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Il silenzio, i martiri giapponesi e un samurai che potrebbe essere presto santo

La mostra Thesaurum Fidei, presso la Pontificia Università Urbaniana

Con una “cerimonia del tè” il prossimo 16 gennaio si conclude, presso la Pontificia Università Urbaniana, la mostra internazionale Thesaurum Fidei, tutta dedicata ai missionari e martiri cristiani nascosti in Giappone. Perché per 300 anni, i cristiani in Giappone non potevano esistere. Era il tempo del “silenzio”, raccontato anche da un film di Martin Scorsese. Ma era anche il tempo che faceva seguito ai grandi martiri.

Così, mentre a Roma si celebrava la mostra, in Giappone si sono ricordati i martiri. Il 17 dicembre, il Cardinale Maeda, arcivescovo di Osaka, ha messo in luce che ci sono miracoli sotto scrutinio perché si giunga presto alla canonizzazione di Takayama “Justo” Ukon, il samurai di Cristo beatificato nel 2017. E il 23 dicembre, l’arcivescovo di Tokyo Kikuchi ha ricordato il 400esimo anniversario dei martiri giapponesi.

La mostra

La mostra Thesaurum Fidei, inaugurata lo scorso 24 novembre, ripercorre tutto il periodo storico della persecuzione dei cristiani. Il periodo Edo del Giappone dura dal 1603 al 1868, e in quegli anni il Giappone si chiude, i missionari vengono martirizzati, gli stranieri vengono espulsi, e i cristiani perseguitati.

Eppure, l’evangelizzazione in Giappone continua, in maniera diversa. Tutto era iniziato con un missionario gesuita, tra i primi compagni di Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio. Il seme di fede che Francesco Saverio lascia in Giappone permette ai cristiani di rimanere cristiani, nonostante la totale assenza di una gerarchia ecclesiastica, grazie a fedeli e piccole comunità che seguono per oltre 250 anni in segreto gli insegnamenti evangelici e si tramandano la fede in Cristo.

La mostra è stata organizzata dall’arcidiocesi di Lucca in Italia, curata dall’arcivescovo Paolo Giulietti e dalla professoressa Olimpia Niglio.

Perché tutto parte dall’arcidiocesi di Lucca? Perché è stato il 400esimo anniversario del domenicano lucchese Angelo Orsucci (1622) che fu missionario in Giappone e il 450esimo della sua nascita (1573).

Ma questo è solo uno dei tanti anniversari che si celebrano. Nel 1584, 400 anni fa, si stabilì la prima ambasciata giapponese in occidente, la Ambasciata Tenshō, 1584. San Francesco Saverio morì poco più di 470 anni fa, nel 1552, e fu canonizzato poco più di 400 anni fa, nel 1622.

Il samurai di Cristo

Il 21 dicembre, il Cardinale Thomas Aquinas Manyo Maeda, arcivescovo di Osaka, ha commemorato il 409esimo anniversario dell’arrivo a Manila del Beato Justus Ukon Takayama (1552 – 1615), il “samurai di Cristo” beatificato nel 2017. Era stato riconosciuto martire perché perseguitato, e non per essere stato ucciso, ed era arrivato nelle Filippine dopo essere stato espulso dal Giappone nel 1614. Il Cardinale Maeda ha riferito che sono ora sotto indagine alcuni miracoli attribuiti all’intercessione del Samurai di Cristo,.

Se il beato Justus Takayama Ukon (1552-1615), soprannominato il “Samurai di Cristo”, verrà canonizzato, diventerà il primo samurai giapponese ad essere dichiarato santo. Attualmente il Vaticano prosegue le indagini sui miracoli legati all'intercessione del beato martire giapponese.

Takayama è stato il primo beato giapponese celebrato singolarmente. Dal Sol Levante vengono infatti 42 santi e 393 beati, ma sono tutti martiri del periodo Edo (1603-1867), e sono festeggiati in gruppo.

La celebrazione nelle Filippine era parte di un pellegrinaggio compiuta dall’arcivescovo di Osaka insieme ad altri 30 cattolici giapponesi sulle orme del Beato Justo dal 18 al 22 dicembre. Il Cardinale Maeda ha confidato la speranza che la causa di canonizzazione arrivi presto a conclusione, e sottolineato la necessità di pregare “affinché le indagini sui miracoli di Ukon siano completate, approvate e affinché egli venga canonizzato almeno entro il prossimo anno o quello dopo ancora”.

Durante il loro viaggio nella capitale filippina, i pellegrini giapponesi hanno partecipato all'inaugurazione di una statua di Ukon Takayama nella chiesa Saint-Michel a Manila, in segno di amicizia tra le Filippine e il Giappone, alla presenza del cardinale Advincula, arcivescovo di Manila. Il cardinale Maeda ha anche presentato una collezione di dieci dipinti raffiguranti la vita di Ukon nella città di Manila. Hanno visitato anche la cappella dell'Università della Città di Manila, dove sono sepolte le spoglie del beato.

Un po’ di storia. Justo Takayama nacque nel 1522, tre anni dopo l’introduzione del cristianesimo in Giappone ad opera di Francesco Saverio che colpì molti, tra cui Dario, il padre di Takayama, che si fece cattolico insieme a tutta la famiglia quando Ukon aveva 12 anni, battezzato dal gesuita Gaspare Di Lella.

Era una conversione importante: i Takayama erano daimyo, membri della classe dirigente dei signori feudali, cui era consentito di possedere territori, arruolare eserciti e ingaggiare samurai. Erano secondi per rango solo agli shogun nel Giappone medievale.

Così, i Takayama non solo si convertirono. Appoggiarono le attività missionarie, proteggendo i cristiani giapponesi, e favorendo la conversione di decine di migliaia di giapponesi, secondo una stima citata da padre Anton Witmer, postulatore della causa del di beatificazione del Samurai di Cristo, che però ci tiene a sottolineare che non ci sono dati precisi.

Ha scritto padre Witmer sull’Osservatore Romano nel 2017: “Grazie alle attività missionarie e sociali di Justus, il numero dei cristiani nel dominio di Takatsuki, con circa 30.000 abitanti, aumentò da 600 nel 1576 a 25.000 nel 1583: in pratica la maggioranza del popolo. A lui si deve anche la fondazione della chiesa nella città di Osaka”.

La prima persecuzione comincia nel 1587, quando Justo ha 35 anni, e Toyotomi Hideyoshi, cancelliere del Giappone, decide di espellere i missionari, incoraggiando i cattolici autoctoni ad abiurare. Con coraggio, Justo e suo padre mantennero la loro fede.

Una scelta drastica, perché quando un samurai non obbedisce, perde tutto quello che ha. Justo sopravvive solo grazie alla protezione dei suoi amici aristocratici, subendo enormi pressioni per abiurare la sua fede.

Nel 1597, sempre Toyotomi ordina l’esecuzione per crocifissione di 26 cattolici, sia stranieri che giapponesi. Questo non scoraggiò Ukon Takayama. Fu parzialmente riabilitato. Ma quando nel 1614 lo shogun Tokugawa Ieyasu bandì definitivamente il cristianesimo, Justo partì per l’esilio e guidò un gruppo di 300 cattolici verso le Filippine. Si stabilirono a Manila. Ma l’inverno rigido diede il colpo di grazia al fisico di Justo Takayama, già provato dalle persecuzioni in Giappone. E questi morì il 4 febbraio dell’anno successivo.

Colpisce, nella storia di Takayama Ukon, anche l’impatto che ha avuto la via del tè nello sviluppo spirituale dei cristiani Giappone, ed è il motivo per cui la mostra all’Urbaniana si conclude proprio con una cerimonia del tè. Il Beato Justo era una famoso maestro del tè, e utilizzava la casa da tè per gli esercizi spirituali. Nonostante l’origine Zen della cerimonia del tè, i missionari scoprirono che l’apertura spirituale insita nella cerimonia del tè aiutava i cristiani giapponesi a progredire nella contemplazione e a trovare pace nella ricezione giapponese del cristianesimo stabilito nel mondo del tè.

Il ricordo dei martiri del Giappone

L’arcivescovo Tarcisio Isao Kikuchi di Tokyo ha invece ricordato con una Messa il martirio di 50 cristiani giapponesi avvenuto il 4 dicembre 1623 su un ponte nel centro di Edo, l’antico nome della capitale giapponese. La celebrazione è stato il culmine di 15 mesi di commemorazione dei martiri del Giappone, che si è celebrata nel Paese del Sol Levante tra ottobre 2022 e dicembre 2023.

(La storia continua sotto)

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Il massacro dei cristiani avvenne 400 anni fa. Il 4 dicembre 1623 furono bruciati vivi su un ponte nel centro di Edo, l'antico nome di Tokyo, che sarebbe diventata una delle città più grandi e influenti del mondo. L’arcivescovo Kikuchi ne ha ricordato il sacrificio sul luogo di esecuzione lo scorso 19 novembre.

Arrivato sulle coste giapponesi nel 1549 con San Francesco Saverio, in due generazioni si contavano in Giappone più di 650 mila fedeli e 150 membri del clero. Sono i dati del 1614, quando già era stato imposto il divieto del cristianesimo nel 1587, durante l’era del leader giapponese Toyotomi Hideyoshi, il secondo dei tre unificatori del Giappone.

Chi erano i cristiani ricordati dal vescovo di Tokyo? Come detto, in Giappone c’era già una persecuzione di cristiani. Un gruppo di 26 persone, tre gesuiti giapponesi, sei francescani stranieri e diversi laici, tra cui bambini, furono crocifissi a Nagasaki il 5 febbraio 1597 dopo una marcia forzata di quasi 1000 chilometri. Sono conosciuti come San Paolo Miki e compagni, e Papa Francesco ne visitò il luogo del martirio durante il suo viaggio in Giappone nel 2019. San Paolo Miki era aspirante gesuita, e perdonò pubblicamente i suoi persecutori, mentre si racconta che tutti cantarono il Te Deum mentre si avvicinavano al luogo dell’esecuzione.

Fu grazie all’esempio di questi martiri che i cristiani in Giappone hanno continuato a crescere, nonostante la messa al bando del cristianesimo. E si giunge così al grande martirio di Edo ricordato dall’arcivescovo di Tokyo.

Le testimonianze di molti di questi “cristiani nascosti” – kakure kirishitan in giapponese – sono raccontate in lettere e documenti restaurati nell’ultimo decennio dagli archivi e dalla biblioteca vaticana.

Verso la metà del XIX secolo, i sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi tentarono un nuovo ingresso in Giappone. Oggi il paese conta ancora una grande presenza di vari ordini religiosi che hanno evangelizzato il paese, come i francescani. L’imperatore Meiji, che regnò dal 1867 al 1912, permise al Giappone di riaprire alla libertà religiosa nel 1889. Nel febbraio 2023 la Chiesa locale ha celebrato il 150esimo anniversario dalla revoca (nel 1873) del divieto al cristianesimo. Nel 1904 venne creata la prima diocesi del Paese (oggi ce ne sono sedici), e nel 1960 mons. Pierre Tatsuo Doi, allora arcivescovo di Tokyo, fu creato cardinale.

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