Bruxelles , 08 February, 2016 / 4:00 PM
Mentre il Parlamento Europeo, seppur tra mille distinguo, andava a votare una risoluzione comune che finalmente possa riconoscere l’eccidio di cristiani e minoranze religiose ad opera dell’ISIS come genocidio, la Santa Sede prendeva la parola alla conferenza “Sostenere la Siria e la regione” e certificava, cifre alla mano, la ponderosità del suo impegno per la pace nella regione.
Sono le due facce della crisi. Da una parte, l’incapacità della comunità internazionale di dare una risposta immediata alle crescenti violazioni dei diritti umani in Medio Oriente, nonostante le situazioni di conflitto siano sfociate molto prima dell’esplosione della violenza del sedicente Stato Islamico. Dall’altra, un lavoro umanitario sul campo che agiva senza sosta, e che dava almeno sollievo ai profughi.
La risoluzione del Parlamento europeo è stata stilata e votata il 4 febbraio. In quella risoluzione, il Parlamento europeo aveva ribadito “la sua risoluta condanna del cosiddetto ISIS / Daesh e delle gravi violazioni dei diritti umani di cui si è reso responsabile, che equivalgono a crimini contro l’umanità”. Per questo, i membri del Parlamento Europeo ribadivano “la necessità di adottare misure affinché il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riconosca tali violazioni come genocidio”.
Molti i gruppi parlamentari che hanno sottoscritto il testo, dopo diverse limature: Popolari, Socialisti e Democratici, Ecr, Liberaldemocratici, Verdi, Efdd. Limature che hanno riguardato anche lo stesso apparato diplomatico dell’Unione Europea.
Tanto che lo scorso 20 gennaio l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha presentato al Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, una dichiarazione in cui definisce “drammatica” la situazione dei cristiani e delle altre minoranze religiose in Medio Oriente. Tuttavia, nella dichiarazione, non ha fatto alcun accenno alla possibilità di definire come “genocidio” l’evidente e sistematico sterminio di massa che sta avvenendo soprattutto in Siria e Iraq per mano dell’ISIS. Cosa che ha suscitato lo sdegno di circa 40 eurodeputati di diverso schieramento, che avevano contestato la vaghezza delle dichiarazioni dell’Alto Rappresentante.
La posizione del Parlamento Europeo fa seguito a quella del Consiglio d’Europa, la cui assemblea parlamentare, riunta a Strasburgo il 27 gennaio, ha approvato una risoluzione dove riconosce come “genocidio” i crimini commessi dalle forze dell’ISIS e li ritiene pertanto “punibili ai sensi del diritto internazionale”.
La consapevolezza europea si nota dai termini utilizzati nella risoluzione comune del 4 febbraio. Vi si legge l’estrema preoccupazione del Parlamento “per gli attacchi deliberati” del “gruppo terroristico” ISIS contro cristiani, yazidi, turcomanni, sciiti, shabak, sabei, kaki e sunniti “che non concordano con la sua interpretazione dell’Islam”. Attacchi che avvengono “nell’ambito dei suoi tentativi di eliminare ogni minoranza etnica e religiosa dalle zone sotto il suo controllo”, e che per questo si configurano come “un genocidio nei confronti dei cristiani, degli yazidi e di altre minoranze etniche e religiose”.
È un riconoscimento tardivo. E se la diplomazia della Santa Sede ha lavorato incessantemente per ottenerlo, c’è una Chiesa che invece non ha mancato di lavorare sul territorioò. E l’ha raccontata l’arcivescovo Richard Paul Gallagher, ministro degli Esteri vaticano, sempre il 4 febbraio alla conferenza su “Sostenere la Siria e il Medioriente” che si teneva a Londra.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ribadiva lo sconcerto per la guerra in Siria “ormai giunta al suo sesto anno”, auspicava “una soluzione politica”, e raccontava che “gli sforzi umanitari della Santa Sede sono sempre più focalizzati non solo sull’aiuto nelle emergenze, ma anche nei bisogni a medio e lungo termine dei rifugiati e delle nazioni che gli ospitano”. Un network di carità che la Santa Sede ha portato avanti attraverso Cor Unum e tutte le associazioni caritative della Chiesa.
Ma il ministro degli Esteri vaticano è andato oltre, e a snocciolato le cifre dell’impegno della Chiesa.
“Nel 2015 – ha detto l’arcivescovo Gallagher - gli enti della Chiesa cattolica (diocesi, enti assistenziali e organizzazioni non governative cattoliche), con i fondi ricevuti grazie agli appelli lanciati dalle conferenze episcopali nazionali, alle donazioni private di fedeli cattolici in tutto il mondo e in collaborazione con governi e organizzazioni internazionali, hanno contribuito a fornire assistenza umanitaria per 150 milioni di dollari americani, di cui hanno beneficiato direttamente oltre 4 milioni di persone”.
Queste le principali aree di priorità: “educazione: 37 milioni di dollari americani per programmi di formazione in Libano e in Giordania, sia per i profughi sia per le comunità ospitanti; assistenza alimentare: 30 milioni di dollari americani, di cui 25 milioni sono stati distribuiti in Siria; assistenza non alimentare: circa 30 milioni di dollari americani in Siria e in Iraq; salute: circa 16 milioni di dollari americani sono stati destinati al settore sanitario, specialmente in Siria, Giordania e Iraq; e infine gli alloggi: 10 milioni di dollari americani sono stati destinati alla sistemazione e all’alloggio dei rifugiati e delle persone internamente dislocate. Altri 12 milioni di dollari statunitensi sono stati utilizzati per fornire assistenza diretta in contanti, acqua e servizi igienici, sostentamento e assistenza socio-psicologica”.
Un impegno che continuerà, a fianco al lavoro diplomatico. Per cercare quella pace duratura che è garanzia di bene comune.
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