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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, il Papa parla con al Raisi, il tour europeo di Shevchuk

La bandiera iraniana sul Palazzo Apostolico Vaticano in occasione della visita di Rohani nel 2016

Proseguono i contatti di alto livello tra Iran e Santa Sede. Il 5 novembre, su richiesta di Teheran, Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con il presidente iraniano al Raisi. La Santa Sede punta ad evitare una escalation nella regione, mentre continua senza sosta la guerra di Israele contro Hamas.

Continua il viaggio dell’arcivescovo Gallagher in Australia. Il “ministro degli Esteri” vaticano ha anche parlato all’Università Cattolica di Australia, delineando il valore della libertà religiosa.

Sua Beatitudine Sviatoslav Shevhcuk, padre e capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, è stato in viaggio a Bruxelles, dove ha parlato alla plenaria della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea e ha avuto incontri di alto livello con le autorità europee. Si è tenuta ad Abu Dhabi la pre-conferenza sul clima con i responsabili delle religioni. Per la Santa Sede, ha partecipato il Cardinale Pietro Parolin.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Papa Francesco in conversazione telefonica con il presidente iraniano al Raisi

Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con il presidente iraniano al Raisi nel pomeriggio del 5 novembre, su richiesta dello stesso presidente. Lo ha comunicato prima la presidenza iraniana sul proprio sito ufficiale, sottolineando che Teheran ha sempre apprezzato gli appelli di Papa Francesco per un cessate il fuoco, e poi lo ha confermato la Sala Stampa della Santa Sede.

Il colloquio con al Raisi è il quarto colloquio di alto livello che Papa Francesco ha intrattenuto dall’inizio del confitto a Gaza. Il 2 novembre, Papa Francesco aveva parlato con il presidente palestinese Mahmoud Abbas (conosciuto con il nome di battaglia di Abu Mazen), i 26 ottobre era stato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a chiamare il Papa, mentre il 22 ottobre Papa Francesco si era intrattenuto in conversazione con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Lo scorso 30 ottobre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, aveva avuto un colloquio telefonico con il suo omologo iraniano Amir Abdollahian. Anche questa conversazione era stata sollecitata da Teheran. La Sala Stampa della Santa Sede, nell’occasione, prese la gestione della comunicazione, sottolineando che “nella conversazione, monsignor Gallagher ha espresso la seria preoccupazione della Santa Sede per ciò che sta accadendo in Israele e Palestina, ribadendo l’assoluta necessità di evitare l’allargamento del conflitto e di raggiungere una soluzione di due Stati per una pace stabile e duratura in Medio Oriente”.

Ogni parola del comunicato era pesata. In particolare, il riferimento alla soluzione dei due Stati sottolineava che la Santa Sede non avrebbe mai accettato, nemmeno come eventualità, la non esistenza dello Stato di Israele.

Gallagher e Amirabollahian si sono incontrati lo scorso 25 settembre a margine della Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, e in quell’occasione l’Iran sollecitò la Santa Sede ad una alleanza delle religioni contro la profanazione dei testi sacri. Nella dichiarazione diffusa dal ministero degli Esteri di Teheran a seguito di quell’incontro, si metteva anche in luce come “il perpetuarsi delle sanzioni non ha solo conseguenze inumane”, ma genera anche “complicate questioni regionali”.

Gallagher fece sapere, da parte sua, che apprezzava il nuovo dialogo nelle relazioni tra Arabia Saudita e Iran. In generale, la Santa Sede ha sempre favorito lo sviluppo di relazioni tra i Paesi del Medio Oriente, guardando con favore sia gli approcci tra Arabia Saudita e Israele, sia ai cosiddetti “Accordi di Abramo”. La Santa Sede è stata anche tra quelli che avevano favorito gli accordi sul nucleare iraniano, accordo che sperava potesse essere un modello per altri accordi simili in Medio Oriente. Quando, nel 2018, il presidente Trump decise di abbandonare “l’accordo iraniano” nel 2018, la Santa Sede mostrò preoccupazione guardando alla possibile instabilità causata nella regione da un Iran sempre più isolato.

L’approccio dell’Iran verso la Santa Sede è da questo punto di vista importante, considerando che l’Iran è tra le potenze che potrebbero far scoppiare un conflitto regionale e che Teheran è additato da molti come sostenitore di Hamas.

L’Iran è stato toccato nel 1970 da Papa Paolo VI, che vi fece scalo durante il suo viaggio in India. Recentemente, si contano le udienze concesse da Papa Francesco all’allora presidente iraniano Hossan Rohani nel gennaio 2016, e poi all’allora ministro degli Esteri di Teheran Zarif nel maggio 2021.

                                                           FOCUS EUROPA

Il tour europeo di Sua Beatitudine Shevchuk

Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, padre e capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha effettuato una visita di lavoro a Bruxelles dal 7 al 10 novembre, su invito del vescovo Mariano Crociata, presidente della COMECE.

Tra gli incontri in programma, quello con padre Manuel Barrios Prieto, Segretario Generale della COMECE rieletto al termine dell’ultima assemblea per un mandato quinquennale; quindi con  Olivér Várhelyi, Commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato; Michael Siebert, Direttore Esecutivo per le questioni legate all’Europa Orientale; l’Arcivescovo Noël Treanor, Nunzio Apostolico presso l'Unione Europea; e Klaus Welle, ex Segretario Generale del Parlamento europeo.

Sua Beatitudine Shevchuk ha anche incontrato i vertici della Conferenza delle Chiese Europee e i membri del Parlamento Europeo l’8 novembre, e poi il 9 novembre ha parlato alla COMECE.

Parlando ai rappresentanti della Commissione Europea il 6 novembre, l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha ricordato ai rappresentanti della Commissione europea la visita del Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose a Bruxelles nel 2013, quando i religiosi ucraini dichiararono sostegno inequivocabile alla scelta europea dell’Ucraina, sostegno che lui ha ribadito.

Sua Beatitudine Shevchuk ha condiviso informazioni sulla situazione in Ucraina e sul ministero pastorale della Chiesa greco-cattolica ucraina in tempo di guerra, il cui compito principale è "curare le ferite" e fornire assistenza sociale. Durante l’incontro tra le parti, sono state affrontate tematiche legate alla situazione umanitaria in Ucraina e alla necessità di una stretta collaborazione nel campo umanitario tra le istituzioni competenti dell'Unione Europea e le organizzazioni caritative religiose.

L'esperienza del lavoro della Chiesa greco-cattolica ucraina con i migranti forzatamente emigrati in paesi europei è stata condivisa dal vescovo Stepan Sus, Capo del Dipartimento di Pastorale Missionaria della Chiesa greco-cattolica ucraina. "Le nostre comunità nei Paesi europei svolgono un ruolo importante non solo come luoghi di preghiera, ma anche come centri attivi di servizio sociale. Grazie alla diffusa rete delle nostre strutture pastorali in Europa, siamo stati in grado di fornire l'assistenza necessaria ai profughi provenienti dall'Ucraina e di accompagnarli nelle loro nuove condizioni di vita," ha sottolineato.

Il commissario Várhelyi ha molto apprezzato il significativo impegno della Chiesa greco-cattolica ucraina in ambito umanitario e ha espresso la speranza che "con gli sforzi congiunti, saremo in grado di affrontare tutte le sfide che l'aggressione russa pone al mondo intero”.

Durante l’incontro con Michael Siebert è stata affrontata la situazione religiosa attuale in Ucraina e il ruolo delle Chiese e delle organizzazioni religiose in tempi di guerra. Siebert ha evidenziato il ruolo speciale della Chiesa, che consta nel "curare le ferite spirituali della guerra, che nessuno Stato o organizzazione sociale sarà in grado di sanare".

Durante l’incontro con Skov Sørensen, Segretario Generale della Conferenza Europea delle Chiese, si è discusso della cooperazione ecumenica.

(La storia continua sotto)

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Il Capo della Chiesa greco-cattolica ucraina ha esortato i rappresentanti della CEC ad avviare "un serio processo di studio dell'ideologia del 'mondo russo', che attualmente ha causato morte in terra ucraina e costituisce una minaccia globale per l'intero mondo cristiano".

"Se oggi – ha detto Sua Beatitudine - i cristiani ortodossi uccidono altri cristiani ortodossi, e se una chiesa promuove un'ideologia omicida che causa la morte in nome della difesa dei valori cristiani, il cristianesimo nel mondo moderno secolarizzato perde la sua credibilità”.

Secondo Shevchuk, “il popolo ucraino può aiutare la comunità cristiana mondiale a sviluppare gli anticorpi necessari per combattere il virus del 'mondo russo', poiché siamo stati le prime vittime di questa ideologia omicida”.

A nome della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav ha espresso gratitudine alla CEC per la tempestiva e chiara reazione all'aggressione della Russia contro l'Ucraina, incoraggiando nel contempo i vertici di questa organizzazione a potenziare la collaborazione con l’ambiente religioso ucraino.

Katerina Pekridou, responsabile dei programmi della CEC, ha elogiato il Concetto ecumenico della Chiesa greco-cattolica ucraina come "un documento esemplare per promuovere il dialogo ecumenico". Durante la discussione, sono emersi anche temi legati alla collaborazione tra le strutture ecumeniche della Chiesa greco-cattolica ucraina e la CEC.

Il vescovo Stepan Sus ha sottolineato che "nei Paesi in cui non sono presenti strutture canoniche della Chiesa greco-cattolica ucraina, spesso collaboriamo con rappresentanti delle Chiese locali protestanti e ortodosse". Ha inoltre espresso gratitudine per "l'attenzione fraterna verso le nostre esigenze pastorali e la disponibilità a fornirci l'uso delle loro chiese e scuole”.

L’incontro di Sua Beatitudine con Europarlamentari e membri del Gruppo per il Dialogo Interculturale e Interreligioso si è tenuto l’8 novembre, giorno in cui la Commissione Europea ha proposto di avviare i negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’unione.

La delegazione della Chiesa greco-cattolica ucraina è stata accolta da Jan Olbrycht, membro del Parlamento europeo, a nome del Gruppo per il Dialogo Interculturale e Interreligioso.

Nel suo intervento rivolto ai partecipanti all'incontro, Sua Beatitudine Sviatoslav ha sottolineato che "l'Ucraina e il suo popolo sono parte integrante della civiltà europea. Siamo uno Stato giovane, ma siamo anche un'antica nazione europea con una propria identità europea.”

Sua Beatitudine ha, inoltre, richiamato l’attenzione sulla visita del Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose alle istituzioni europee a Bruxelles nel 2013. In quell’occasione "l'ambiente religioso dell’Ucraina, rappresentativo del 95% della società civile, ha dichiarato all'unanimità ai vertici dell'Unione europea che la scelta europea della società ucraina rimane invariata.”

Pertanto, l’obiettivo principale della visita del Capo della Chiesa greco-cattolica ucraina a Bruxelles mira a "riaffermare questa volontà nel contesto della guerra neocoloniale condotta dalla Federazione Russa contro l'Ucraina. L’Ucraina è in attesa di un invito ad aderire all’Unione Europea”.

Raccontando della situazione religiosa in Ucraina, Shevchuk ha messo in rilievo che "il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose vigila sulla preservazione dei principi della libertà religiosa, ma al contempo supporta le iniziative dello Stato ucraino volte a liberare e tutelare l'ambiente religioso dalla sua strumentalizzazione da parte della Russia, paese-aggressore”.

Particolare attenzione è stata riservata al tema della crisi umanitaria in Ucraina. "A causa dei crimini russi in Ucraina – ha spiegato Sua Beatitudine - 14 milioni di ucraini, di cui 6 milioni sono prevalentemente donne e bambini, sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Attualmente, la maggioranza di loro forzatamente risiede nei paesi dell’UE. Come Chiesa, stiamo facendo tutto il possibile per garantire i loro diritti e la loro dignità, e esprimiamo la nostra profonda gratitudine ai popoli europei per la loro solidarietà e accoglienza nei confronti dei migranti ucraini",.

Sua Beatitudine ha portato all'attenzione dei deputati anche le sfide imminenti dell'inverno, sottolineando che "l'aggressore russo sta deliberatamente tentando di provocare una catastrofe umanitaria in Ucraina, distruggendo sistematicamente le infrastrutture vitali, le sue città e i villaggi, uccidendo la popolazione civile e cercando di provocare una crisi energetica, che arriverà nel prossimo inverno”.

Circa 7 milioni di ucraini dovranno affrontare una nuova crisi alimentare durante la stagione invernale. Il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha esortato i rappresentanti del Parlamento europeo "a compiere ogni sforzo possibile affinché la guerra in Ucraina, innescando una crisi umanitaria, non conduca a una catastrofe umanitaria, la più grande in Europa dalla seconda guerra mondiale.”

Il parlamentare europeo Rasa Juknevičienė ha sottolineato l'importanza di mantenere elevata l'attenzione della comunità internazionale sulla guerra in Ucraina e ha notato i progressi compiuti dall'Ucraina nel percorso verso l'adesione all'Unione europea. L'eurodeputata della Repubblica Ceca, Michaela Šojdrová, ha sollevato la questione dell'istruzione scolastica in situazioni di guerra e migrazione forzata. Šojdrová ha sottolineato che "preservare l'identità nazionale dei bambini ucraini in contesti di inculturazione rappresenta una sfida cruciale, in cui la Chiesa svolge un ruolo di particolare rilevanza".

La COMECE, appello per la giustizia e la pace all’Unione Europea

La assemblea plenaria della Commissione delle Conferenze Episcopali di Europa (COMECE), riunita in questi giorni a Bruxelles, ha chiesto all’Unione Europa di offrire una rinnovata visione di giustizia e pace in una dichiarazione adottata il 10 novembre 2023.

Nella dichiarazione, i vescovi hanno espresso la loro seria preoccupazione riguardo il deterioramento delle condizioni di sicurezza internazionale e pace, lamentando che “il mondo sembra regredire in una dinamica pericolosa, ricordando alcune delle ore più buie dell’umanità”.

I vescovi UE hanno menzionato in particolare l’aggressione russa all’Ucraina, il dolore del popolo armeno nel Caucaso e la sofferenza dei civili in Israele e Palestina. Inoltre, si sono detti preoccupati delle ripercussioni sulle società europea di questa attuale polarizzazione internazionale e instabilità relgionali”.

Nella dichiarazione, i vescovi hanno “fortemente condannato tutte le forme ed espressioni di anti-semitismo, radicalizzazione e xenofobia”, che spesso portano a “violento estremismo e terrorismo” e che hanno preso piede in diverse nazioni europee.

Inoltre, l’assemblea della COMECE si è rivolta anche ai leader e ai cittadini europei in vista delle elezioni europee del 2024, chiedendo di lavorare per una “Europa che impiega appieno il suo potenziale per risolvere i conflitti e per accendere lampade di speranza, agendo come una forza unita, integrante e di fiducia, alimentando principi democratici e lo stato di diritto, dentro e fuori i suoi confini”.

La COMECE ha anche affermato che “mentre non si arrende ad una logica di guerra, l’Unione dovrebbe aprire nuovi processi di dialogo e sviluppare una coerente diplomazia di pace, mostrando una leadership nel ricostruire una architettura globale di pace radicata in un efficace multilateralismo e rispetto della legge internazionale”.

La dichiarazione è stata elaborata a seguito di una serie di scambi tra i membri della COMECE e alcune personalità di alto livello dell’Unione Europea. Si sono rivolti alla plenaria anche il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, e Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.

In particolare, il Cardinale Pizzaballa ha chiesto di evitare di cadere in una guerra di narrative, che “dipingono una visione semplicistica di un conflitto complesso” e ha messo in evidenza il ruolo cruciale di peace maker della comunità cristiana nella regione.

Sua Beatitudine Shevchuk ha condiviso l’esperienza del suo popolo martire, e sottolineato che “l’Ucraina è uno Stato giovane, ma una nazione antica con una identità europea”.

Gruppo dei Leader di Chiesa, incontro con i partiti per il Buon Governo in Nord Irlanda

Il 3 novembre, il Gruppo di Leader della Chiesa di Irlanda hanno incontrato i leader dei cinque maggiori partiti lo scorso 3 novembre, in una serie di bilaterali che hanno come obiettivo la restaurazione del buon governo in Irlanda del Nord.

In una dichiarazione congiunta, i leader delle Chiese – Metodiste e presbitariane, Cattolica, il Consgiglio delle Chiese Irlandesi – hanno sottolineato che “come parte della società civile, abbiamo sentito fosse importante per noi parlare con i principali leader politici dell’Irlanda del Nord, come già facemmo nel 2018, sotto circostanze simili”.

Nella dichiarazione, i leader delle Chiese irlandesi hanno sottolineato che “durante gli incontri, abbiamo messo in luce i feedback che ci arrivano dalle comunità dell’Irlanda del Nord riguardo la serietà della situazione attuale – dato che indica la difficoltà reale e sostenuta sperimentata da molte persone, che si combina con la realtà di oggi giorno su cui dipendono molti dei normali servizi della società. Abbiamo anche detto ai leader di partito che questo sta portando a un crescente senso di disperazione e anche mancanza di speranza nella comunità, portando a una crescente rabbia per l’attuale povero stato di governance”.

I leader della Chiesa hanno anche detto di aver “discusso con ogni partito l’urgente bisogno di restaurare un governo in Irlanda del Nord,” che non sarebbe una panacea, ma sarebbe un primo passo importante anche per ristabilire una speranza e una visione del futuro.

A conclusione degli incontri con i partiti, i leader della Chiesa hanno dunque “chiesto a tutti i partiti politici dell’Irlanda del Nord di avere come priorità l’agire per il bene comune”, e si sono appellati al governo del Regno Unito affinché facciano “tutti i passi necessari a facilitare la restaurazione di una buona governance in Irlanda del Nord.

                                                           FOCUS GOLFO

Il Cardinale Parolin ad Abu Dhabi per la pre-conferenza sul clima

Si è tenuta ad Abu Dhabi, il 6 – 7 novembre, la “Conferenza sulla Confluenza di Coscienza: Unire i leader di fede per una resurrezione planetaria”. La conferenza, che fa seguito all’appello delle religioni per il clima che si era tenuto in Vaticano su iniziative di Italia e Regno Unito, intende preparare l’appuntamento della COP 28 di Dubai, che si terrà dal 30 novembre all’8 dicembre e che vedrà anche una partecipazione di Papa Francesco dall’1 al 3 dicembre.

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha partecipato alla Conferenza di Abu Dhabi, testimoniando l’importanza che la Santa Sede oggi sta dando alla questione climatica mondiale, testimoniata anche dalla recente esortazione di Papa Francesco Laudate Deum.

Nel suo intervento, il Cardinale Parolin ha sottolineato che “la comunità scientifica ha chiarito che l’umanità si è imbarcata in un percorso pericoloso, che provocata un danno serio all’ambiente, e che abbiamo bisogno di un urgente cambio di direzione”.

Secondo il Segretario di Stato vaticano, la crisi climatica ha “profonde radici etiche” ed è un chiaro esempio di un “fallimento di coscienza e responsabilità”, mentre affrontare la crisi climatica chiede “un coinvolgimento da parte di tutti”, non essendo sufficienti gli attori individuali”.

Il Cardinale Parolin si focalizza soprattutto sugli aspetti “etici e sociali” del cambiamento di direzione necessario, che richiede anche una “svolta educativa”.

Quella che abbiamo di fronte – ha detto il Segretario di Stato vaticano – è “una grande opportunità”, perché si può “trasformare questa crisi in un modo di ripensare il tipo di mondo che viviamo”, in uno scenario problematico come quello definito da Papa Francesco “della guerra mondiale a pezzi”.

Il Cardinale Parolin ricorda che “il recente scoppio di conflitti gravi, con l’inquietante impatto umanitario che hanno su persone senza difesa e innocenti, conferma tragicamente questo fatto”, e “allo stesso tempo il nostro mondo è diventato troppo interdipendente per poter sostenere il costo di essere divisi in blocchi di nazioni che promuovono il loro interesse in isolamento e modi insostenibili”.

Il vero nemico, spiega il capo della diplomazia vaticana, è “il comportamento irresponsabile, con profonde conseguenze per ogni aspetto delle vite degli uomini e le donne di oggi e domani”. I leader religiosi sono chiamati, dunque, a richiamare tutti ad azioni di lunga durata, collegiali e solidali, perché “se realizziamo questo, comprenderemo anche la necessità di una cooperazione globale estesa, coesa e proattiva”.

L’intervista di Parolin a seguito di Abu Dhabi

Al termine del Global Faith Summit on Climate Action, i leader religiosi che hanno partecipato hanno firmato per ribadire l’impegno delle religioni nella lotta al cambiamento climatico, con una dichiarazione interconfessionale che li impegna a mobilitare le proprie comunità per affrontare la crisi climatica e per chiedere ai leader della politica di intraprendere azioni concrete alla COP 28 in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre.

Parlando con Vatican News al termine del summit, il Cardinale Parolin ha detto che sì, la questione del clima è “una questione laica”, ma ha anche una dimensione etica e morale su cui possono avere voce i leader religiosi, e la Santa Sede in particolare, che ha “un ruolo unico tra le religioni in quanto ha una rappresentanza diplomatica in tutto il mondo”.

Il Cardinale Parolin ha sottolineato che il Papa è molto interessato ai temi del cambiamento climatico, e che l’attenzione della Santa Sede, al di là dei temi tecnici, si concentra prima di tutto sullo stile di vita, perché “non è sufficiente impiegare più soldi”, ma “bisogna davvero cambiare il nostro modo di vivere”.

Il secondo tema su cui punta la Santa Sede è “l’educazione, perché anche noi svolgiamo la nostra parte in questo impegno”.  

                                                           FOCUS OCEANIA

Il viaggio di Gallagher in Australia

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è in questa settimana in Australia per una visita che tocca diversi luoghi del Paese e che celebra i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Canberra e la Santa Sede.

Il 6 novembre, nel secondo giorno della sua visita ufficiale in Australia, l’arcivescovo Gallagher ha tenuto una conferenza sulle libertà religiosa presso l’Università Cattolica Australiana, che ha sede a Sydney. Sempre a Sydney ha avuto un incontro con i vescovi delle comunità cattoliche ed ortodosse, ha espresso solidarietà alle comunità cristiane delle regioni colpite dai conflitti e le ha esortate a mantenere la speranza e la pace.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha anche avuto, nello stesso 6 novembre, un incontro con i membri della Conferenza Episcopale Australiana riuniti in assemblea plenaria, dopo aver pregato sulla tomba di Santa Maria McKillop, la prima santa australiana.

Il 7 novembre si è tenuto un ricevimento presso la nunziatura di Canberra per celebrare l’anniversario dei rapporti diplomatici tra Australia e Santa Sede. L’8 novembre l’arcivescovo Gallagher è stato ricevuto dal Generale Hurley, governatore generale dell’Australia.

Nel corso della sua lecture sulla libertà religiosa il 6 novembre, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “la questione della libertà religiosa e del rispetto per la religione è un aspetto nascosto e spesso dimenticato”, sebbene questo sia al cuore di quasi ogni conflitto che si è sperimentato recentemente.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha affermato che “tristemente, nel corso della storia fino al tempo presente, la religione, invece di essere una forza armoniosa, è diventata una forza motrice di molte dispute politiche”, e questo nonostante una vera comprensione della libertà religiosa incoraggi l’unità e la diversità, piuttosto che la divisione.

L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “la libertà religiosa non è meramente un diritto umano, ma anche un percorso trascendente e pratico verso la guarigione delle divisioni, la promozione del dialogo, e il forgiare una comunità più pacifica e armoniosa”.

Invece, “l’estremismo religioso, le dispute territoriali che hanno un ricasco religioso, la discriminazione contro le minoranze religiose e il ruolo dei leader religiosi sono tutti fattori che contribuiscono al complesso scenario dei conflitti religiosamente motivati”.

Questo perché “quando gli individui sono liberi di praticare il loro culto e impegnarsi in attività religiose senza interferenze, diventa più facile per altri vedere che le differenze religiose non fanno inerentemente di qualcuno un nemico, ma sono piuttosto un aspetto che definisce l’identità di un individuo”.

A partire da questa prospettiva – ha aggiunto Gallagher – “la Santa Sede è stata spesso obbligata a difendere il suo diritto umano fondamentale, perché diritto fondazionale per l’identità di ciascuna persona e per il libero esercizio della libertà di ciascuno per lo sviluppo integrale di ciascuna persona e dell’intera società”

Da parte sua, la Santa Sede difende “senza sosta” la libertà religiosa e i diritti umani attraverso continue relazioni diplomatiche con nazioni e corpi internazionali, contribuendo “al discorso sulla libertà religiosa” e “giocando un ruolo fondamentale nel difendere la pace, la riconciliazione e la risoluzione non violenta dei conflitti, affrontando le conseguenze umane dei conflitti e promuovendo comprensione e rispetto per le diverse tradizioni religiose”.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

Un nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede

Everton Vieira Vargas, ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, ha presentato lo scorso 6 ottobre le sue lettere credenziali a Papa Francesco.

Classe 1955, Vieira Vargas ha fatto studi diplomatici e di relazioni internazionali in Brasile e negli Stati Uniti, cominciando la sua carriera diplomatica già nel 1977, lavorando nelle rappresentanze di Brasilia Bonn, alle Nazioni unite e in Giappone. Nel 2001 e poi tra il 2005 e il 2007 è stato negoziatore responsabile per il cambiamento del clima.

Tra il 2009 e il 2013 è stato ambasciatore in Germania, quindi tra il 2013 e il 2016 ambasciatore in Argentina, e in fine tra il 2016 e il 2019 ambasciatore presso l’Unione Europea. Tra il 2019 e il 2023 è stato coordinatore delle relazioni internazionali dello Stato del Parà.

Un nuovo ambasciatore di Svizzera presso la Santa Sede

Il secondo ambasciatore svizzero residente a Roma, dopo Dennis Knobel che ha aperto la sede, è Manuela Leimgruber, che ha presentato le credenziali a Papa Francesco lo scorso 6 ottobre.

Nata nel 1971, ha iniziato la carriera diplomatica nel 2001 presso il Dipartimento Federale degli Affari Esteri. Prima di prestare servizio come Collaboratrice Diplomatica nella Direzione del Diritto Internazionale Pubblico del DFAE, è stata inviata all’Ambasciata di Tel Aviv, in Israele.

Dal 2006 al 2010 è stata responsabile degli Affari Politici e Questioni Legali presso l’ambasciata in Italia, e poi dal 2010 al 2015 è stata Responsabile per la Coordinazione delle Politiche con i Paesi Limitrofi. Dal 2015 al 2019 ha lavorato come vice capo missione dell’ambasciata in Colombia, mentre l’ultimo quadriennio ha servito nella stessa posizione come vice capo missione dell’ambasciata in Kenya.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede alle Nazioni Unite, la questione in Palestina

Il 6 novembre, la Santa Sede ha partecipato alla sessione del Quarto Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicate al lavoro dalle UNRWA, ovvero l’Agenzia per il Sostegno e l’Opera per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha rimarcato la escalation di violenza senza precedenti che sta avendo luogo in Israele e Palestina, che ha come risultato “deplorevoli livelli di sofferenza”, e ha ribadito la condanna della Santa Sede per gli attacchi terroristici di Hamas e di altri gruppi armati contro la popolazione israeliana dello scorso 7 ottobre. Allo stesso tempo, il nunzio ha espresso preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria che si sperimenta nella striscia di Gaza.

La Santa Sede incoraggia il lavoro dell’UNRWA, definito “cruciale per promuovere sviluppo umano e fornire servizi umanitari ai rifugiati palestinesi”, ma anche “una fonte di speranza che un futuro di pace sia possibile”.

L’arcivescovo Caccia ha anche espresso preoccupazione per il crescente gap tra i servizi richiesti e la spesa possibile attraverso i soli contributi volontari, e ha enfatizzato il bisogno di una giusta pace che risponda alle richieste legittime di palestinesi e israeliani.

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