venerdì, novembre 22, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, Gallagher a Strasburgo per il 75esimo del Consiglio d’Europa

L'arcivescovo Gallagher prende la parola al Consiglio d'Europa, 17 maggio 2024

Mese pieno di impegni per l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati: il 17 e il 18 maggio è stato al Consiglio d’Europa, per celebrarne il 75esimo anniversario, mentre il 30 maggio sarà a Zagabria, per celebrare la protettrice della città, la Madonna di Kamenita Vrata, e tenere una lectio magistralis all’Università Cattolica.

Ma sono molti i viaggi che il “ministro degli Esteri” vaticano ha compiuto negli ultimi tempi. E va considerato anche quello forse più significativo, che lo ha portato in Vietnam ad inizio aprile. Hanoi non ha piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede, ma lo scorso anno si è arrivati al penultimo passo prima di stringerle, ovvero lo statuto di un rappresentante vaticano residente ad Hanoi, individuato nell’arcivescovo Marek Zalewski, nunzio a Singapore. Vietnam e Santa Sede hanno tenuto il 17 maggio l’XI tavolo di confronto, che ha stabilito la bontà delle relazioni tra i due Paesi e ha creato un precedente per il riconoscimento della Chiesa – dato non banale in un Paese ancora comunista e formalmente ateo come il Vietnam.

L’11 maggio, si è tenuta nell’atrio di San Pietro l’Incontro Mondiale della Fraternità Umana, che ha radunato 30 premi Nobel e vari esperti in diversi tavoli. Nelle dichiarazioni finali, però, uno dei Nobel è arrivato a parlare della situazione di Gaza come di un genocidio. La questione ha suscitato una forte protesta dell’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede, fortunatamente senza conseguenze diplomatiche nei rapporti bilaterali perché semplicemente non era quello un discorso attribuibile alla Santa Sede.

                                                           FOCUS PRIMO PIANO

Gallagher loda il Consiglio d’Europa: “Da esso contributo decisive per la pace”

In occasione del 75esimo anniversario della nascita del Consiglio d’Europa, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato a Strasburgo, dove è stata anche adottata la prima convenzione sull’Intelligenza Artificiale.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Gallagher ha notato che la Santa Sede ha seguito da vicino il processo di integrazione europea sin dalla fondazione del Consiglio d’Europa, esprimendo “profondo interesse” per il suo lavoro come progetto di pace.

Gallagher ha ricordato le visite a Strasburgo di Giovanni Paolo II e Papa Francesco, e messo in luce come l’Europa di oggi si trovi ad affrontare impreviste sfide, in particolare il prolungato conflitto tra Russia e Ucraina. Un conflitto in cui la Santa Sede fa il suo, continuando gli sforzi umanitari epr faciltare in particolare il rientro dei bambini ucraini nel Paese.

Gallagher, che alle Nazioni Unite ha chiesto una autorità universale sull’intelligenza artificiale, ha detto che la Santa Sede segue con grande attenzione lo sviluppo del settore. Inoltre, ha chiesto un rinnovamento del sistema multilaterale, “specialmente prestando un’attenzione particolare all’inviolabilità e alla dignità di ogni persona umana e ai diritti umani universali”. I ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio d’Europa hanno adottato il 17 maggio la prima convenzione internazionale, giuridicamente vincolante, volta a garantire il rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto e della democrazia nell’uso dei sistemi d’Intelligenza artificiale (IA).

Il documento, che anche gli Stati extraeuropei possono ratificare, “definisce un quadro giuridico che copre l’intero ciclo di vita dei sistemi di Ia e affronta i rischi che essi possono comportare, promuovendo al contempo un’innovazione responsabile”, si evidenzia a Strasburgo. La convenzione «garantirà che l’intelligenza artificiale rispetti i diritti delle persone”, ha dichiarato il segretario generale del Consiglio d’Europa, la croata Marija Pejcinovic. Il testo sarà aperto alla firma il 5 settembre a Vilnius.

L’ambasciata di Israele presso la Santa Sede protesta, ma i rapporti bilaterali restano buoni

Non ci saranno conseguenze nelle relazioni bilaterali tra Santa Sede e Israele, e questo è stato messo subito in chiaro dall’ambasciatore di Israele Rafael Schutz. Di certo, però, Israele non poteva non reagire al discorso del Premio Nobel yemenita Tawakkol Karman, la quale, nel suo discorso sul sagrato di San Pietro lo scorso 11 maggio nell’ambito dell’Incontro Mondiale della Fraternità Umana si è riferita alla situazione a Gaza usando i termini di “pulizia etnica” e genocidio”. A quanto pare, i contenuti del discorso non erano stati concordati, né la Segreteria di Stato della Santa Sede era stata avvisata.

Nella serata del 12 maggio, una nota durissima dell’ambasciata di Israele presso la Santa Sede ha stigmatizzato l’accaduto.

L’Ambasciata si è detta “indignata e sconvolta” dall’aver appreso i toni del discorso di Karman, sottolineando che, in un contesto che nasceva presumibilmente per affrontare il tema della pace, “parlare di pulizia etnica a Gaza mentre Israele permette quotidianamente che grandi quantità di aiuti umanitari entrino a Gaza è orwelliano”.

La nota si rammarica anche che “un simile discorso sia stato pronunciato senza che nessuno sentisse il dovere morale di intervenire per fermare questa vergogna”. Questo, secondo l’ambasciata, è “l’ennesimo segno di quanto l’antisemitismo e il pregiudizio nei confronti degli Ebrei siano ancora molto vivi”.

Rispondendo all’Ansa, l’ambasciatore Schutz ha fatto sapere che “questo episodio non dovrebbe avere alcuna influenza sulle relazioni bilaterali perché la vergognosa dichiarazione non è stata fatta dal Vaticano o per conto del Vaticano”. Allo stesso modo, l’ambasciatore si aspetta che dal lato vaticano ci sia “uno sforzo per evitare che le sue buone intenzioni e l’ospitalità vengano abusate da altri”.

“Comprendo – ha aggiunto Schutz – che evitare ermeticamente tali abusi potrebbe essere complicato, mi aspetterei che il Vaticano ne prendesse le distanze in modo forte e chiaro”.

Santa Sede e Israele hanno vissuto diverse frizioni dalla reazione israeliana agli attentati del 7 ottobre 2023. Da un lato, la Santa Sede non ha mancato di condannare gli attacchi nel modo più duro possibile.

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha fatto anche visita alle ambasciate di Israele e Palestina nelle settimane successive all’attacco.

Allo stesso tempo, la Santa Sede – anche con contatti diretti con l’Iran, altra forza regionale interessata al conflitto – ha reso subito noto di non contemplare in nessun modo la possibilità della negazione ad Israele del diritto di esistere, mentre ha rilanciato, con forza, la soluzione dei “due popoli, due Stati”.  

Dall’altro, la Santa Sede non ha mai smesso di guardare con attenzione e preoccupazione alla situazione umanitaria che si è creata a Gaza. A febbraio, il Cardinale Parolin sottolineava che c’era una “voce generale” che chiedeva ad Israele di fermarsi, perché “non si può continuare così e bisogna trovare altre strade per risolvere il problema di Gaza”, e questo senza nulla togliere alla “condanna netta e senza riserve” degli attacchi del 7 ottobre.

La Santa Sede, però, chiedeva che il diritto alla difesa di Israele deve essere “proporzionato”, e certamente questa reazione “con 30 mila morti non lo è”, ma si tratta piuttosto di carneficina. Dichiarazione che l’ambasciata aveva definito “sfortunata” (una prima traduzione, definita poi errata, parlava di “deplorevole”) specialmente perché si prendevano come riferimento le cifre delle perdite rilasciata da Hamas.

Tawakkul Karman aveva parlato dalla sua attività relativamente ai diritti delle donne, aveva delineato il concetto di pace in assenza di oppressione e occupazione, e aveva sottolineato che questo è “esattamente ciò che sta accadendo in Palestina, dove le donne stanno pagando un prezzo estremamente alto, enorme di fronte al mondo intero. Anche se il mondo ora rimane in silenzio di fronte al genocidio e alla pulizia etnica e a ciò che sta accadendo al popolo palestinese a Gaza”.

Karman aveva vinto nel 2011 il Nobel per la Pace per il suo ruolo nelle proteste della Primavera Araba.

(La storia continua sotto)

Le Migliori Notizie Cattoliche - direttamente nella vostra casella di posta elettronica

Iscrivetevi alla newsletter gratuita di ACI Stampa.

Clicca qui

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede al WIPO, un documento per proteggere la proprietà intellettuale

Lo scorso 13 maggio, si è tenuta al WIPO (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale) a Ginevra una conferenza diplomatica per Concludere uno Strumento Legale Internazionale riguardo la Proprietà Intellettuale, le Risorse Genetiche e la Conoscenza Tradizionale associata con le risorse genetiche.

La Santa Sede ha partecipato alla conferenza, sottolineando che la proprietà intellettuale dovrebbe essere considerata nel quadro più ampio dei diritti umani.

L’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra, ha sottolineato in particolare che le risorse genetiche associate alle conoscenze tradizionali “costituiscono entrambe un reale e potenziale valore aggiunto dell’umanità”, e dunque la protezione delle invenzioni che si originano da lì “può essere fonte di sviluppo, contribuire alla conservazione della biodiversità, e promuovere l’avanzamento economico per molte nazioni e comunità in via di sviluppo”.

Considerando che la proprietà intellettuale dovrebbe essere parte della cornice dei diritti umani, l’arcivescovo Balestrero ha notato che è “impossibile e inappropriato separare la questione della proprietà dei diritti dal principio ancora più fondamentale della giustizia sociale, che riconosce la destinazione universale dei beni della terra”.

Secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, la proprietà intellettuale non va considerata un diritto assoluto e intoccabile, ma piuttosto “uno strumento per portare avanti il bene integrale dell’umanità”, e la protezione della proprietà intellettuale dovrebbe focalizzarsi sull’assicurare che “tutti gli individui abbiano la libertà essenziale necessaria per portare avanti la loro personale sussistenza e progresso”.

Le risorse genetiche e la conoscenza tradizionale “tendono ad essere associate – ha detto il nunzio – con la cultura dei popoli indigeni e delle comunità locali e costituiscono un fattore integrale della loro identità e coesione sociale”, ed è proprio per questo che “la cornice dei diritti umani deve formare una parte cruciale del contesto per la protezione di queste risorse, mentre vanno presi in considerazione anche i bisogni e gli interessi degli individui e delle comunità rilevanti”.

Va dunque regolamentato “ogni tentativo di sfruttamento economico” delle risorse genetiche e delle conoscenze tradizionali ad esse associate, assicurando pieno rispetto della “identità, diritti e libertà delle popolazioni indigene e delle comunità locali, incluso il diritto di essere pienamente informato di ogni rilevante decisioni e il diritto di una chiara partecipazione ai suoi benefici”.

Secondo la Santa Sede, vanno forniti “diritti esclusivi di proprietà a questi gruppi”, permettendo così a popolazioni indigene e comunità locali “di esercitare controllo sui benefici che provengono dall’uso commerciale di tali diritti”, e così facendo di “affrontare più direttamente la appropriazione indebita dei benefici che ne derivano”.

La Santa Sede nota che la conferenza ha lo scopo di “riconciliare i vari diritti e interessi in gioco in un modo che i legittimi interessi economici non compromettono valori più alti, come la funzione sociale delle invenzioni e i diritti dei popoli da cui provengono conoscenza e risorse”.

La Santa Sede sottolinea la necessità di “regole culturalmente appropriate a livello internazionale”, riempiendo i vuoti legislativi su risorse genetiche e conoscenze tradizionali.

L’arcivescovo Balestrero rimarca anche una serie di punti. Il primo, che l’adozione di uno strumento legale può aiutare a “complementare gli sforzi per forgiare gli standard internazionali” armonizzando gli approcci esistenti.

Il secondo, che questo strumento legale da adottare debba essere abbastanza flessibile da poter rispondere agli avanzamenti tecnologici.

Terzo, che va garantita una “equa partecipazione economica di popolazioni indigene e comunità locali” nei benefici originati dallo sfruttamento commerciale delle loro risorse genetiche e conoscenze tradizionali.

Infine, la Santa Sede chiede che lo strumento legale permetta alle persone di fornire un consenso libero, previo e informato.

Insomma, conclude l’arcivescovo Balestrero, “una regolamentazione chiara della proprietà intellettuale è il risultato di un equilibrio tra il proprietario dei diritti di proprietà intellettuale e la necessità di permettere a quei benefici di fluire nella società”.

La Santa Sede alla FAO, la Conferenza regionale per l’Europa

Il 15 maggio, monsignor Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le agenzie alimentari delle nazioni Unite, ha preso la parola nel 34esimo periodo di sessioni della Conferenza Regionale per l’Europa.

Nel suo intervento, monsignor Chica Arellano ha affermato che “la attività umana ha una importanza fondamentale per cambiare il corso della storia e orientarla verso il bene comune”, ma che questo può valere anche per i cambi climatici, e che è certo nell’ambito dei sistemi agroalimentari, “giacché questi influiscono e accelerano gli effetti del cambiamento climatico”, ma ne soffrono anche le conseguenze.

L’Osservatore della Santa Sede ha sottolineato che gli agricoltori sono “i primi che devono sopportare le conseguenze dei fenomeni meteorologici estremi”.

Il cambiamento climatico in questo modo “colpisce i mezzi di sussistenza di agricoltori e famiglie, così come la produzione di alimenti e la sicurezza alimentaria di tutti”, e la scienza e la tecnologia sono di grande aiuto per l’umanità, perché innovazione e digitalizzazione sono centrali nella “promozione di iniziative resilienti al clima, di abbassamento di emissioni di gas serra e di azioni di beneficio per la natura”.

Certo, la tecnologia e il conseguente potere derivato dal suo sviluppo “portano con sé rischi che devono essere ponderati”, a partire dal fatto che la tecnologia non deve essere fine a se stessa, ma utile, perché “l’uso che se ne fa marcherà la differenza”.
Inoltre, “in contesti di degradazione e l’esaurimento dei mezzi naturali, la tecnologia può convertirsi in un elemento centrale per la sopravvivenza “se si pone al servizio di tutti, specialmente dei più poveri e degli emarginati”.

La Santa Sede comunque sottolinea che le nuove tecnologie non devono contrapporsi alle culture locali e alle conoscenze tradizionali, ma piuttosto devono “esser loro complementari e lavorare in sinergia”, avendo un approccio “integrato con la realtà” e con la consapevolezza “che tutto è connesso”.

In conclusione, Chico Arellano mette in luce che la delegazione della Santa Sede “esorta che la scienza sia sempre unita ad una retta coscienza e che la tecnologia non conduca alla distruzione o alla negazione della dignità umana”, in particolare nell’attuale congiuntura, e ricorda che il Papa non manca di levare il grido riguardo al conflitto che colpisce questa regione, senza stancarsi di chiedere la fine delle ostilità in Ucraina.

Ucraina e Medio Oriente, l’Osservatore della Santa Sede a New York chiede una de-escalation

No alla soluzione militare, che non crea futuro, e che non funziona, come dimostrano “le migliaia di vite perse, le famiglie distrutte”. Lo dice l’arcivescovo Gabriele Caccia, in una intervista alla sezione inglese di Vatican News, in cui si sofferma sui possibili scenari per la risoluzione dei conflitti, con particolare attenzione a quello in Ucraina e quello in Medio Oriente.

L’arcivescovo Caccia mette in luce l’aumento della spesa per gli armamenti in molti Paesi, sottolinea che questi investimenti sarebbero meglio impiegati nello sviluppo socio-economico e nei programmi di prevenzione dei conflitti, afferma che è piuttosto importante ripristinare fiducia, strutture diplomatiche, cooperazione, e ribadisce la preoccupazione per i pericoli delle armi nucleari.

“È sempre più importante – ha detto l’arcivescovo Caccia – che si ripeta con coraggio e convinzione che solo la pace è la soluzione e che le vie della violenza e del conflitto generano invece morte, perpetuano ingiustizie e riproducono odio”.

L’Osservatore alle Nazioni Unite nota che il Sesto Capitolo della Carta delle Nazioni Unite è tutto dedicato alla ricerca di una soluzione pacifica delle controversie “mediante negoziati, inchieste, mediazioni, conciliazioni, arbitrati, regolamenti giudiziali, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali”, a cui “si possono aggiungere tutta una serie di iniziative di carattere umanitario, che possono facilitare il raggiungimento di tali soluzioni”.

Lo spazio c’è per diversi interventi, che non riguardano solo gli scenari noti, ma anche le guerre ormai dimenticate dai media, come Myanmar, Sudan, Siria, Yemen, Repubblica Democratica del Congo.

Caccia ha detto che quello che più preoccupa è il crescente rischio di escalation dei conflitti. C’è anche preoccupazione, da parte della Chiesa, riguardo le armi nucleari, le quali “rappresentano una minaccia esistenziale per l’intera umanità, in quanto possono causare distruzioni su vasta scala, compromettere l’ambiente e causare sofferenze indicibili per le generazioni presenti e future”.

Aggiunge Caccia che “in questo senso, vi è una chiara condanna non solo dell’uso, ma anche del possesso, di tali armi, moralmente inaccettabili, poiché contradicono il principio di proporzione nella difesa, rischiando di infliggere danni indiscriminati e irreversibili”.

Ma ci sono anche altri due rischi, ovvero il cambiamento climatico e lo sviluppo incontrollato della cosiddetta intelligenza artificiale. La Santa Sede, nota il nunzio, è in prima linea in tutti e tre i campi.

Il tema resta quello di sostenere i dialoghi multilaterali. In questi contesti c’è “una diffusa erosione della fiducia tra le parti”, mentre – nota il nunzio – “la fiducia reciproca tra gli Stati invece favorirebbe la cooperazione, il dialogo aperto e la risoluzione pacifica dei conflitti. Senza fiducia, le relazioni internazionali possono essere caratterizzate da sospetto, rivalità e ostilità rendendo più difficile raggiungere accordi e compromessi che promuovano il bene comune e la pace duratura”.

Secondo l’arcivescovo Caccia, le Nazioni Unite non sono passate di moda, ma forse “è necessario ritrovare quello spirito che animò quasi ottant’anni fa la creazione di questa organizzazione per poter ritrovare i cammini che oggi possono portare alla pace. Mi pare sia questa la posta in gioco nel prossimo ‘Summit of the future’” che sarà celebrato qui a New York il prossimo mese di settembre”.

                                                           FOCUS EUROPA

Zelensky ringrazia le Chiese ucraine per il sostegno

Il 10 maggio, in occasione dei festeggiamenti della Pasqua secondo il calendario giuliano, il presidente ucraino  ,.

I capi religiosi sono stati ricevuti dal presidente in una sala laterale della cattedrale di Santa Sofia a Kyiv, di proprietà dello stato e utilizzata come museo. C’erano il metropolita Epifanio, a capo della Chiesa Ortodossa Ucraina, e Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.

Durante l’incontro, il metropolita Epifanio ha dichiarato di volere una pace giusta, che è possibile “solo se sconfiggiamo il nemico”, mentre Sua Beatitudine Shevchuk ha messo in luce il lavoro umanitario della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, che ormai giunge ininterrotto dall’annessione russa della Crimea nel 2014. Shevchuk ha anche sottolineato che “si stanno verificando persecuzioni terribili, molto peggiori che ai tempi di  Stalin, perché gli strumenti di controllo sulle persone sono ora molto più efficaci”.

La Chiesa Ortodossa Ucraina che era legata al Patriarcato di Mosca fino al maggio 2022 sta organizzando azioni umanitarie, ma non è stata invitata all’incontro con il presidente perché accusata dal governo di collaborazionismo con la Russia. La Chiesa Ortodossa Ucraina continua comunque a celebrare le sue messe nella famosa lavra di Kyiv.

Un appello per la pace e i diritti umani per l’Armenia e gli armeni in Nagorno KarabakH

In una lettera inviata ai candidati per le elezioni europea, il network cattolico Giustizia e Pace e Europa ha chiesto di supportare un forte impegno dell’Unione Europea con l’Armenia e gli Armeni rifugiati e sfollati dal Nagorno Karabakh, la regione chiamata in armeno Artaskh.

Le lettere sono state firmati dall’arcivescovo Antoine Herouard e da Maria Hammershoy, co presidenti del Network che riunisce circa 30 sigle di Europa.

Lettere chiedono all’Unione Europea di esercitare pressione su lato armeno e lato azerbaigiano, e specialmente su quest’ultimo, per risolvere le questioni presenti esclusivamente attraverso negoziati e mezzi pacifici, in pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di ciascuna nazione, nonché della legge internazionale, evitando l’uso della violenza.

Secondo la lettera, l’Unione Europea dovrebbe insistere sull’implementazione di tutte le decisioni e raccomandazioni rilevanti giunge dalla Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Europea dei Diritti Umani.

Giustizia e Pace Europa spinge l’Unione Europea a offrire aiuto umanitario “costante e affidabile” per i circa 150 mila armeni del Nagorno Karabakh rifugiati e gli sfollati interni armeni, inclusi 38 mila vecchi e 25 mila bambini, i quali sono satti forzati a lasciare le comunità come un risultato delle azioni dell’Azerbaija, prima con la guerra del 2020, poi con le incursioni intermittenti nel territorio armeno dopo la guerra, e infine con l’attacco su larga scala del settembre 2023.

I co-presidenti hanno anche chiesto che l’Unione Europea insista perché ci sia una missione UNESCO indipendente che possa valutare lo stato dei siti anziani della fede cristiana in Nagorno Karabakh e chiedono di estendere il mandato della missione UE in Armenia perché si riportino in maniera continuativa gli attacchi alla libertà religiosa.

Il Network Giustizia e Pace Europa include più di 30 commissioni nazionali in tutto il continente.

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Un nunzio apostolico in Venezuela

Arriva finalmente dopo tre anni la nomina di un rappresentante del Papa in Venezuela. Dopo, infatti, che l’arcivescovo Aldo Giordano era stato destinato alla nunziatura presso l’Unione Europea nel 2021 (nunziatura che occupò per pochissimo tempo, prima di morire di COVID), la Santa Sede non aveva nominato più un suo rappresentante in Venezuela. Questo era anche probabilmente dovuto alle frizioni con il governo di Maduro, che poi recentemente sono state appianate anche grazie alla visita dell’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, nel Paese.

Nel posto di nunzio va l’arcivescovo spagnolo Alberto Ortega Martin, che sembra essere particolarmente apprezzato come risolutore di problemi in nunziature difficili. Ortega Martin viene infatti dalla nunziatura in Cile, e prima ancora era stato nunzio in Iraq e Giordania.

Nato nel 1962, sacerdote dal 1990, Ortega Martin è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1997. Ha servito nelle rappresentanze pontificie di Nicaragua, Sudafrica e Libano, e dal 2004 ha lavorato in Segreteria di Stato, dove ha avuto il desk su Nord Africa e Penisola Arabica.

Papa Francesco ha nominato Ortega Martin nunzio apostolico in Giordania e Iraq nel 2015, mentre nel 2019 lo ha desinato a guidare la nunziatura in Cile.  Il 14 maggio 2024 è stato nominato nunzio in Venezuela.

Nominato il nunzio delle Isole Solomon

L’arcivescovo Mauro Lalli, già destinato da Papa Francesco alla guida della nunziatura di Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, sarà ambasciatore del Papa anche nelle Isole Solomon. La nomina è stata ufficializzata il 14 maggio 2024.

Il nunzio alle Isole Solomon è tradizionalmente legato alla sede di Port Moresby.

Lalli è stato ordinato vescovo il 12 maggio 2024 dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, nella cattedrale di Chieti.

Un nuovo nunzio apostolico in Sud Sudan

Primo incarico come nunzio per monsignor Seamus Patrick Hargan, irlandese classe 1969 nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2005: Papa Francesco lo ha nominato suo ambasciatore in Sud Sudan.

Hargan aveva servito in passato nelle nunziature di Uganda, Svizzera, Filippine, nella Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Segreteria di Stato e poi presso la nunziatura apostolica negli Stati Uniti d’America.

                                                           FOCUS AMBASCIATE

L’ambasciatore di Armenia presenta le sue credenziali

Il 17 maggio Boris Sahakyan, ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, ha presentato le lettere credenziali a Papa Francesco. Classe 1971, di formazione ingegnere, ha poi seguito i corsi dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche nei Paesi Bassi, del George C. Marshall European Center for Security Studies in Germania e dell’UN Disarmament Scholarship Program.

Ha avuto diversi incarichi nel mondo diplomatico, tutti centrati sul controllo degli armamenti, prima di servire dal 2003 al 2006 come secondo Segretario dell’Ambasciata in Austria e della Missione Permanente presso l'OSCE, l'Ufficio delle Nazioni Unite e altre Organizzazioni Internazionali a Vienna.

Nel 2011 è stato nominato primo segretario dell’Ambasciata di Armenia in Italia, di cui è stato anche consigliere. Quindi, negli ultimi anni, ha avuto incarichi sempre più importanti: Consigliere del Segretariato del Personale del Ministero degli Affari Esteri (2014-2017); Inviato Speciale e Ministro Plenipotenziario dell’Ambasciata presso la Federazione Russa (2017-2021); Consigliere del Segretariato del Ministero degli Affari Esteri (2021); Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri (2021-2024)

                                                           FOCUS AMERICA

I vescovi Usa chiedono al governo di affrontare la crisi sanitaria delle mamme.

L’8 maggio, una lettera è stata inviata al Congresso Usa per chiedere ai legislatori di affrontare la crisi sanitaria materna della Nazionale. La lettera è firmata dall’arcivescovo Borys Gudziak, dell’Arcieparchia Ucraino Greco Cattolica di Philadelphia, presidente del Comitato della Conferenza Episcopale USA sulla Giustizia Interna e lo sviluppo umano; dal vescovo Robert Barron di Winona-Rochester, presidente del Comitato Laici, Famiglia, Vita e Giovani; e dal vescovo Michael Burbidge di Arlington, che presiedete il comitato sulle attività pro-life.

Nella lettera si chiede ai legislatori di mettere in atto politiche che forniscano una cura sanitaria globale e di alta qualità, sottolineando che la salute è un diritto umano e che pertanto le donne “devono ricevere una cura sanitaria che include una visione olistica della loro inerente dignità e valore espresso nello speciale e dato da Dio dono della maternità”.

La richiesta viene a seguito di una ricercar pubblicata a marzo dall’American Journal of Obstetrics and Gynecolgy che mette in luce come il tasso di morti materne negli Stati Unite è cresciuta dal 144 per cento tra il 1999 e il 2002 e di un ulteriore 23,6 per cento dal 2018 al 2021.

I vescovi USa nota che le donne di colore e indigene sono particolarmente a rischio, e hanno espresso una generale preoccupazione riguardo le disparità razziali che accompagnano la crescita nella mortalità e morbilità materna.

I vescovi hanno sottolineato di vedere madri e famiglie combattere con l’impatto della povertà e della tensione economica, del razzismo, della discriminazione, della rottura delle famiglie, ed esprimono preoccupazione riguardo la crescita della mortalità materna accompagnata da disparità razziali.

Nella lettera, i vescovi premono perché si “considerino politiche che, in linea con i nostri principi sanitari ben stabiliti, fornisca assistenza sanitaria formulata in modo da rispondere ai bisogni delle mamme in ogni momento della vita”.

I vescovi hanno chiesto anche di fornire copertura Medicaid per 12 mesi dopo il parto, e di dare particolare attenzione alle donne e le famiglie povere, specialmente quelle che non possono affrontare una assicurazione sanitaria ma allo stesso tempo non si qualificano per l’assistenza sanitaria.

 

 

La nostra missione è la verità. Unisciti a noi!

La vostra donazione mensile aiuterà il nostro team a continuare a riportare la verità, con correttezza, integrità e fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.

Donazione a CNA