Lovanio, 27 September, 2024 / 5:40 PM
Dal 1968, l’Università Cattolica di Lovanio è divisa in due entità. La Katholieke Universiteit Leuven, di lingua fiamminga, e l’Universitè Catholic de Louvain, di lingua francese, e la seconda è stata insediata in una nuova cittadella, Louvain-la-Neuve. Ma nascono come una sola entità, uno studio voluto da Papa Martino V nel 1425, che comincia quest’anno accademico il 600esimo anno di vita. In visita all’università, Papa Francesco chiede di allargare i confini della conoscenza, in un mondo in cui la ricerca della verità sembra essere messa da parte.
Non è un appello banale, perché Lovanio è anche stata università di fermenti, considerata culla del mondo progressista grazie ai grandi apostoli del Concilio Vaticano II, come il Cardinale Leo Suenens o come il teologo domenicano Schillebeeckx, e anche perché a Lovanio studiò Gustavo Gutierrez, che diede poi il nome alla teologia della liberazione. Ma Lovanio è prima di tutto il motore culturale ed economico della zona, con cliniche universitarie, migliaia di posti di lavoro, e un laboratorio di sapere tra i più avanzati del mondo.
Papa Francesco vi arriva nel pomeriggio, subito dopo l’incontro con le autorità, nel secondo degli incontri di un viaggio in Belgio che rappresenta una grande sfida per il pontificato, perché nella culla dell’Europa secolarizzata. Nel mezzo, Papa Francesco ha incluso una visita alle Piccole Sorelle dei Poveri nella Casa Saint-Joseph. Dal 1856, la Casa Saint-Joseph accoglie anziani poveri e di modesto reddito nel cuore dei Marolles a Bruxelles. Nel corso degli anni, generazioni di residenti, sorelline e laici si sono succedute tra le mura di questa casa, perpetuando e attualizzando la missione di Santa Giovanna Jugan.
Nella Università di Leuven, quella fiamminga, Papa Francesco decide di incontrare i professori, che tra l’altro hanno lavorato sul tema delle migrazioni, molto critico in Belgio.
Luc Sels, rettore del’Università, centra la sua riflessione sul rifugiato, ma anche sul tema LGBTQ+, sul ruolo della donna. Si chiede se la Chiesa non possa avvicinare di più le persone se non fosse rigida sulle questioni di genere, dice che i teologi dell’università stanno lavorando su quello, sottolinea di apprezzare che nel Sinodo per la prima volta hanno avuto diritto di voto. E conclude chiedendosi: “Apriamo la porta?”
Sono questioni che testimoniano un indirizzo dell’università, centrato sul tema di una sorta di “democratizzazione” della Chiesa, che forse risiede anche nel fatto che la Chiesa abbia sempre meno presa sulla popolazione, e sulla montante secolarizzazione.
Il Papa sottolinea che il primo compito dell’università è proprio di “offrire una formazione integrale perché le persone ricevano gli strumenti necessari a interpretare il presente e progettare il futuro”, considerando che le università “non devono correre il rischio di diventare cattedrali nel deserto” con una informazione fine a se stessa, ma devono mantenere la loro caratteristica di spazi generativi.
L’invito di Papa Francesco è, appunto, quello di allargare i confini della conoscenza, che non significa “moltiplicare le nozioni e le teorie”, ma piuttosto di fare della formazione accademica “uno spazio che comprende la vita e pala alla vita”.
Papa Francesco sottolinea che la grande missione, oggi, è quello di “allargare i confini e diventare uno spazio aperto per l’uomo e per la società”, in un contesto ambivalente come quello attuale, perché “da una parte, siamo immersi in una cultura segnata dalla rinuncia alla ricerca della verità”, e dall’altra si parla della verità, ma in modo razionalista, “come se la vita fosse ridotta unicamente alla materia”.
Così si trova da una parte “l’incertezza dello spirito che consegna all’incertezza permanente e all’assenza di passione”, e in effetti “cercare la verità è faticoso, perché ci costringe a uscire da noi stessi”, mentre la stanchezza dello spirito ci fa rimanere attratti da una fede “facile, leggera, confortevole, che non mette mai nulla in discussione”.
Dall’altro lato, c’è il “razionalismo senz’anima”, favorito dalla cultura tecnocratica, che porta la realtà ad essere inclusa “dentro i limiti di ciò che è visibile”, e “viene meno lo stupire, viene meno quella meraviglia interiore che ci spinge a cercare oltre, a guardare il cielo, a scovare quella verità nascosta che affronta domande fondamentali”.
Per superare queste due situazioni, Papa Francesco invita a pregare perché Dio “allarghi i nostri confini”, chiedendo che “Dio benedica il nostro lavoro, al servizio di una cultura capace di affrontare le sfide di oggi”, con la consapevolezza di non sapere ancora tutto che “deve spingervi sempre in avanti, aiutarvi a mantenere accesa la fiamma della ricerca e a rimanere una finestra aperta sul mondo di oggi”.
Alla fine del discorso, Papa Francesco affronta il tema della giornata, quello delle migrazioni. E ringrazia perché “allargando i confini, vi siete fatti spazio accogliente per tanti rifugiati che sono costretti a fuggire dalle loro terre, tra mille insicurezze, enormi disagi e sofferenze a volte atroci”. Papa Francesco nota che “mentre alcuni invocano il rafforzamento dei confini, voi, in quanto comunità universitaria, i confini li avete allargati, avete aperto le braccia per accogliere queste persone segnate dal dolore, per aiutarle a studiare e a crescere”.
È questo che serve, secondo Papa Francesco: “una cultura che allarga i confini, che non è “settaria” né si pone al di sopra degli altri ma, al contrario, sta nella pasta del mondo portandovi dentro un lievito buono, che contribuisce al bene dell’umanità. Questa speranza è affidata a voi”.
Così, Papa Francesco affida ai professori universitari il compito di essere inquieti e di essere “protagonisti nel generare una cultura dell’inclusione, della compassione, dell’attenzione verso i più deboli e verso le grandi sfide del mondo in cui viviamo”.
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