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Dopo Papa Francesco in Indonesia, cardinale Suharyo: “La Chiesa Cattolica è viva”

Il cardinale Suharyo saluta Papa Francesco al momento del congedo del Papa dall'Indonesia, aeroporto di Jakarta, 6 settembre 2024

Figura chiave del dialogo interreligioso nel Paese, punto di contatto con il governo, autorevole al punto che si decise, nel 2019, di eleggerlo una terza volta presidente della Conferenza Episcopale di Indonesia alla regola dei due anni di mandato perché in quel periodo si stavano discutendo i crimini del passato regime e c’era bisogno di un personaggio di indubbio valore, il Cardinale Ignatius Suharyo Hardjatmodjo guarda ora al futuro dopo la visita del Papa.

Arcivescovo di Jakarta dal 2010, creato cardinale da Papa Francesco nel 2019, è il punto di riferimento della piccola Chiesa in Indonesia (il 3 per cento dei 270 milioni di abitanti), un luogo dove il dialogo interreligioso è favorito dall’Islam nusantara, ma anche dove il modo di essere Chiesa ha un suo peso particolare.

Parla con ACI Stampa a seguito della visita di Papa Francesco, rispondendo alle domande con diversi documenti e testi che mostrano un impegno costante e forte sul territorio.  

L’Indonesia è il Paese con la più grande popolazione musulmana al mondo. Eppure, la visita del Papa è stata accolta con entusiasmo, anche da parte del governo. Come mai?

L’Indonesia ha una relazione storica con il Vaticano di lunghissima data. La Santa Sede è stata una delle prime nazioni a riconoscere l’indipendenza dell’Indonesia, e ha inviato rappresentanti nel Paese sin dal 1947. Prima di Papa Francesco, avevano visitato l’Indonesia Paolo VI nel 1970 e Giovanni Paolo II nel 1989. Papa Francesco ha così confermato con la sua visita questo legame.

Quanto è contata la visita per il piccolo gregge di Indonesia?

È stata una visita di grade significato, perché la Chiesa Cattolica in Indonesia si è sentita confermata nelle dinamiche della loro vita, come testimonia il tema della visita apostolica: più fede, più fratelli, più compassioni. È un motto che non è solo una formula, ma riflette la reale vita della Chiesa. I discepoli della Chiesa in Indonesia si impegnano a continuare a crescere nella fede.

Papa Francesco è stato nel tunnel della Fraternità, che collega la moschea di Istiqlal con la cattedrale. Quanto è importante è il concetto della fraternità in Indonesia?

La fraternità è molto importante per la nazione indonesiana, perché questa è formata da varie tribù, religioni, linguaggi e culture. La vera fratellanza creerà compassione. Allo stesso tempo, la compassione è una competenza etica che incoraggia l’emergere di movimenti per il bene comune.

Papa Francesco ha posto molto l’accento sul tema del dialogo interreligioso. In che modo questo dialogo si sviluppa in Indonesia?

L’Indonesia è una nazione molto grande, e la situazione – politica, economica, culturale, religiosa – non è la stessa in ogni luogo. Questa differenza ha anche una influenza sulle relazioni tra le comunità religiose. Il governo indonesiano, specificamente attraverso il Ministero degli Affari Religiosi, ha fatto il suo meglio per promuovere quella che chiamiamo moderazione religiosa. Forse non abbiamo ancora raggiunto la situazione ideale, ma le relazioni interreligiose, secondo le mie osservazioni, sono buone. E infatti Papa Francesco ha incontrato i leader di diverse comunità religiose nella Moschea Nazionale Istiqlal, e anche il primo di essere informato della visita di Papa Francesco ad aprile è stato il Grande Imam della Moschea.

Quale è l’impatto di Papa Francesco in Indonesia?

I documenti del Papa, come la Laudato Si, la Fratelli Tutti, il documento della Fraternità di Abu Dhabi, non sono solo studiati dai cattolici, ma anche da altre comunità religiose. A livello base, le buone relazioni si manifestano in azioni concrete, per esempio negli sforzi per fornire acqua pulita per la comunità e il rafforzamento economico in molte forme, dalla riparazione delle case inagibili ad una migliorata sicurezza alimentare e varie altre azioni.

Come è stato accolto il Papa?

Sono stati pubblicati diversi libri su Papa Francesco in lingua indonesiana, sono stati lanciati seminari per studiare le idee del Papa, i giornali ne hanno scritto quasi quotidianamente. Io stesso dico che la presenza di Papa Francesco in Indonesia è stata importante, ma non meno importante è studiare i suoi insegnamenti, approfondirli ed implementarli. Oltre allo studio, è necessario anche sottolineare le dinamiche della vita personale di Papa Francesco che sono ben visibili. Le autentiche esperienze di fede possono risultare in una trasformazione personale e portare alla trasformazione delle istituzioni, in questo caso della Chiesa Cattolica stessa.

Come vivono i cattolici in Indonesia?

Vivono naturalmente, come cittadini e parte della società. Abbiamo libertà di culto, ci sono diversi cattolici che lavorano nel governo e hanno importanti posizioni nell’amministrazione dello Stato. Insieme ad altre comunità di fede, sentono la stessa responsabilità nel far progredire la nazione attraverso l’educazione, i servizi sanitari e altre iniziative.

Quali sono le maggiori sfide che la Chiesa cattolica indonesiana deve affrontare oggi?

Spesso mi viene fatta questa domanda: in Indonesia ci sono molti luoghi di culto, e la religiosità è vibrante, e allora perché c’è così tanta corruzione, traffico di esseri umani, suicidi e sintomi di questo tipo? Una delle risposte è che la fede non ha ancora trasformato la vita quotidiana. Le sfide della Chiesa sono le stesse sfide dell’umanità, in termini di consumismo, post-verità, la globalizzazione che marginalizza (e non la globalizzazione della solidarietà), i conflitti internazionali e varie altre realtà.

Come mai l’Indonesia è un Paese dove il dialogo interreligioso è così sviluppato?

Una delle ragioni più importante deriva dalla storia. Il giorno dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’Indonesia ci fu un incontro dei padri della nazione per determinare le basi costituzionali del Paese. Si parlava già della Pancasila (i cinque precetti che reggono la nazione), ma il primo di questi precetti recitava che si sarebbe dato omaggio all’unico Dio “sostenendo le condizioni islamiche per i suoi aderenti”. Con un processo molto breve, queste parole furono rimosse, e l’Indonesia si costituì non come Stato religioso, ma come lo Stato Unitario della Repubblica di Indonesia.

La storia, dunque…

Sì, perché c’erano stati già prima due eventi che sono da considerare pilastri determinanti della nostra storia. Il Risveglio Nazionale, che ebbe luogo nel 1908, e che era l’inizio della consapevolezza di essere una sola nazione tra le varie tribù, culture e linguaggi, e l’Impegno dei Giovani del 1928, che stabilì che gli abitanti dell’arcipelago erano una nazione e un linguaggio. Il terzo principio della Pancasila è, infatti, l’unità dell’Indonesia.

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