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Da Macerata a Loreto per preparare il Giubileo del 2025

60.000 al Santuario di Loreto, nel cuore della notte sono stati i fedeli partecipanti al 46^ pellegrinaggio da Macerata a Loreto, aperto la sera precedente dalla celebrazione eucaristica officiata al Centro Fiere di Villa Potenza, che nel 1993 aveva accolto san Giovanni Paolo II, da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e delegato di papa Francesco per il Giubileo del prossimo anno, anche se quest’anno il papa non ha telefonato, ma ha inviato, attraverso il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, un messaggio in cui ha espresso ‘apprezzamento per l’impegno nella promozione dei valori universali della pace e della solidarietà’, auspicando che il pellegrinaggio “susciti sempre più il desiderio di conoscere Cristo, specialmente attraverso l’incontro cuore a cuore nella preghiera, per testimoniarlo all’uomo contemporaneo”, come domanda la Madonna dopo l’annuncio dell’angelo: ‘Come è possibile tutto questo?’

Ma a Dio tutto è possibile è stata l’esortazione del video messaggio del patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa con il rammarico di non essere presente in quanto non vuole abbandonare il suo popolo in questo momento di grave crisi nel Medio Oriente: “Odio, dolore, sfiducia, chiusure, vengono dalla nostra incapacità di riconoscere l’altro come fratello, come persona che ha la nostra stessa dignità, gli stessi diritti, vengono dalle ideologie dove la propria idea di terra, nazione, Paese, prevale sulle persone che hai di fronte”. Però davanti a questa guerra il patriarca ha rimarcato la forza dei credenti, che credono nella pace:

“C’è un odore di morte che ci sta quasi soffocando, anche nelle relazioni personali, con divisioni e arroccamenti su di sé, quando invece la vita cristiana è un restituire a un ‘Tu’ che è Gesù, che si è fatto nostro fratello. In questi mesi di guerra continuo a incontrare però persone, credenti, non credenti, ebrei, cristiani, musulmani, che hanno voglia di spendere la loro vita per dire che non vogliono rassegnarsi a queste ideologie che fomentano l’odio e la sofferenza. Sono giovani che hanno voglia di mettersi in gioco e che dicono ‘io non voglio vivere in un Paese così’, c’è anche un altro modo, una narrativa inclusiva, siamo qui perché il Signore ci ha messo qui e dobbiamo trovare il modo per una riconciliazione. Ci vorrà molto tempo ma c’è bisogno di qualcuno che la costruisca”.

E c’è stato anche Luca, collaboratore dell’associazione ‘Frontiere di pace’ di Como, che ha raccontato le loro missioni in Ucraina: “Dopo il primo viaggio l’Ucraina, per me, ha cessato di essere un’astratta espressione geografica, ma è diventato il volto di Raissa, 67 anni, a cui hanno ucciso il genero quarantenne davanti agli occhi o quello di Mascia, 7 anni, ucciso da un bombardamento in un centro commerciale. Persone concrete, aiutando le quali si capisce meglio il senso della vita e delle quali si diventa amici.

Così, quando te ne ritorni a casa e li lasci lì, sotto le bombe, hai una stretta al cuore. Ascoltiamo ciò che la gente racconta e ne raccogliamo le storie;  portando la nostra testimonianza  e sensibilizzando le nostre comunità, le scuole, i gruppi. Costruiamo rapporti di amicizia, solidarietà e vicinanza con le comunità destinatarie delle nostre missioni umanitarie”.

Nell’omelia mons. Rino Fisichella ha sottolineato l’importanza di una ‘casa’ per trasmettere la fede: “Nel Vangelo di Marco la casa ha un ruolo importante perché è il luogo della familiarità, della sicurezza. E’ però anche il luogo dove si trasmette la fede. Ed infatti l’apostolo ci ricorda che ‘ho creduto e per questo ho parlato’ e noi siamo qui perché, con il nostro linguaggio, il nostro cammino, il nostro essere capaci di stare insieme per raggiungere la meta, stiamo dicendo che, non solo abbiamo raccolto la chiamata rispondendo al Signore che ci cerca, perché possiamo essere familiari suoi nella sua casa, ma siamo anche coloro che hanno la responsabilità di trasmettere di generazione in generazione quello che è il nostro incontro con Lui”.

E prima della partenza mons. Fisichella ha motivato i pellegrini: “Noi siamo qui perché con il nostro cammino, il nostro essere capaci di stare insieme per raggiungere la meta, stiamo dicendo che non solo abbiamo raccolto la Sua chiamata ma possiamo essere familiari suoi e della sua casa, con la responsabilità di trasmettere alle generazioni future quello che è il nostro incontro con il Signore”.

Prima della celebrazione eucaristica gli abbiamo chiesto se questo pellegrinaggio se questo pellegrinaggio può considerarsi un ‘antipasto’ del prossimo Giubileo: “Il pellegrinaggio da Macerata a Loreto anticipa quello che tra meno di 200 giorni sarà l’inizio del Giubileo, perché i ‘pellegrini di speranza’ sono tutti coloro che si mettono in cammino e sono sempre annunciatori di quella speranza, che non delude, perché nasce dall’amore di Dio. Chi cammina da Macerata a Loreto compie davvero un pellegrinaggio, perché ha una meta davanti a sé, che è la Casa, che secondo la tradizione Gesù vi ha abitato; quindi dà un messaggio fondamentale: si cresce nella speranza e ne diventiamo responsabili per portarla anche agli altri”.

Il pellegrinaggio può essere l’occasione per imparare a camminare con il cuore pieno di stupore?

“Il pellegrinaggio è il simbolo della vita dell’uomo. Mi piace ricordare quanto diceva alla fine della Seconda guerra mondiale un filosofo francese Gabriel Marcel: ‘Homo viator’, l’uomo è in cammino. Questo cammino però deve trasformarsi in un pellegrinaggio, altrimenti potrebbe diventare ‘erranza’, assenza di una meta da raggiungere. Per noi il pellegrinaggio deve essere la riscoperta di noi stessi. Metterci in cammino equivale a ritrovare noi stessi ma davanti alla presenza di Dio, ed è ciò che dà significato alla nostra vita, ciò che consente ad ognuno di noi di vivere questa esperienza con rinnovato entusiasmo e una fede più profonda”.

Allora cosa significa essere ‘pellegrini di speranza’?

“Essere ‘pellegrini di speranza’ significa avere la forza e la convinzione di potere annunciare che la morte è vinta, perché Cristo è risorto. L’apostolo Paolo afferma chiaramente che Cristo è la nostra speranza; non è fuori di noi, ma dentro di noi, in quanto abbiamo sempre bisogno di ‘ricercarlo’. Ecco il motivo per cui il pellegrinaggio è la forma più coerente per poter trovare Dio”.

Quale ruolo possono svolgere i santuari nell’Anno Santo, dedicato alla speranza?

“I santuari svolgono un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa perché permettono di realizzare una pastorale che spesso è complementare a quella che viene vissuta nelle nostre comunità parrocchiali. La complementarietà è data appunto dall'essere un luogo particolare di accoglienza, un luogo del tutto speciale per la preghiera, ma anche uno spazio dove i pellegrini si incontrano portando le esperienze più differenti e si ritorna a quello che è l’antico senso del pellegrinaggio che ha toccato poi anche direttamente il Giubileo. Il pellegrinaggio è un cammino che è espressione e simbolo della vita personale di ognuno di noi. Nel pellegrinaggio ci si incontra, nel pellegrinaggio ci si scambia le esperienze”.

Quindi la speranza non delude?

“La speranza cristiana non delude. Sant’Agostino affermava che tutti sperano, tutti credono, tutti amano, ma il contenuto di tutto ciò rende diverse le cose. Siccome il contenuto della nostra speranza è la resurrezione di Cristo è chiaro che non possiamo mai essere delusi, perché la portiamo in noi con la vita nuova del battesimo”.

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