Città del Vaticano , 20 January, 2024 / 4:00 PM
Sembrano proseguire spediti i contatti con il Vietnam, che ha accettato la nomina di un rappresentante residente della Santa Sede (ultimo gradino prima di arrivare alla piena reciprocità diplomatica) e che ora ha portato un gruppo di 16 esponenti del Partito Comunista in visita da Papa Francesco. C’è un invito per la visita del Papa nel Paese, e prima del Papa andranno Gallagher (ad aprile) e Parolin (entro l’anno). Un punto di svolta, si potrebbe dire.
Nel frattempo, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, vola in Ungheria e parla con l’ufficio per i Cristiani Perseguitati del governo Orban, in una visita che ha un forte senso diplomatico. Il Cardinale Parolin ritorna sulla escalation in Medio Oriente.
FOCUS VIETNAM
Da Papa Francesco esponenti del Partito comunista vietnamita. Una visita nel Paese?
Non va sottovalutata la visita che la delegazione del Partito Comunista del Vietnam ha fatto a Papa Francesco nella mattinata del 18 gennaio. Sullo sfondo, c’è un invito a Papa Francesco per visitare il Paese, con tempi che sarebbero maturati da quando Santa Sede e Vietnam sono ad un passo dalle piene relazioni diplomatiche, e da quando il Vietnam ha mostrato un maggiore attivismo internazionale. Sarebbe una svolta.
Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, pianificava un viaggio ad Hanoi nel 2020, e saltò per via dello scoppio della pandemia. Fino ad ora, dunque, i massimi incontri diplomatici tra Santa Sede e Vietnam sono avvenuti a livello di viceministro degli Esteri.
Ma tutto questo cambierà durante quest’anno. L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha fatto sapere lo scorso 18 gennaio che sta preparando un viaggio in Vietnam ad aprile, mentre il Cardinale Parolin dovrebbe andare poi, entro la fine dell’anno.
Gallagher ha anche definito “molto positivo” l’incontro con la delegazione del Partito Comunista Vietnamita, composto da 16 membri, e ha anche aperto ad un possibile viaggio di Papa Francesco nel Paese, sebbene “ci sono alcuni viaggi in più da fare prima che questo sia appropriato”, sebbene “il Papa abbia voglia di andare e la comunità cattolica è felice che il Papa vada”.
Gallagher ha anche sottolineato che l’incontro con la delegazione del Partito Comunista Vietnamita “rappresenta un certo rinnovamento della loro attitudine verso la comunità internazionale della Chiesa”. Allo stesso tempo, il “ministro degli Esteri” vaticano ha sottolineato di “sperare di incoraggiarli sulle linee di una maggiore libertà religiosa, cosa che hanno nella loro costituzione, che stanno praticando, ma che è ovviamente un work in progress.
Papa Francesco aveva ricevuto appena prima di Natale un invito scritto per visitare il Vietnam dal Comitato Governativo per gli Affari Religiosi del Paese. Nella nota inviata a Santa Marta, si invita il Papa a sperimentare “gli sviluppi socio-economici e la vita religiosa” del Paese del Sud Est asiatico.
Secondo il comitato, il presidente del Vietnam Thuong ha affermato di condividere il desiderio dei sette milioni di cattolici vietnamiti di accogliere il Papa, sottolineando di essere rimasto colpito dall’incontro con Papa Francesco e il Cardinale Pietro Parolin durante la sua visita in Vaticano a luglio.
Da parte sua il presidente Thuong aveva annunciato di aver firmato una lettera indirizzata a Papa Francesco per invitarlo in Vietnam il 14 dicembre, durante la sua visita al Palazzo Arcivescovile di Hue per lo scambio di auguri di Natale e per il nuovo anno.
Il 23 dicembre, la Santa Sede ha nominato il primo rappresentante residente nel Paese, l’arcivescovo Marek Zalewski, raggiungendo il livello più alto di relazioni dal 1975. Il Regolamento del rappresentante residente era stato definito durante la storica visita del presidente Thuong in Vaticano lo scorso 14 luglio. Il Regolamento è ancora in fase di definizione e non sia mai stato reso pubblico. Tuttavia si tratta di una svolta. In precedenza, i "rappresentanti non residenti" dovevano lavorare molto duramente in termini di viaggio, alloggio e lavoro. Il governo limita le persone ad entrare in Vietnam non più di 3 volte all'anno e a rimanere non più di 3 giorni ogni volta, devono soggiornare in un hotel e non avere la propria auto.
Sulla carta anche il suo lavoro pastorale è limitato, ma in realtà sta diventando sempre più facile viaggiare e celebrare la messa. Recentemente ha potuto soggiornare anche per un breve periodo presso i Palazzi Vescovili. Tuttavia non ha un rapporto “diplomatico” con il Governo, non gode dello stesso status di un diplomatico regolare, non ha sede, non ha personale e non può restare troppo a lungo.
Ma la grande svolta è arrivata al X Ciclo di incontri tra Vietnam e Santa Sede del marzo 2023, quando sono stati presi accordi su dove sarà situata la sede, sul numero del personale, sulle attività da svolgere e sul rapporto tra il Rappresentante Residente e lo Stato. Entrambe le parti ritengono che questo sia il risultato di un processo di scambio positivo nello spirito di rispetto, cooperazione e comprensione reciproca.
Le relazioni Vietnam-Vaticano sono tuttavia complesse e non dimostrano ancora il principio di “reciprocità”. Da quando hanno iniziato le discussioni tra loro nel 1989, le due parti hanno tenuto numerosi incontri per discutere questioni di cooperazione tra le due parti, con l'obiettivo di stabilire una diplomazia bilaterale.
Come detto, il massimo rango di un rappresentante della Santa Sede in Vietnam è stato a livello di viceministro degli Esteri. Al contrario, il Vietnam ha avuto molte visite di leader nazionali in Vaticano: il vice primo ministro Vu Khoan nel 2005, poi del primo ministro Nguyen Tan Dung il 25 gennaio 2007 e poi di una serie di altri alti dirigenti come il presidente Nguyen Minh Triet (dicembre 2009), il segretario generale Nguyen Phu Trong (gennaio 2013), il presidente Tran Dai Quang (novembre 2016), il presidente dell'Assemblea nazionale Nguyen Sinh Hung (marzo 2014), il vice primo ministro generale Truong Hoa Binh (ottobre 2018) e più recentemente il presidente Vo Van Thuong (luglio 2023).
Se l’incontro in Vaticano è segno di una nuova attitudine, c’è ancora strada da fare. Il Partito Comunista Vietnamita ha per ora “concordato la politica” di migliorare i rapporti con la Santa Sede, ma resta sempre una dottrina atea che ha desiderio di controllare le religioni.
Non solo. Resta uno dei grandi temi scottanti, ovvero la restituzione delle terre e proprietà della Chiesa nazionalizzate a Nord nel 1954 e poi a partire dal 1975 al Sud. E poi, la libertà religiosa è ancora ostacolata in molti luoghi, soprattutto negli altopiani nordoccidentali e centrali.
Per comprendere quanto il passo avanti sia sostanziale, vale la pena guardare a come i rapporti tra Santa Sede e Vietnam si sono sviluppati.
Dal 1975, tutti i rapporti tra Vietnam e Santa Sede furono praticamente interrotti, e solo la visita in Vietnam del Cardinale Roger Etchegaray, al tempo presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace aiutò a riprendere il dialogo. Un dialogo che andò avanti sotto traccia fino allo storico incontro tra Benedetto XVI e il primo ministro di Hanoi Nguyen Tan Dung in Vaticano nel 2007.
Un anno dopo l’incontro, fu costituito il gruppo di lavoro congiunto Vietnam e Santa Sede, che si è finora incontrato dieci volte.
Da lì è venuto l’accordo per il rappresentante residente della Santa Sede, salutato dall’arcivescovo Giuse Nguyen Nang di Saigon, presidente della Conferenza Episcopale del Vietnam, come una buona notizia.
Ci sono almeno tre fattori che aiutano questa relazione a continuare a migliorare.
(La storia continua sotto)
Le Migliori Notizie Cattoliche - direttamente nella vostra casella di posta elettronica
Iscrivetevi alla newsletter gratuita di ACI Stampa.
In primo luogo, grazie agli incontri e al lavoro del Gruppo di Lavoro, le due parti hanno cercato di promuovere 'somiglianze e allo stesso tempo 'rispetto delle differenze'. Come ha sottolineato Mons. Nang nella Lettera congiunta, la nomina del Rappresentante residente “è il risultato di un lungo processo di incontri e scambi, soprattutto dopo la costituzione del Gruppo di lavoro congiunto Vietnam-Vaticano nel 2008”.
In secondo luogo, i leader vietnamiti sono venuti in Vaticano uno dopo l’altro e sono stati accolti dal Papa. Raramente in un paese così tanti leader di alto rango sono venuti in Vaticano e hanno incontrato il capo della Chiesa cattolica. Ogni anno ad Hanoi si recano anche delegazioni della Santa Sede a livello viceministeriale. Grazie a ciò, i sospetti reciproci vengono gradualmente eliminati e le due parti hanno più fiducia reciproca.
In terzo luogo, come ha sottolineato il primo ministro Nguyen Tan Dung incontrando Papa Benedetto XVI nel 2007, sembra che “il governo vietnamita valorizzi sempre il rapporto con il Vaticano” e intraprenda azioni specifiche per migliorare i rapporti con il Vaticano.
Queste sono anche le ragioni per cui, mentre i rapporti tra il Vaticano e la Cina, Paese comunista e vicino del Vietnam, sono sempre in fase di stallo, quelli tra Hanoi e la Santa Sede si rafforzano costantemente.
La differenza con la Cina, che ha comunque firmato un accordo per la nomina dei vescovi nel 2018, è che la relazione Vaticano-Cina non presenta i tre elementi sopra menzionati, soprattutto il terzo elemento. Pechino non sembra valorizza il suo rapporto con la Santa Sede. Nel corso del 2023 ha nominato unilateralmente il vescovo di Shanghai (nomina poi sanata da Papa Francesco) e l’ausiliare di una diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede.
Il riferimento alla Cina non viene a caso, perché Pechino è un gigantesco vicino del Vietnam e perché Pechino e Hanoi condividono la stessa ideologia, quella del partito unico, comunista e socialista.
Ma Hanoi ha compiuto passi diplomatici considerati audaci e indipendenti nell’ultimo anno. Dopo molti anni di esitazione, Hanoi ha coraggiosamente “fatto un salto” (“un passo, due passi”), migliorando le relazioni con gli Stati Uniti da “partenariato globale” a “partenariato strategico globale”. Mentre i rapporti di Pechino con il Vaticano restano stagnanti, quelli tra Hanoi e il Vaticano sono gradualmente migliorati.
Quando Papa Francesco visitò la Mongolia all’inizio di settembre 2023, Pechino proibì a vescovi, sacerdoti, monaci o laici di recarsi nel Paese vicino per incontrarsi o partecipare ad attività e cerimonie. Nel frattempo, sette vescovi (tra cui l’arcivescovo Joseph Nguyen Nang) e molti sacerdoti, monaci e laici vietnamiti sono liberi di recarsi nella capitale Ulaanbaatar e partecipare agli eventi e alle attività di Papa Francesco durante tutto l’anno.
I cattolici ora sperano di accogliere una visita del Papa. Sebbene siano ancora considerati una minoranza (attualmente circa 7,2 milioni di persone, ovvero il 7,2% della popolazione del Vietnam), i cattolici in Vietnam sono piuttosto numerosi rispetto a molti paesi e regioni asiatici (al quinto posto in Asia dopo Filippine, India, Cina e Indonesia ). Inoltre, la Chiesa cattolica in Vietnam è molto organizzata e vivace.
La Thailandia, Paese a maggioranza buddista con appena 400.000 cattolici circa, ha accolto Giovanni Paolo II nel 1984 e Francesco nel 2019. Francesco ha visitato anche la Mongolia, Paese grande, ma dove i cattolici sono solo quasi 2000.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Medio Oriente, la preoccupazione del Cardinale Parolin
Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha affrontato le preoccupazioni della Santa Sede sugli scenari in Medio Oriente a margine di una conferenza sul cardinale Achille Silvestrini lo scorso 17 gennaio. Le parole del Cardinale venivano a seguito degli attacchi nel Mar Rosso da parte dei ribeli Houthi, l’escalation delle violenze a Gaza e anche all’assalto missilistico a Erbil, e mettevano in luce la preoccupazione della Santa Sede per una eventuale escalation del conflitto, con un allargamento del conflitto a tutta l’area mediorientale e del Golfo che “si voleva evitare”.
“Il pericolo c’è – ha detto il Cardinale - gli animi sono talmente appassionati e la situazione è delicata… Bisogna fare in modo che ciascuno cerchi di controllare le reazioni in modo tale che non ci sia un incendio generale”.
Per quanto riguarda il conflitto tra Israele e Hamas, il Cardinale ha ribadito la “soluzione dei due popoli e dei due Stati”, ipotesi che Hamas ha rifiutato categoricamente – e anche il primo ministro israeliano Benjamin Nethanyahu si è detto contrario allo Stato Palestinese.
Guardando allo scenario ucraino, il capo della diplomazia vaticana ha detto che finora ci si limita “alla dimensione umanitaria”, che è poi uno dei dieci punti della “Formula della pace” proposta dal presidente ucraino Volodymir Zelensky.
La Santa Sede ha preso parte alle conferenze di pace di alto livello chieste da Zelensky: a quella a Davos sta partecipando l’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore permanente della Santa Sede a Ginevra, mentre le altre due si sono tenute in Arabia Saudita e a Malta.
Il Cardinale ha anche commentato il rapporto di Open Doors sulla persecuzione dei cristiani del mondo, che sottolinea come siano circa 365 milioni le persone che subiscono violenza e persecuzioni a causa del proprio credo. Il Cardinale Parolin ha notato che “I cristiani in tante parti del mondo non hanno quel minimo di libertà religiosa che è loro diritto e che è diritto di tutte le religioni di essere rispettate nelle loro manifestazioni di fede. D’altra parte, il Vangelo l’aveva già previsto… Con questo non vogliamo promuovere queste cose ma è un po’ la condizione dei cristiani nel mondo di trovare ostilità, opposizione, persecuzione. È la testimonianza nel nome di Gesù che comporta questo”.
Il cardinale ha anche guardato al dialogo con la politica, anche in Italia, evocando un coordinamento tra Santa Sede e CEI e notando come in politica si parli di valori come solidarietà e sussidiarietà, che sono anche principi della Costituzione italiana, e come il fine vita. In particolare, in Italia non è stata approvata una legge sul fine vita in Veneto. Il Cardinale Parolin ha sottolineato che si tratti di “un tema nostro. La vita in tutte le sue fasi, le sue dimensioni, le sue espressioni, dall’inizio naturale fino alla fine naturale.
Il cardinale Sako e la preoccupazione per il Medio Oriente in fiamme
In una intervista con Asia News, il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei Caldei, ha messo in luce la situazione dell’Iraq, un Paese “spaccato”, dove la gente è “stanca e delusa” e dove il cammino della diplomazia è sempre più fragile, in particolare a seguito dell’attacco di Teheran prima nel confine del Kurdistan iracheno e poi oltre il confine Sud Est, in territorio pakistano.
Il cardinale Sako ha spostato la sede del suo patriarcato ad Erbil in polemica con il governo iracheno per il ritiro di un decreto presidenziale che avrebbe tolto personalità giuridica alla Chiesa Caldea in Iraq.
Il cardinale Sako ha notato che le violenze sono “in atto da tempo”, e ha sottolineato che “ogni guerra comporta una tragedia umana scioccante e la responsabilità è dei Paesi leader . Tutti i capi devono superare la catena di divisioni, della vendetta, della violenza, dei conflitti e delle guerre”.
Parlando dell’attacco iraniano, che ha causato anche la morte di un cristiano, il Cardinale Sako ha detto: “Cristiani, musulmani -noi non vogliamo fare distinzioni: qui vengono colpiti uomini e donne, fratelli e sorelle che perdono la vita” senza una ragione.
E ha aggiunto: “Non sappiamo cosa avessero in mente quelli che hanno attaccato - prosegue - ma ciò che resta sul terreno sono i morti”.
Il cardinale ha sottolineato che “le buone relazioni tra vicini non si costruiscono con simili azioni - ha proseguito il pontefice - ma con il dialogo e la collaborazione. A tutti chiedo di evitare ogni passo che aumenti la tensione in Medio oriente e negli altri scenari di guerra”.
Inoltre, il Cardinale ha notato che in tutti i fronti aperti “quasi ogni giorno si verificano attacchi, mentre la politica internazionale manca di serietà e non riesce a trovare soluzioni. Osservano da fuori - accusa - ma non sanno mettere in campo azioni chiare e forti per risolvere questi problemi in Medio Oriente, come sta avvenendo per il conflitto fra Russia e Ucraina. E questo potrebbe legittimare altri attacchi di nazioni più forti verso realtà più piccole”.
Il cardinale ha puntato il dito anche i saggi del mondo e dei capi religioso, il cui ruolo è ormai fatto “solo di discorsi” contro le guerre, ma mancano di azioni concrete “per rispettare la vita e i diritti degli altri” mentre si fa sempre più elevato “il rischio di una guerra dalla connotazione anche religiosa fra ebrei e musulmani, con il coinvolgimento dei cristiani orientali”.
Il cardinale Pizzaballa in visita in Ungheria
Dopo essere stato a Roma, dove si è tenuta anche una riunione della CELRA (la Conferenza Episcopale dei Vescovi latini delle Regioni arabe), il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, ora in visita in Ungheria, dove il 17 gennaio ha incontrato il presidente Viktor Orban nella sua residenza ufficiale al Monastero Carmelitano. Il governo ungherese ha un programma per i cristiani perseguitati, Hungary Helps, e un sottosegretario specificatamente dedicato ai cristiani perseguitati, Tristan Azbej.
Durante l’incontro, il Cardinale e il presidente Orban hanno discusso come aiutare i cristiani che vivono in Terrasanta durante l’attuale conflitto.
Secondo un comunicato diffuso inseguito, Orban e il Cardinale Pizzaballa hanno notato che i combattimenti e le ostilità che hanno portato alla scomparsa delle comunità cristiane in Terrasanta dovrebbero essere evitati.
Il presidente ha rimarcato che l’Ungheria continuerà a sostenere la sopravvivenza del cristianesimo in Medio Oriente attraverso i programmi Hungary Helps, agenzia umanitaria stabilita il 14 aprile 2019. Si tratta di una organizzazione non profit sotto il Ministero degli Affari Esteri e Commercio con lo scopo di dare assistenza a livello locale, affrontando bisogni specifici secondo principi umanitari e di diritti umani.
FOCUS LIBERTÀ RELIGIOSA
Il rapporto annuale dei vescovi USA sulla libertà religiosa
Gennaio è il mese in cui si tirano le somme e si pubblicano diversi rapporti annuali sulla libertà religiosa. Quello di Open Doors, uscito il 17 gennaio, denuncia la chiusura di 15 mila siti cristiani nel corso del 2023, mette in luce la crescita della persecuzione anti-cristiana in alcune nazioni come il Nicaragua, guarda ad un futuro con luci e ombre.
Il 16 gennaio era comunque stato pubblicato il rapporto annuale sulla libertà religiosa della Conferenza Episcopale Statunitense.
Il rapporto identifica le cinque minacce più pericolose alla libertà religiosa, a partire dagli attacchi contro i luoghi di preghiera, specialmente a seguito del conflitto tra Israele e Hamas. Ma il rischio è anche l’imposizione della pratica dell’aborto a dottori obiettori di coscienza, le minacce alle organizzazioni caritatevoli religiose che servono migrati e rifugiati, la soppressione del discorso religioso su matrimonio e differenze sessuali, e i risultati della Commissione per le Opportunità di Impiego per le Lavoratrici Incinte.
C’è poi il tema della violazione del segreto della confessione, tanto che alcune leggi degli Stati obbligano i sacerdoti a riportare tutti i casi di abusi di cui sono a conoscenza, senza eccezioni, nemmeno se la circostanza viene appresa durante la confessione.
Interessante che un’altra area di preoccupazione è considerata la partigianeria della Chiesa, perché – si legge – “questa dinamica non è nuova, e non è unica nel mondo cattolico, né scomparirà presto”, ma “sarà particolarmente cruciale nel 2024, considerando che la presenza della Chiesa nella pubblica piazza richiede una forza coscienziosa e sostenuta”.
Il vescovo Kevin C. Rhoades, di Fort Wayne – South Bend (Indiana), presidente del Comitato per la Libertà religiosa della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, ha notato che le minacce contro i luoghi di preghiera “restano una preoccupazione significativa”, ma che va anche considerato il tema dell’aborto come diritto costituzionale, sancito dalla sentenza del procedimento Dobbs v. Organizzazione Sanitaria Femminile di Jackson.
Il vescovo ha anche notato che “alcuni hanno suggerito che la Chiesa stia contribuendo all’immigrazione illegale”, ma ha anche sottolineato che la Chiesa Cattolica negli Stati Uniti ha sostenuto per decenni una riforma generale della migrazione, che “fornire aiuto umanitario agli esseri umani che hanno bisogno” è sempre necessario, in qualunque modo decida o agisca il Congresso.
Il vescovo ha anche notato che la questione della libertà religiosa “non è solo pericolosa per la nostra nazione e per i principi sui quali è stata fondata la nostra nazione, ma colpisce anche altri nel mondo”.
FOCUS AFRICA
Nigeria, l’arcivescovo di Owerri mette in guardia dalla corruzione
Il 15 gennaio, in occasione della Messa per la Giornata della Memoria delle Forze Armate Nigeriane, l’arcivescovo Lucius Iwejuru Ugorji di Owerri, presidente della Conferenza Episcopale Nigeriana, ha denunciato che “la corruzione è un vizio preoccupante della nostra vita pubblica che è andato fuori controllo”, includendo una serie di crimini come “corruzione, appropriazione indebita, abuso d’ufficio, nepotismo, saccheggio di proprietà pubblica, settarismo, furto d’identità, false dichiarazioni, contraffazione delle pratiche, alterazione della data di nascita, lavoratori fantasma, ciarlataneria e manipolazione”.
L’arcivescovo Ugorji ha sottolineato che “la corruzione è corrosiva, inquinante, degradante e contagiosa. Le vite della maggior parte della nostra gente, giovani e anziani, sono profondamente intrise di corruzione”.
Il Cardinale Czerny in Benin
Il Cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, è stato in Benin dal 17 al 20 gennaio, dove si è fermato anche al presidio ospedialiero di Cotonou, la capitale, un “hub” di carità sanitaria nella regione.
In particolare, il centro sanitario St. Jean è stato creato nel 1963 dalle religiose della Congregazione Saint Joseph di Lione, dopo la loro partenza nel 1986, è passato prima sotto la gestione di laici, attualmente è diretto da sacerdoti nominati dall’arcivescovo di Cotonou. Oggi è un ospedale di zona accreditato, è anche riuscito ad acquistare un terreno di 43 ettari a Sèhouè.
Il Cardinale Czerny ha anche avuto due incontri di lavoro con i vescovi della Conferenza Episcopale del Togo e del Benin, mentre il 19 gennaio ha presieduto una Messa nella Chiesa di Sa Michele a Cotonou. La visita nel Paese si è conclusa con una tavola rotonda sull’ecologia.
Dal punto di vista di sicurezza interna al Paese, il Benin è alle prese con operazioni per fronteggiare la presenza delle milizie jihadiste in Africa occidentale.
FOCUS AMBASCIATE
Il Cardinale Parolin in visita all’ambasciata di Slovacchia presso la Santa Sede
Lo scorso 16 gennaio, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha fatto visita alla sede dell’Ambasciata della Repubblica Slovacca presso la Santa Sede. È la prima visita per il Segretario di Stato, che era accompagnato da monsignor Vincenzo Turturro, negli ultimi anni suo segretario e ora nunzio-eletto in Paraguay – l’ordinazione episcopale potrebbe avere luogo il prossimo 9 marzo.
L’invito al Cardinale era giunto dall’ambasciata come un segno di ringraziamento per il viaggio che il Segretario di Stato vaticano ha svolto in Slovacchia dal 14 al 16 settembre, visitando Bratislava, Košice e siti di pellegrinaggio a Klokočov e Šaštín. Si è trattato della prima visita di un Segretario di Stato vaticano in Slovacchia in 23 ani.
Durante la sua visita alla nostra ambasciata, il cardinale Parolin ha anche dato un'occhiata ad una mostra di opere di fotografi slovacchi e cechi dell'organizzazione no profit Human Faith, dedicata alla visita di Papa Francesco in Slovacchia, alla quale lui e il Santo Padre hanno partecipato anche nel settembre 2021.
Le credenziali dell’ambasciatore di Timor Est presso la Santa Sede
Il 19 gennaio, Papa Francesco ha ricevuto le lettere credenziali del nuovo ambasciatore di Timor Est in Vaticano. Si tratta di Chloé Silvia Tilman Dindo. Giovane (è nata nel 1989), con studi in Portogallo e in Svizzera, è stata Consulente giuridico presso l’Ufficio del Primo Ministro di Timor Orientale (2013 – 2014); Policy Officer presso l’European Hub of the g7+ (2018 – 2020); Consulente giuridico e diplomatico presso il Segretario Esecutivo della Community of Portuguese Speaking Countries – CPLP (2021 – 2022); Chief of Staff del Segretario Esecutivo della CPLP (2022- 2023).
Si parlava di un possibile viaggio di Papa Francesco a Timor Est nel 2020, che poi non ha avuto luogo per via della pandemia. Ora, con il Papa che ha detto di voler visitare la Polinesia, si parla di nuovo di una possibile tappa a Timor Est.
L’invito a Timor Est è aperto dal marzo del 2016, quando Rui Maria de Araujo, primo ministro di Timor Est, era venuto in visita da Papa Francesco e poi dal Cardinale Pietro Parolin per depositare gli strumenti di ratifica dell’accordo tra Timor Est e Santa Sede, che era stato firmato a Dili il 15 agosto 2015 dal Cardinale Parolin mentre questi era inviato speciale di Papa Francesco per i cinquecento anni di evangelizzazione del Paese: si trattava del primo accordo firmato fuori dal Vaticano.
Il cattolicesimo ha un impatto forte nel Paese per un motivo storico legato a San Giovanni Paolo II. Il piccolo Paese di 2 milioni di abitanti ottenne l’indipendenza dal Portogallo il 28 novembre 1975, ma fu subito occupato dall’Indonesia, che la considererà sua provincia per 25 anni. In quegli anni, la Chiesa diede un grande supporto alla popolazione, e Giovanni Paolo II volle visitarla. Era il 1989, e la visita pose subito un problema non da poco: avrebbe il Papa dovuto baciare la terra, come faceva ogni volta che approdava in uno Stato? Non era un problema banale: chinarsi a baciare la terra avrebbe significato riconoscere l’indipendenza della nazione sopra gli occupanti indonesiani. Alla fine, baciò un crocifisso posto per terra.
Giovanni Paolo II era arrivato pochi mesi dopo il referendum promosso dall’ONU con il quale, il 30 agosto 1999, gli abitanti di Timor Est optarono per l’indipendenza. Il 20 maggio 2002, dopo una amministrazione transitoria, nasceva finalmente la Repubblica Democratica di Timor Est anche grazie agli sforzi della Chiesa Cattolica, e in particolare del vescovo Carlos Ximes Belo di Dili, che vinse il Nobel per la Pace nel 2006. Questo portò anche un grande fiorire della Chiesa nella regione: nel 1975, solo il 30 per cento dei timorensi era cattolico, oggi i cattolici sono il 96 per cento della popolazione.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Il Cardinale Parolin presenta un libro su Achille Silvestrini
il 17 gennaio, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è intervenuto alla presentazione del libro “La diplomazia della Speranza”, scritto dalla storica Emma Fattorini e dedicato al Cardinale Achille Silvestrini, un protagonista della diplomazia della Santa Sede – fu lui a presentare l’emendamento sulla libertà religiosa alla Conferenza sulla Sicurezza di Helsinki –, ma allo stesso tempo sacerdote attento ai giovani, come dimostra la presidenza dell’Istituto Villa Nazareth che ha tenuto praticamente fino alla morte e che oggi ha ereditato il Cardinale Parolin.
Nel suo intervento, il Cardinale Parolin ha ricordato che il Cardinal Silvestrini è stato collaboratore di quattro Papi (Pio XII, San Giovanni XXIII, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II), e ne ha sottolineato il ruolo “nelle trattative della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa che si conclusero con la firma degli Accordi di Helsinki nel 1975, presente alla revisione del Concordato tra Stato italiano e Santa Sede nel 1984, dopo decenni di lavoro presso la Segreteria di Stato”.
Creato cardinale nel 1988, Silvestrini prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica fino al 1991 e poi dal 1991 al 200 prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
Secondo il Cardinale Parolin, Silvestrini era un “caleidoscopio di interessi e capacità, unificati dall’amore per la Chiesa di cui sapeva anche vedere criticità e chiusure”. In particolare, amava il cinema, era amico del famoso registra Federico Fellini, ma aveva un particolare interesse per la storia, che lo portò anche a stringere rapporti di amicizia con Alberto Cavallari, direttore del Corriere della Sera dal 1954 al 1969. Non manca il ricordo della “premura” di Silvestrini “per i ragazzi di Vlla Nazareth.
Per quanto riguarda il lavoro diplomatico, Silvestrini – ha sottolineato l’attuale Segretario di Stato vaticano – è stato “testimone del cambiamento della diplomazia vaticana quando, con la fine della guerra di Corea nel 1953, iniziò una stagione più distesa tra i due blocchi che governavano il mondo”, e in quegli anni intensi “cercava di comprendere come i Paesi che avevano raggiunto o stavano raggiungendo l’indipendenza potessero creare una area intermedia che potesse rompere lo schema bipolare”.
Di particolare interesse, il modo in cui Silvestrini guardava alla Cina. Il Cardinale Parolin ha rimarcato che “dopo la pubblicazione della lettera apostolica di Pio XII a difesa della cristianità cinese (Cupimus imprimis, 1952) che ebbe come conseguenza espulsioni e torture di missionari, sacerdoti e vescovi, oltre che la riduzione drastica della comunità cristiana, e a seguito dell’enciclica Ad Sinarum (1954) che inasprì la repressione, nel 1958 lo stesso Pontefice pubblicò l’enciclica Ad Apostolorum che dichiarava illecita la nomina dei vescovi da parte della Chiesa cinese. Una questione molto complessa e delicata che si può almeno in parte comprendere a partire dal caso di Bernardino Dong Guangqing, un frate minore eletto vescovo senza il benestare di Roma (che fu avvisata attraverso un telegramma). La risposta non tardò: la Segreteria di Stato intimò al frate Bernardino di ricusare la nomina. Da quel momento si iniziò a parlare di due Chiese, una clandestina e l’altra patriottica. Ancora una volta, gli appunti di don Achille rivelano il suo essere un fine diplomatico ma anche un pastore profondo”.
Silvestrini, ha aggiunto Parolin, aveva “talmente a cuore la situazione della Cina e della Chiesa in Cina, al punto che chiese, in occasione della visita di Stato di Craxi”, presidente del Consiglio dei ministri italiano, “al governo cinese di Deng Xiaoping, di inserire nei colloqui di vertice la richiesta di un confronto tra il Vaticano e il governo della Repubblica cinese. Da quel momento molte sono state le occasioni per tessere il dialogo: dopo l’intervento di Benedetto XVI nel 2007, durante il pontificato di Francesco, nel 2018, è stato firmato un primo accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, rinnovato poi nel 2020 e nel 2022, procedendo così sulla strada del dialogo bilaterale, che prosegue”.
La nostra missione è la verità. Unisciti a noi!
La vostra donazione mensile aiuterà il nostro team a continuare a riportare la verità, con correttezza, integrità e fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Donazione a CNA