Reggio Emilia, 05 January, 2024 / 4:00 PM
Un pomeriggio d’inverno, a Reggio Emilia, nel cuore delle feste natalizie. Si passeggia lungo la via Emilia, mitica e insieme familiare, tra negozi, piazze, chiese. Dal Duomo alla basilica di San Prospero, a quella della Ghiara, cara a tanti fedeli devoti alla Madonna la cui immagine qui si venera. Luminarie che occhieggiano mentre il sole tramonta e non lontano dalla città si estende la campagna che si allarga verso il Po. Ci si sofferma a immaginarlo, davanti alla vetrina di una piccola libreria, in vetrina la copertina di un volume dedicato al grande fiume. Entriamo e tra gli scaffali scoviamo libri di e su Silvio D’Arzo, Rolando Livi e Giovannino Guareschi. Tutti legati a queste terre, a questa città.
Guareschi, dunque. Si torna a questo grande scrittore che non è ricordato e valorizzato come meriterebbe. Diventa facile rievocare quei giorni del giugno 1941, quando Guareschi sta facendo un giro in bicicletta di cui poi vuole scrivere per il Corriere della Sera. Ha fatto sapere l’itinerario che, di lì a poco, avrebbe percorso in bicicletta: da Milano, Piacenza, Salsomaggiore, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Cesena, San Marino, Riccione, Ravenna, Comacchio, Ferrara.
Il Mondo piccolo nasce proprio a Reggio Emilia nel momento in cui Giovannino, in sella alla sua bicicletta, arriva davanti a una cascina, la cascina Liguria, su cui troneggia la scritta: “In questa casa non si bestemmia”. Una sorta di folgorazione, una specie di luce che si accende nella sua mente e nella sua fantasia.
Infuria la guerra, nel 1941, ma leggendo le cronache di viaggio di Giovannino, sembra che in questo angolo di mondo ci si trovi a vivere in un altro mondo, quasi isolato. Percorrendo l’antica strada romana – che per lui iniziava, come il Po, da Piacenza – Guareschi si imbatte in quel Mondo piccolo che sarebbe poi venuto alla luce qualche anno dopo. A partire da quella scritta su una povera casa di campagna, In questa casa non si bestemmia».
Un embrione che presto prende vita e che nel 1948 si sarebbe trasformato nella vita e nella storia di un piccolo paese della Bassa . Un paese in cui il parroco e il sindaco si fronteggiano a suon di processioni e comizi. Il paese degli immortali don Camillo e Peppone, e ovviamente c’è il Po, il grande fiume e il suo universo fatto di miseria, bellezza, stranezze, crudeltà, fede incrollabile. Senza quel viaggio in bicicletta, probabilmente il Mondo piccolo non sarebbe mai nato.
Ancora a Reggio c’è una via che conserva l’impronta vivida di un altro grande, poco conosciuto, Silvio D’Arzo, pseudonimo di Ezio Comparoni, autore, tra l’altro, di quello che verrà poi definito il racconto italiano perfetto del Novecento, “Casa d'altri”. Lo scrittore è nato in questa via, in una casa modesta, il 6 febbraio 1920, nella quale è vissuto con la madre per tutta la vita. Una vita breve, segnata però da una vocazione chiara e fortissima: la scrittura. E’ morto il 30 gennaio 1952 nel ricovero di Villa Ida ed è sepolto nel cimitero monumentale di Reggio.
L’immagine di Silvio D’Arzo ci accompagna per un tratto, lungo le strade illuminate a festa, ma che diventano più silenziose e remote a mano a mano che ci si allontana dal centro, mentre calano le prime ombre. Lo sguardo può tentare di spingersi oltre palazzi e strade, verso la campagne e i paesi che vi si sprofondano, in corsa verso il grande fiume, il Po, il signore di queste terre.
Come il piccolo borgo di San Valentino, nel comune di Castellarano, nella provincia di Reggio. Qui il 7 gennaio 1931 è nato Rolando Rivi, che pochi anni più tardi matura un percorso di fede tale da riuscire a fargli affrontare minacce, torture e persino la morte. A soli 11 anni, nel 1942, mentre l’Italia è già in guerra, il ragazzo entra nel seminario di Marola nel Comune di Carpineti (Reggio Emilia) e veste per la prima volta l’abito talare che non lascerà più. Nell’estate del 1944 il seminario di Marola viene occupato dai soldati tedeschi. Rolando, tornato a casa, continua gli studi da seminarista, sotto la guida del parroco, testimoniando senza reticenze la sua scelta di vita. Per questo Rolando, nel clima di odio contro i sacerdoti diffusosi in quel periodo, finisce nel mirino di un gruppo di partigiani comunisti. Il 10 aprile 1945, il seminarista viene sequestrato, trascinato a Piane di Monchio, sull’Appennino modenese, rinchiuso in un casolare per tre giorni, brutalmente picchiato e torturato. Venerdì 13 aprile 1945, alle tre del pomeriggio, quel ragazzo di 14 anni, spogliato a forza della sua veste talare, viene trascinato in un bosco di Piane di Monchio e ucciso con due colpi di pistola. E’ stato proclamato beato, ma ancora la sua figura non è conosciuta a pieno, in una sorta di damnatio memoriae che sembra colpire soprattutto le vittime della violenza comunista di quegli anni terribili. Anche la sua esile figura ci accompagna, lungo le vie e i paesaggi di questo angolo di Emilia, ancora bello e suggestivo, ma già piagato dalle violenze che ormai dilagano per i paesi e le città di questo nostro Occidente smarrito.
Andrea Zambrano, Rolando Maria Rivi. Il martire bambino, Edizioni Ares, pp.224, 16 euro
Silvio D’Arzo, Casa d’altri, Garzanti, pp 96, euro 5,60
Giovanni Guareschi, Tutto don Camillo, Bur Rizzoli, tre volumi in cofanetto
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