alla presidenza per i diritti del bambino e Tatiana Moskalkova, commissario presidenziale per i diritti umani. Zuppi aveva già incontrato Ushakov e Lvova- Belova nel giugno 2023 quando aveva visitato la metropoli russa dopo essere stato a Kiev dove aveva avuto un faccia-a-faccia anche con il presidente Volodymyr Zelensky. Poi, nelle settimane successive, era volato a Washington e Pechino, secondo quella visione vaticana che punta a coinvolgere altri interlocutori di peso per avvicinare i vertici dei due Paesi in conflitto. Stavolta si è alzato il livello politico della visita di Zuppi con il colloquio assieme a Lavrov.
Tra gli incontri del Cardinale Zuppi, quello – lo scorso 15 ottobre – con il metropolita Antonij di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca (DECR)
Secondo il Servizio comunicazione del DECR, “durante la conversazione, le parti hanno discusso die problemi umanitari legati al conflitto in Ucraina, nonché di altre questioni di reciproco interesse”.
Con Lavrov, invece, la discussione si è soffermata sulla “cooperazione nella sfera umanitaria nel contesto del conflitto in Ucraina” e altre questioni sulla scena internazionale. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri russo. Mosca ha sottolineato “lo sviluppo costruttivo del dialogo tra Russia e Vaticano”.
Il ritorno dei prigionieri affrontato anche nel colloquio tra Papa Francesco e Zelensky
Di un ritorno in Ucraina di quanti sono prigionieri in Russia e dei bambini che l’Ucraina denuncia come “deportati” e i russi sostengono essersi trovati nei territori di là dal confine ha parlato anche il presidente ucraino Volodymir Zelensky nel suo incontro con Papa Francesco lo scorso 11 ottobre.
L’incontro è stato seguito da un comunicato molto breve della Santa Sede. Il presidente Zelensky ha poi diffuso un post su X sottolineando come “la questione di riportare a casa la nostra gente dalla prigionia è stata il fulcro del mio incontro con Papa Francesco”.
Zelensky ha anche dato più dettagli dell’incontro in Segreteria di Stato con il Cardinale Parolin e l’arcivescovo Gallagher. Nel colloquio, ha scritto, “abbiamo discusso dell’attuazione della Formula di Pace, con particolare attenzione al punto riguardante il ritorno dei bambini deportati e il rilascio di ostaggi civili e prigionieri di guerra”.
Ci sarà, il 30-31 ottobre in Canada, una conferenza proprio su questo punto della Formula di Pace. Zelensky ha specificato che “tra gli altri argomenti, abbiamo anche parlato dei risultati della recente visita del Cardinale Pietro Parolin in Ucraina”, e si è detto “certo che ciò contribuirà ad unire gli sforzi internazionali nel processo di ripristino della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”.
FOCUS AFRICA
Africa, il Cardinale Ambongo affronta il tema dello sfruttamneto delle risorsse minerarie
Lo scorso 12 ottobre, il Cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, ha partecipato a un incontro su “Martiri moderni, vittime dello sfruttamento delle risorse minerarie in Africa: realtà e prospettive della Chiesa in uscita”.
Il seminario è stato organizzato in occasione del 60esimo anniversario della canonizzazione dei martiri di Uganda.
Il cardinale ha sollevato il velo sulle numerose e difficili situazioni sperimentate dai martiri moderni, specialmente “persone che soffrono e muoiono a causa dello sfruttamento delle risorse minerarie in Africa”.
L’arcivescovo di Kinshasa ha notato che “l’estrazione e il trasporto di questi minerali dispossessa e sfolla le famiglie dalle loro terre”, cosa che si accompagna alla “sovente demolizione violenta di case, contaminazione delle acque, inquinamento atmosferico con i metalli pesanti, e, in particolare, il rilascio di cianide nella natura, con seri danni agli ambienti agricoli o di pesca.
Secondo il Cardinale, la Chiesa “non può rimanere zitta” di fronte a questa situazione.
FOCUS NUNZIATURE
Nominato il nunzio apostolico in Honduras
Dopo aver trasferito l’arcivescovo Gabor Pinter come nunzio in Nuova Zelanda, Papa Francesco ha individuato il successore come nunzio in Honduras in un nunzio di prima nomina. Si tratta di Simón Bolívar Sánchez Carrión, che viene anche nominato, come tutti i nunzi, arcivescovo.
Il prossimo nunzio Sanchez Carrion, classe 1971, è ecuadoregno. Sacerdote dal 1995, è entrato nel 2006 nel servizio diplomatico della Santa Sede. Ha prestato servizio nelle rappresentanze pontificie di Trinidad e Tobago, Bolivia, Malta e Libia, Uruguay e Serbia.
FOCUS MULTILATERALE
Intelligenza artificiale, la posizione della Santa Sede
Suor Raffaella Petrini, Segretario generale del Governatorato dello Stato di Città del Vaticano, è intervenuta la scorsa settimana al Global Standard Symposium a Nuova Delhi, in India.
Nel suo intervento, Suor Petrini ha ribadito la posizione della Santa Sede, ovvero quello di introdurre “politiche condivise” che guidino lo sviluppo delle nuove tecnologie di intelligenza artificiale, e ha ricordato che l’IA rimane “uno strumento al servizio dell’essere umano”.
Sulla scia della Rome Call of IA Ethics, lanciata dalla Pontificia Accademia per la Vita, che ha visto l’adesione di grandi aziende nel settore tecnologico e anche di altre religioni, e seguendo anche l’impegno diplomatico della Santa Sede per “una autorità con competenze universali per la gestione dell’intelligenza artificiale, suor Petrini ha ricordato che la tecnologia “è nata con uno scopo”, ovvero quello di rimanere “uno strumento per costruire il bene di ogni essere umano e un domani migliore per tutti”. Una concreta “ispirazione” nell’applicazione di tale auspicio “esemplifica oggi una forma concreta di solidarietà che permette ai governi di stabilire priorità e alle organizzazioni di assumersi responsabilità per tutti i loro interlocutori”.
La Santa Sede a New York, i diritti dei popoli indigeni
Lo scorso 15 ottobre, la Santa Sede è intervenuta al Terzo Comitato della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in particolare sul tema dei diritti dei popoli indigeni.
L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha sottolineato il bisogno di rispettare e proteggere i diritti dei popoli indigeni, ha messo in luce alcune delle sfide che affrontano oggi, incluse l’assimilazione e l’urbanizzazione, considera anche la perdita delle loro terre. Questi e altri problemi – ha detto l’arcivescovo Caccia – derivano da una mancanza di rispetto che resta sullo sfondo.
Come stabilire il rispetto? L’arcivescovo Caccia nota che c’è bisogno prima di tutto di riconoscere che le comunità religiose hanno una unica eredità culturale, che hanno il diritto di mantenere, controllare, proteggere e sviluppare. Ha inoltre sottolineato l’importanza di proteggere la conoscenza tradizionale degli indigeni, così come di integrare le pratiche di cura ambientale degli indigeni in strategie globali per il clima e la conservazione della biodiversità.
Infine, l’arcivescovo ha sottolineato l’importanza di supportare i giovani membri delle popolazioni indigeni come custodi della loro eredità culturale, impegnati a preservare le loro radici e il loro ambiente.
La Santa Sede a New York, la protezione del clima globale
La Santa Sede ha partecipato anche ai lavori del Secondo Comitato delle Nazioni Unite, e in particolare dell’agenda su Sviluppo Sostenibile: protezione del clima globale per le generazioni future e presenti del genere umano”.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha affermato che i fenomeni meteorologici estremi come alluvioni, disseccamenti e tempeste tropicali stanno crescendo in frequenza e severità, causando una perdita senza precedenti di vita e vitalità, così come di degrado ambientale.
La Santa Sede ha definito tre punti linee guida per la risposta collettiva al cambiamento climatico. Prima di tutto, ogni nazione condivide la responsabilità globale di proteggere il clima per le generazioni future e presenti e nessuna nazione può affrontare il cambiamento climatico da sola.
La seconda linea guida sottolinea che il cambiamento climatico è prima di tutto una questione di giustizia e solidarietà, e richiede alle nazioni più sviluppate di rispettare i loro impegni.
In terzo luogo, l’urgenza di questa crisi chiede una “conversione ecologica”, che prevede un cambiamento nello stile di vita, produzione e consumo.
La Santa Sede a New York, i diritti dei bambini
Il 14 ottobre, il Terzo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha affrontato la questione dei diritti dei bambini.
L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha riaffermato che i bambini meritano speciale protezione e cura e che invece i bambini hanno più probabilità di vivere in povertà degli adulti, cosa che gli espone allo sfruttamento, all’abuso e alla violenza. Per porre fine a queste pratiche orribili, c’è bisogno di affrontarne le cause alla radice, e tra le altre cose eliminare la povertà e seguire politiche di supporto della vita famigliare.
Per la Santa Sede, è essenziale riconoscere l’eguale dignità di donne e ragazze e uomini e ragazzi perché si possano prendere di petto le pratiche dannose che colpiscono molte ragazze, come il matrimonio infantile, la selezione del sesso pre-nascita e l’infanticidio femminile. I diritti e la dignità dei bambini sono violati da pratiche li riducono a oggetti o pesi, come l’aborto o la maternità surrogata.
L’arcivescovo Caccia ha sottolineato l’importanza della famiglia per proteggere i bambini. I diritti primari dei genitori, secondo la Santa Sede, devono essere compresi come un riflesso del dovere di cura nel miglior interesse del bambino, perché i genitori “forniscono supporto mutuo e stabilità più grande, che migliora lo sviluppo dei bambini e il loro successo nella vita adulta”, e per questo si deve “costruire una società che valorizza i bambini e dà loro le risorse di cui hanno bisogno per splendere.
La Santa Sede a New York, il tema dei crimini contro l’umanità
Sempre lo scorso 14 ottobre, la Santa Sede ha preso la parola al Sesto Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al dibattito sui crimini contro l’umanità.
La Santa Sede ha sostenuto un documento universale e legalmente vincolante per facilitare la cooperazione internazionale per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità. Tuttavia, secondo la Santa Sede il comitato non dovrebbe essere diverso dalle norme esistenti. Soprattutto, la Santa Sede nota che il trattato omette la definizione di gender contenuta nell’articolo 7 dello Statuto, e sottolinea di non poter essere d’accordo ad ogni cambiamento alla definizione di gravidanza forzata.
Infine, la Santa Sede osserva che i principi al cuore della giustizia criminale, incluso il diritto al giusto processo e alla presunzione di innocenza, deve sempre essere rispettato. Per quanto riguarda la pena di morte, l’Osservatore Permanente della Santa Sede ha mostrato come la nuova convenzione dovrebbe permettere agli Stati di non estradare un presunto criminale se questo può essere soggetto a pena capitale, perché la priorità deve essere la dignità di ogni persona umana, promuovendo la cooperazione internazionale e terminando le impunità per i suoi perpetuatori.
La Santa Sede alla Conferenza Contro il Crimine Organizzato Transnazionale
Il 14 ottobre, la missione della Santa Sede all’OSCE ha preso parte della 12esima sessione della Conferenza delle Parti per la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Transnazionale organizzato.
Monsignor Richard Gyhra, rappresentante della Santa Sede all’OSCE, ha notato che il crimine organizzato transnazionale “mette a rischio il bene comune in tutto il mondo”, mentre la “criminalità globale” conduce a instabilità politica e sociale.
La Santa Sede ha notato che, da quando la Convenzione è entrata in vigore, “le attività transazionali criminali hanno continuato a crescere in frequenza, gravità e nei suoi effetti devastanti”, e il suoi “profitti illeciti continuano a crescere mentre nuove e vecchie forme di crimine sono perpetrati, anche attraverso una complessa e distruttiva industria di traffico di persone, organi, droghe e armi.
La Santa Sede sottolinea che il crimine internazionale organizzato debba essere “condannato, prevenuto e combattuto a tutti i livelli”, e che “non è abbastanza perseguire i perpetratori: dobbiamo anche promuovere il benessere e il recupero delle vittime”, e per questo è “inaccettabile che le vittime di tratta siano a volte ostracizzate o ulteriormente penalizzate solo perché sono state vittimizzate”.
Da parte sua, la Chiesa Cattolica “si impegna ad assistere alla riabilitazione delle vittime, mentre collabora con altre autorità giudiziarie e attori di società civile per porre fine al dramma della tratta”.
La Santa Sede a New York, il dibattito in prima commissione
Il 17 ottobre, la Santa Sede è intervenuta al dibattito generale della Prima Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La Prima Commissione si riunisce in sessione annuale a New York per cinque settimane (le quattro di ottobre e la prima di novembre). Il suo scopo è di esaminare tutte le questioni relative al disarmo e alla sicurezza internazionale ed elaborare, negoziare ed approvare tutti i testi delle risoluzioni sulla materia (i testi sono poi sottoposti all’Assemblea Generale a dicembre per la loro adozione definitiva). Alla Prima Commissione riferisce anche la Conferenza del Disarmo tramite un rapporto annuale.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha enfatizzato che la crescita globale dei conflitti armati ha un conflitto avverso su poveri, anziani e bambini in situazioni vulnerabili, e ha sottolineato che la costruzione della pace richiede pazienza, esperienza e diplomazia. La Santa Sede sottolinea che è imperativo portare avanti una politica di disarmo perché credere nel valore deterrente delle armi è illusorio.
La Santa Sede ha anche espresso apprezzamento per il lavoro dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica e dell’Organizzazione per un bando globale dei Test Nucleari.
L’arcivescovo Caccia ha anche sottolineato che, per raggiungere una pace stabile e duratura, la comunità internazionale deve affrontare il ruolo delle tecnologie emergenti nello sviluppo delle nuove armi. La Santa Sede, in tal senso, supporta la creazione di norme internazionale per promuovere il dialogo e l’uso delle Tecnologie di Informazione e Comunicazione, e si è detta preoccupata riguardo le ricerche nel campo anti-satellitare o altre contraeree spaziali, così come della crescente congestione di detriti spaziali.
La Santa Sede a New York, agricoltura e sicurezza alimentare
Il 18 ottobre, la Santa Sede è intervenuta al dibattito della Seconda Commissione su due temi: lo sradicamento della povertà e lo sviluppo dell’agricoltura, la sicurezza alimentare e il nutrimento.
Secondo l’arcivescovo Caccia, sradicare la povertà resta “la più grande sfida globale”, perché la povertà “non riguarda solo la mancanza di risorse finanziaria, ma una questione sfaccettata che colpisce ogni aspetto della vita di una persona”.
La Santa Sede sottolinea che l’approccio volto a debellare la povertà debba essere globale e olistico e debba dare “speciale attenzione quanti sono colpiti in maniera sproporzionata, in particolare le donne e i bambini, e quanti sono in aree rurali, che spesso affrontano barriere sistemiche nell’accesso alle risorse necessarie”.
L’arcivescovo Caccia ha inoltre notato che, nonostante la produzione di cibo sia sufficiente, milioni di persone continui ad essere affamate, e ha chiesto una trasformazione dei sistemi di approvvigionamento, per garantire l’accesso a cibo nutriente e rendere i sistemi agro-alimentari più efficienti e sostenibili.
Secondo la Santa Sede, per affrontare le ineguaglianze che perpetuano i cicli di povertà c’è bisogno di implementare politiche che promuovano l’educazione, la costruzione di competenze, i diritti della terra e l’accesso al credito.
La Santa Sede a New York, la crescita e la resilienza in un mondo incerto
Il tema del dibattito generale della Seconda Commissione delle Nazioni Unite lo scorso 18 ottobre è stato “Sostenere la resilienza e la crescita in un mondo incerto”.
L’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede a New York, ha posto l’attenzione alla alta vulnerabilità della gente e del mondo in questo attuale contesto di incertezza che nasce a causa della turbolenza economica, il cambiamento climatico, il confitto e una pandemia che accade una volta in una generazione.
Così, la resilienza può essere sviluppata – sostiene la Santa Sede – solo affrontando le ineguaglianze strutturali che espongono le nazioni, in particolari quelle che si trovano in situazioni speciali, agli impatti del cambiamento climatico e della volatilità economica. Per affrontare queste sfide, la Santa Sede sottolinea l’importanza di rafforzare le strutture societarie, specialmente la famiglia, che la roccia della società.
L’arcivescovo ha quindi commentato l’impatto dell’occupazione come un mezzo fondamentale attraverso il quale la gente si tira fuori dalla povertà, crea opportunità per le famiglie e contribuisce all’economia. Un lavoro degno è dunque “essenziale per creare crescita sostenibile ed inclusiva”.
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