Dili, 20 August, 2024 / 2:00 PM
Quando Giovanni Paolo II arrivò a Timor Est, nel 1989, si era nel pieno della rivolta per l’indipendenza del Paese. Il Papa polacco amava baciare la terra ogni volta che scendeva dalla scaletta dall’aereo. In questo caso, però, baciare la terra significava riconoscere l’occupazione indonesiana. E il Papa, allora, rimase in piedi, mentre della terra veniva portata vicino alle sue labbra perché potesse baciarla.
Il comportamento di Giovanni Paolo II dice tutto riguardo la posizione della Chiesa nelle rivendicazioni per l’indipendenza di Timor Est. Il Paese conta circa 1,4 milioni di abitanti, e si trova nella zona Sud-Orientale dell’arcipelago Indonesiano. Di questi, il 98 per cento sono cattolici.
Certo, il cattolicesimo non era cosa nuova.
Era arrivato all’inizio del XVI secolo con i missionari portoghesi, perché Timor era colonia del Portogallo e lo è rimasta per quattro secoli, fatta salvo per una breve occupazione giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale. Il portoghese è tuttora la lingua ufficiale del Paese, insieme al tetum, una lingua austronesiana.
Timor Est è indipendente dal 28 novembre 1975. Nove giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza, fu invaso dall’Indonesia, e cominciarono decenni di conflitto tra gli independentisti e l’esercito indonesiano. Un conflitto che ha causato perdite e scomparse anche tra la popolazione civile, in una carneficina che è ancora parte della memoria collettiva.
Quando cominciò la guerra civile, solo il 20 per cento degli abitanti era cattolico. Ma la Chiesa divenne un punto di riferimento ben presto, perché portavano aiuti, e davano sostegno spirituale, mentre il clero cattolico non mancava di denunciare le violazioni dei diritti umani, in alcuni casi persino offrendo assistenza ai combattenti indipendentisti.
E torniamo così alla visita di Giovanni Paolo II, nel 1989, in un clima di tensione che non risparmiò una Messa celebrata dal papa, quando dimostranti timorensi che lanciavano sedie e polizia indonesiana con i bastoni vennero a contato.
Successe anche peggio quando nel 1991 circa 250 civili disarmati furono uccisi dalle forze di sicurezza indonesiane durante la processione per un funerale nel cimitero di Santa Cruz a Dili. Le cose non cambiarono dopo il referendum del 1999, supervisionato dall’ONU, che si pronunciò per l’indipendenza, causando la repressione dei contrari che in poche settimane uccisero 1400 persone, inclusi sacerdoti e suore.
Circa i due terzi della popolazione vivono in piccoli villaggi geograficamente isolati. Metà della Nazione vive in condizioni di estrema povertà (meno di 1,90 dollari al giorno), e metà dei bambini al di sotto dei 5 anni soffre di malnutrizione.
Nonostante tutte le difficoltà, il Paese ha mantenuto una fede solida. Contrariamente ad altri Paesi, in cui i seminari chiudono per mancanza di aspiranti, Timor Est ha centinaia di aspiranti seminaristi che vengono respinti per la mancanza di strutture.
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