Come era successo già con la Germania divisa, anche la Chiesa di Corea non ha mai cambiato i confini delle sue diocesi. Pyongyang è retta formalmente da un amministratore apostolico, che è l’arcivescovo di Seoul, e ogni anno il 25 giugno si tiene la Giornata di Preghiera per la Riconciliazione e l’Unità Nazionale, mentre le spedizioni umanitarie al Nord vengono favorite e portate avanti da missionari coraggiosi.
La firma della Rome Call for AI Ethics for Peace ad Hiroshima, lo scorso 10 luglio, è stato un atto profondamente simbolico. Undici religioni del mondo, sedici nuovi firmatari, tredici nazioni presenti e oltre 150 partecipanti hanno siglato la dichiarazione per una etica nell’intelligenza artificiale, che diventa anche etica per la pace.
Nel 2021, la Chiesa di Singapore ha festeggiato il suo duecentesimo anniversario di evangelizzazione. Perché fu l’11 dicembre 1821 che San Laurent Imbert, religioso delle Missioni Estere di Parigi, diventato poi vicario apostolico in Corea e martirizzato nel 1839, sbarcava a Singapore, centro di traffici e scambi già noto e fondato dai britannici appena due anni prima.
Quando Giovanni Paolo II arrivò a Timor Est, nel 1989, si era nel pieno della rivolta per l’indipendenza del Paese. Il Papa polacco amava baciare la terra ogni volta che scendeva dalla scaletta dall’aereo. In questo caso, però, baciare la terra significava riconoscere l’occupazione indonesiana. E il Papa, allora, rimase in piedi, mentre della terra veniva portata vicino alle sue labbra perché potesse baciarla.
Prima ancora dall’Abrahamic Center di Abu Dhabi, c’era già un quartiere dove si trovavano vicinissime una Moschea ed una cattedrale. Era a Jakarta, in Indonesia, nel Paese islamico più grande del mondo, dove lo moschea di Istiqlal, la cui costruzione è cominciata nel 1954, sorge in prossimità della cattedrale cattolica. Tanto che tra i due edifici c’è un tunnel, un collegamento diretto che passa sotto le strade che le separano, e che il presidente Joko Widodo ha chiamato “il tunnel della Fraternità”.
Era un laico, un catechista, e aveva messo al centro della sua vita l’Eucarestia. Peter ToRot, beato, martirizzato meno di 80 anni fa e beatificato poco meno di 30 anni fa. Un sacrificio che ha continuato a portare frutto, se si pensa che l’arcivescovo Tatamai è stratto discendente della famiglia del beato.
C’è stato un periodo che Papa Francesco faceva sempre riferimento al dramma dei Rohingya, il popolo musulmano che non trovava asilo, e che veniva disperso tra Myanmar e Bangladesh. Ed era anche il periodo in cui il Myanmar sembrava essersi ristabilizzato, quando i militari avevano aperto anche al ritorno di Aun San Suu Kyi, divenuta poi primo ministro. Santa Sede e Myanmar avevano così aperto piene relazioni diplomatiche, Papa Francesco ha visitato il Paese nel 2017, ascoltando i consigli del Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e profondo conoscitore del Paese. Ma quello è un tempo lontano.
Papa Francesco sarebbe probabilmente voluto passare in Vietnam, durante questo lungo viaggio in Asia che lo ha porterà in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. Ma questa tappa aggiuntiva non è stata possibile, per due ragioni. La prima, sostanziale: non ci sono ancora piene relazioni diplomatiche tra Hanoi e la Santa Sede e dunque un viaggio nel Paese avrebbe avuto delle difficoltà organizzative, oltre a creare un precedente che avrebbe aperto le porte alla Cina, dove invece la Santa Sede vuole regolarizzare tutto con accordi ben precisi. La seconda: che la situazione politica nel Paese è precipitata negli ultimi giorni, il Partito Comunista è vittima di una campagna anticorruzione che sta mietendo vittime illustri ed è anche porto il segretario generale del partito, Nguyen Phu Trong.
Ci sono circa 16 milioni di fedeli cattolici in Cina, almeno secondo le fonti ufficiali. Una minoranza sparuta, e spesso sotto controllo del governo, ma con un enorme peso specifico. Perché la Chiesa cattolica opera in un territorio in cui tutto viene controllato, in cui tante realtà di fede non vengono accettate, dove persino i concetti sono differenti.
L’evangelizzazione a Taiwan ha 400 anni di storia, e c’è una Chiesa viva che studia il passato e guarda al futuro, e che, nonostante sia minoranza forte nella popolazione, non è perseguitata ma riesce a vivere la sua fede. Eppure, di Taiwan in pochi saprebbero se non fosse per il fatto che Chiang Kai Shek portò lì il suo governo, le diede una indipendenza dalla Cina e la proiettò nel consesso mondiale. Perlomeno, fin quando il Dragone Rosso cinese non ha cominciato ad erodere passo dopo passo la sovranità di quella che da tempo continua a considerare solo una “provincia ribelle”, prendendone lo scranno alle Nazioni Unite e sostituendola nelle relazioni diplomatiche con quasi tutti i Paesi del mondo.