Città del Vaticano , 29 March, 2024 / 1:00 PM
È “In Preghiera con Gesù sulla Via della Croce” il tema delle meditazioni delle stazioni della Via Crucis al Colosseo, scritte quest’anno di suo pugno da Papa Francesco in persona. Non è la prima volta che un Papa scrive personalmente le meditazioni – lo fece già Giovanni Paolo II in occasione della Via Crucis del Grande Giubileo del 2000 –, che nel corso degli anni sono state affidate a cardinali, teologi, famiglie, o hanno anche rappresentato una raccolta di testimonianze come quella dello scorso anno.
Certo, è significativo che Papa Francesco, nell’anno da lui voluto dedicare alla preghiera in preparazione del Giubileo 2025, abbia deciso di scrivere personalmente i testi delle meditazioni. Sono testi permeati da un approccio concentrato sulla preghiera, con una mistica ignaziana, senza alcun tono politico né riferimento all’attualità quasi a voler superare le polemiche degli ultimi due anni. Ma, soprattutto, sembra essere un testamento spirituale del Papa, che sottolinea come la vita comincia “con il perdono di Gesù”, che parla del coraggio del perdono, che chiede al Signore di “spogliarlo” di tutte le apparenze, che fa riferimento alla madre “che ti rimette al posto nel mondo”. E lo fa nello stile di Papa Francesco, con delle invocazioni ripetute al termine di ogni meditazione, a sottolineare un concetto, a farlo penetrare nella mente.
Di cosa parla il Papa in queste meditazioni? Si parte dal Golgota, da Gesù che chiede ai discepoli di vegliare e pregare, che “non chiede l’impossibile, la vicinanza”, e dal fatto che anche noi, come i discepoli, abbiamo dormito anziché vegliare.
“Signore Gesù – scrive Papa Francesco - guardiamo la tua croce e capiamo che hai dato tutto per noi. Noi ti dedichiamo questo tempo. Vogliamo trascorrerlo vicini a te, che dal Getsemani al Calvario hai pregato”.
La prima stazione è quella della condanna a morte di Gesù, che non parla, ma tace. Una reazione che “stupisce”, perché “più il male è forte, più la tua risposta è radicale”, ed è un silenzio “fecondo”, perché è “preghiera, mitezza, perdono, la via per redimere il male, per convertire ciò che soffri in un dono che offri”.
Papa Francesco allora sottolinea che si conosce poco Gesù perché, nella frenesia di oggi, si conosce poco il suo silenzio.
Nella II stazione Gesù è caricato sulla croce, ed è l’occasione per Papa Francesco di riflettere sulle croci “molto pesanti” che viviamo ogni giorno, come “una malattia, un incidente, la morte di una persona cara, una delusione affettiva, un figlio che si è perso, il lavoro che manca, una ferita interiore che non guarisce, il fallimento di un progetto, l’ennesima attesa andata a vuoto…”
La V stazione, in cui Gesù viene aiutato dal Cireneo, mostra un Dio che espone le sue “fragilità” a “un uomo semplice, un contadino al ritorno dai campi”.
Scrive Papa Francesco: “Grazie perché, facendoti sostenere nel bisogno, cancelli l’immagine di un dio invulnerabile e distante. Non sei inarrestabile nel potere, ma invincibile nell’amore, e ci insegni che voler bene significa soccorrere gli altri proprio lì, nelle debolezze di cui si vergognano”. È così che “le fragilità si trasformano in opportunità”. L’invito è a lasciarsi amare da Gesù.
Quindi, Gesù cade sotto il peso della croce. “La croce – scrive il Papa nella meditazione della VII stazione - pesa: porta il carico della sconfitta, del fallimento, dell’umiliazione. Lo capisco quando mi sento schiacciato dalle cose, bersagliato dalla vita e incompreso dagli altri; quando avverto il peso eccessivo e snervante della responsabilità e del lavoro, quando sono compresso nella morsa dell’ansia, assalito dalla malinconia, mentre un pensiero soffocante mi ripete: non ne esci, stavolta non ti rialzi”.
Il Papa guarda anche al peggio, al fatto che “mi accorgo che tocco il fondo quando ci ricasco: quando ricado nei miei sbagli, nei miei peccati, quando mi scandalizzo degli altri e poi mi accorgo che non sono diverso. Non c’è niente di peggio che essere delusi di sé stessi, schiacciati dal senso di colpa”.
Nell’VIII stazione, il Papa medita sulle donne che seguono fino in fondo Gesù, e non sono i potenti, né gli spettatori, ma le donne cui Gesù “ha dato speranza” e “non hanno voce ma si fanno sentire”.
La IX stazione è per Papa Francesco occasione di riflettere sul fatto che Gesù su immedesima coi bisognosi perché lui stesso è stato carcerato, straniero condotto fuori dalla città per essere crocifisso, nudo, spogliato dalle vesti, malato, ferito, assetato sulla croce e affamato d’amore.
Prega Papa Francesco: “Fa’ che ti veda nei sofferenti e che veda i sofferenti in te, perché tu sei lì, in chi è spogliato di dignità, nei cristi umiliati dalla prepotenza e dall’ingiustizia, da guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri nell’indifferenza generale”. È forse questo l’unico riferimento indiretto a un tema quasi politico, che il Papa ha sviluppato più volte recentemente parlando del traffico di armi.
Prega Papa Francesco: “Dio spogliato, metti a nudo anche me”.
Papa Francesco prosegue la riflessione nella X stazione, in cui contempla “il coraggio di scegliere il perdono, che libera il cuore e rilancia la vita”, perché a Gesù “non basta perdonarci”, ma ci giustifica davanti al padre, prende le nostre difese, e ora le sue mani “sono inchiodate” mentre i piedi che portavano lieti annunci “non possono più camminare” e così “nell’impotenza, ci riveli l’onnipotenza della preghiera”.
Eppure – è l’XI stazione – Gesù arriva a gridare al Padre l’abbandono, e lo fa, lui Dio, per “immergersi fino in fondo nell’abisso del nostro dolore”, perché quando sperimentiamo “il crollo delle certezze e il naufragio del vivere, non mi senta più solo, ma creda che tu sei lì con me”.
La XII stazione è quella del ladron. “Gesù – chiosa Papa Francesco - un malfattore in paradiso! Si affida a te e tu lo affidi con te al Padre. Dio dell’impossibile, fai di un ladro un santo. E non solo: sul Calvario cambi il corso della storia. Fai della croce, emblema del supplizio, l’icona dell’amore; del muro della morte un ponte sulla vita. Tu trasformi le tenebre in luce, la separazione in comunione, il dolore in danza, e persino il sepolcro, ultima stazione della vita, nel punto di partenza della speranza”.
La XIII stazione è il dolore di Maria, perché “quel bimbo che tenevi tra le braccia è un cadavere straziato”. Eppure adesso – scrive Papa Francesco - nel momento più sofferto, risplende la tua offerta: una spada ti trapassa l’anima e la tua preghiera continua ad essere un ‘sì’ a Dio. Maria”.
Chiosa il Papa: “Noi siamo poveri di ‘sì’ e ricchi di ‘se’: se avessi avuto genitori migliori, se fossi stato più compreso e amato, se mi fosse andata meglio la carriera, se non ci fosse quel problema, se solo non soffrissi più, se Dio mi ascoltasse… Perennemente a chiederci il perché delle cose, fatichiamo a vivere il presente con amore. Tu avresti tanti ‘se’ da dire a Dio, ma dici ancora ‘sì’.”
E infine, la deposizione nel sepolcro, con l’intercessione di Giuseppe d’Arimatea, e Papa Francesco non manca di notare la ciclicità della storia di Gesù, che comincia con un Giuseppe suo padre putativo e finisce con un Giuseppe che lo seppellirà. Il sepolcro di Gesù, nota il Papa “unico nella storia – sarà fonte di vita, era nuovo, appena scavato nella roccia”.
E io – conclude Papa Francesco – “che cosa do di nuovo a Gesù in questa Pasqua? Un po’ di tempo per stare con Lui? Un po’ di amore per gli altri? I miei timori e le mie miserie sepolte, che Cristo attende gli offra come hai fatto tu col sepolcro? Sarà davvero Pasqua se donerò qualcosa di mio a Colui che per me ha dato la vita: perché è dando che si riceve; perché la vita si trova quando si perde e si possiede quando si dona”.
C’è poi una preghiera finale, in quello che sembra davvero rappresentare l’intera “poetica” della predicazione di Papa Francesco. E terminano così le meditazioni della Via Crucis al Colosseo.
La prima Via Crucis al Colosseo venne celebrata nel 1750, voluta da papa Benedetto XIV per quell’ anno giubilare. La via Crucis si tenne al Colosseo fino all’Unità di Italia, e poi fu sospesa. La Via Crucis fu installata di nuovo nell’Anfiteatro Flavio nel 1926, ma la croce non era più al centro, ma di lato. Giovanni XXIII portò la via Crucis al Colosseo nel 1959, ma la tradizione costante della Via Crucis al Colosseo venne ripresa nel 1965 da Paolo VI.
(La storia continua sotto)
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