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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, la Santa Sede e il timore dell’escalation in Terrasanta

Il cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, in una foto d'archivio

La Santa Sede continua a guardare con attenzione quanto succede in Terrasanta. Papa Francesco ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per la pace il 27 ottobre, al termine della quale, dopo un Rosario nella Basilica Vaticana insieme a tutti i padri sinodali, ha affidato il mondo alla Vergine Maria. Nel frattempo, tornava a parlare il Cardinale Parolin, ribadendo la preoccupazione per la situazione in Terrasanta e mettendo in luce come la Santa Sede sia disposta a mettere in campo ogni tipo di sforzo per evitare una escalation militare nella regione.

La Santa Sede continua a seguire con attenzione la questione ucraina, e sarà rappresentata dal nunzio a Malta, l’arcivescovo Savio Hon, nel terzo incontro sulla Formula di Pace Ucraina, che si tiene nell’isola mediterranea il 28 e 29 ottobre e che vede la partecipazione di più di 50 Stati.

Alta anche l’attenzione sulla situazione in Libano, con vari incontri dei Patriarchi Orientali – con il Papa, con Gugerotti, con autorità italiane – durante la settimana.                                                  

                                                           FOCUS TERRASANTA

Terrasanta, il Cardinale Parolin ribadisce l’unica via della soluzione “Due popoli, due Stati”

Parolin

Due popoli e due Stati: come risposta alla situazione in Terrasanta, la Santa Sede continua a supportare questa soluzione, includendo anche l’idea di dare uno status internazionale alla Città di Gerusalemme. Lo ha spiegato il Cardinale Pietro Parolin, lo scorso 27 ottobre, a margine di un evento in Campidoglio dedicato al Cardinale Achille Silvestrini, sottolineando anche che sta lavorando per un possibile incontro tra il Papa e le famiglie degli ostaggi israeliani.

Secondo il Cardinale Parolin, quella dei “due popoli e due Stati” è “l’unica soluzione viabile che potrebbe assicurare un futuro di pace e di serena vicinanza, attraverso un dialogo diretto tra le due parti”.

Il Segretario di Stato vaticano ha chiesto in particolare di guardare alla situazione dei “bambini straziati da Hamas” ma anche “ai tanti bambini che muoiono sotto le bombe a Gaza.

Il capo della diplomazia della Santa Sede ha notato, riguardo un ruolo nella mediazione, che “tutto quello che è possibile fare lo faremo, il Papa è molto disponibile su questo”, e ribadisce l’appello che “le ragioni della pace possano prevalere sulla violenza e sulla guerra”, ma anche “l’appello per la liberazione degli ostaggi e poi per la crisi umanitaria di Gaza”.

Sono questi, ha aggiunto, i due focus su cui si concentra la Santa Sede, impossibilitata a lavorare su una mediazione al momento, ma capace di avere interlocuzioni sul territorio per tramite delle Chiese locali.

Il Cardinale si è auspicato che la situazione non si aggravi, e ha detto che l’invasione di terra della striscia potrebbe essere “molto legata alla questione della liberazione degli ostaggi, se si riuscisse a risolvere il problema degli ostaggi probabilmente ci sarebbe meno impellenza di intraprendere un’azione di terra”.

Riguardo un eventuale incontro di Papa Francesco con le famiglie dei rapiti, il Cardinale Parolin ha spiegato che si sta pensando di farlo.

Nessuna dichiarazione da parte del cardinale sulla telefonata di ieri del presidente turco Erdogān al Papa (“Non sono al corrente dei contenuti”); mentre sul colloquio telefonico del 22 ottobre tra Francesco e il presidente Usa, Joe Biden, ha affermato: “Pensiamo che gli Stati Uniti anche in questo caso possano svolgere un ruolo importante. Il Papa ha ripetuto quella che è la posizione della Santa Sede nei confronti di Biden, trovando ascolto perché lo stesso Biden – da quanto ho saputo - è preoccupato di una eventuale escalation e spera che le cose non peggiorino”.

Altri contatti con altri leader internazionali non sono esclusi.

Il cardinale Parolin ha anche ricordato che “adesso l’Ucraina è uscita un po’ dall’attenzione, ma certamente anche su quello si continua a lavorare”. “Ho fatto un video – ha aggiunto il Cardinale - per dire che continuiamo a prestare attenzione alla tragedia dell’Ucraina e della necessità di coinvolgerci tutti per trovare una soluzione”.

Israele, il lavoro di sensibilizzazione internazionale del Ministero per gli Affari della Diaspora

Il 24 ottobre, una delegazione dei familiari israeliani assassinati e rapiti nell’attacco di Hamas del 7 ottobre è partito per Roma per incontrare le cariche istituzionali del Paese, i parlamentari e figure chiave della comunità ebraica di Roma. Il viaggio è stato parte della campagna di sensibilizzazione per la liberazione degli ostaggi in mano di Hamas organizzata dal Ministero per la Diaspora in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri.

Negli stessi giorni, c’era una delegazione a Londra dello stesso tipo, che ha avuto molta visibilità.

Amichai Shikli, Ministro per gli Affari della Diaspora, ha dichiarato: "Il viaggio dei

familiari degli ostaggi e delle vittime del 7 ottobre continua a Roma, per una serie di

incontri con le massime istituzioni e cariche politiche del Paese. Faremo tutto il possibile

per esercitare pressione internazionale sul rilascio degli ostaggi”.

La telefonata Erdogan – Papa Francesco

(La storia continua sotto)

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Papa Francesco ha ricevuto una telefonata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan lo scorso 26 ottobre. Erdogan ha sottolineato, secondo la stampa turca, che "gli attacchi israeliani contro Gaza hanno raggiunto il livello del massacro". Durante il colloquio, riferisce sempre la stampa turca, Erdogan ha criticato la mancanza di indignazione da parte della comunità internazionale rispetto agli attacchi contro la Striscia.

Rifugiati, la dichiarazione congiunta dei vescovi di Gorizia – Trieste – Koper

La situazione in Terrasanta ha portato di nuovo diversi profughi che premono sul confine tra Slovenia e Italia, cosa che ha portato il governo italiano a ristabilire i controlli alla frontiera per un primo periodo limitato.

Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, e Jurij Bizjak, vescovo di Koper, hanno firmato una dichiarazione congiunta lo scorso 25 ottobre, sottolineando che “pur comprendendo le ragioni alle basi di queste decisioni degli Stati, non possiamo non ricordare - guardando alla storia di queste nostre terre - che le nostre popolazioni sono state capaci di trasformare le divisioni e le differenze culturali, linguistiche, storiche in occasione di memoria reciprocamente donata”.

I tre vescovi notano che “il transito di tanti fratelli che giungono nelle nostre terre percorrendo la rotta balcanica deve continuare per noi ad essere non motivo di preoccupazione ma stimolo a testimoniare ogni giorno, senza interruzione e con rinnovato vigore quella diakonia dell’accoglienza a cui siamo chiamati e di cui, come credenti, saremo chiamati a rendere ragione”.

Terrasanta, la corrispondenza Crociata – Pizzaballa

Rispondendo ad una missiva inviatagli dal vescovo Mariano Crociata, presidente della Commisione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE), il Cardinale Pierbattista Pizzaballa ha sottolineato che “c’è molta sofferenza e paura nella nostra piccola comunità cristiana e nella società sia israeliana che palestinese, perché la violenza e l’odio producono solo distruzione”.

Pizzaballa ha espresso alla COMECE gratitudine per “la vostra vicinanza spirituale e i vostri sforzi nel sensibilizzare la comunità internazionale”.

Il vescovo Crociata aveva espresso, a nome degli episcopati UE, preoccupazione per “la devastante ondata di violenza scoppiata in Terra Santa”, in seguito al massacro dei civili israeliani del 7 ottobre, e ha espresso “la solidarietà e la vicinanza dei vescovi dell’Ue “a tutte le persone che soffrono”.

Il presidente COMECE ha anche ringraziato il Cardinale Pizzaballa e i Patriarchi e ai Capi delle Chiese di Gerusalemme per il loro “impegno instancabile nel chiedere la pace e la giustizia in Terra Santa, luogo sacro per così tante persone in tutto il mondo”.

Crociata ha infine sottolineato che “in unione con il Santo Padre, Papa Francesco, continuiamo a chiedere alla comunità internazionale, compresa l’Unione europea, di compiere ogni sforzo per contribuire ad allentare la situazione, in rispetto al diritto umanitario internazionale e ai diritti fondamentali di tutti i popoli della regione. Siamo pronti a sostenere gli sforzi delle Chiese locali per la giustizia e la pace in Terra Santa attraverso la nostra missione di dialogo con le istituzioni dell’Unione europea”.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Il Presidente Meloni incontra il Patriarca di Antiochia dei Maroniti

Il 18 ottobre, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio Italiano, ha incontrato a Palazzo Chigi il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti. All’incontro ha partecipato anche il sottosegretario Alfredo Mantovano e i rappresentanti della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Durante l’incontro si è parlato di crisi in Medio Oriente e ultimi sviluppi nella regione, con particolare riferimento alla situazione in Libano. Tra l’altro, oltre ad un incontro con il Cardinale Parolin, i patriarchi che hanno sede in Libano hanno incontrato anche Papa Francesco lo scorso 28 ottobre.

Secondo un comunicato di Palazzo Chigi, “il Presidente Meloni ha sottolineato come la Nazione libanese rappresenti un modello unico di pacifica convivenza e reciproco arricchimento tra diverse confessioni religiose”, e ha ribadito “che la presenza delle comunità cristiane in Medio Oriente è una ricchezza da custodire e proteggere e ha auspicato un rinnovato impegno da parte della comunità internazionale in questa direzione”.

 Infine, “il Presidente del Consiglio e il Patriarca hanno affrontato la questione dei rifugiati siriani presenti in Libano. Da questo punto di vista, Meloni ha ricordato l’enorme sforzo delle autorità e della popolazione del Libano per sostenere lo straordinario numero di rifugiati e sfollati affluiti negli ultimi anni nel Paese dei Cedri e l’attenzione dell’Italia per le istanze del popolo libanese”.

Gli Incontri dei capi delle cinque Chiese cattoliche orientali

Il 26 ottobre, i capi delle Chiese Cattoliche orientali si sono incontrati con Papa Francesco. Il 25 ottobre, intanto, si è tenuto un incontro nel Dicastero della Chiese Orientali su invito del Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali. Hanno partecipato all’incontro i Patriarchi cattolici di Oriente e i partecipanti delle Chiese Orientali al Sinodo.

In particolare, alla riunione hanno preso parte il Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III Younan, il Patriarca maronita e Cardinale Béchara Boutros Raï, il Patriarca caldeo e Cardinale Luis Raphael Sako, il Patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak e Raphael Bedros XXI Minassian, Catholicos Patriarca di Cilicia degli Armeni.

I Patriarchi Cattolici d'Oriente si sono incontrati anche con il Cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, presso il Pontificio Istituto Maronita a Roma. Il Cardinale Grech ha sottolineato l'importanza della missione delle Chiese Orientali, soprattutto nell'ambito della cooperazione nei Paesi del Medio Oriente e della promozione del dialogo con i musulmani. Il porporato ha inoltre elogiato il modello di convivenza tra cristiani e musulmani che insieme costruiscono questo dialogo difficile ma indispensabile.

Il nunzio in Libano incontra il Gran Mufti

L’arcivescovo Paolo Borgia, nunzio della Santa Sede in Libano, ha incontrato Sheikh Abdel Latifr Derian, Gran Muftì della Repubblica Libanese, che lo ha accolto nella sua residenza di Dar al Fatwa.

Secondo le agenzie libanesi, l’incontro ha riguardato gli affari libanesi e quelli della regione. L’arcivescovo Borgia ha confermato al Gran Muftì la volontà di “approfondire e rafforzare i legami di amicizia tra le due nazioni”, mentre il Gran Muftì ha sottolineato che “non c’è Libano senza la parità tra musulmani e cristiani”, e ricordato che il bilanciamento della Repubblica Libanese potrebbe avvenire solo con l’elezione di un presidente.

Il Libano – ha detto Derian – sta “soffrendo le condizioni più pericolose e difficili nei suoi confini meridionali a causa della permanente aggressione israeliana, delle violazioni dei diritti umani nella Palestina occupata, e dei crimini genocidi contro il polo palestinese nella striscia di Gaza”.

Il Gran Muftì ha chiesto alle autorità internazionali di esercitare più pressione sulla comunità internazionale, e in particolare alle Nazioni Unite, perché sia fermata l’aggressione israeliana nei confronti di Gaza e il resto delle aree palestinese, così che “pace e sicurezza possano prevalere nella regione”.

                                               FOCUS UCRAINA - RUSSIA

Ucraina, l’incontro del Primo Ministro con i capi delle organizzazioni religiose

Il 19 ottobre, Denys Shmyhal, Primo Ministro ucraino, si è incontrato con i capi e i rappresentanti delle organizzazioni religiosi del Consiglio Pan-Ucraino delle Organizzazioni Religiose. Assente Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, impegnato nei lavori del Sinodo a Roma, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina era rappresentata dall’arcivescovo Oleksa Petriv, capo del Dipartimento di Relazioni Esterne della Chiesa.

I partecipanti hanno discusso di come affrontare le sfide causate dall’aggressione su larga scala sulla Russia, e il Primo Ministro ha sottolineato che una lista non completa di sostegno in cui si possono impegnare le Chiese include “aiuto umanitario, accoglienza e supporto degli sfollati interni, stabilimento di cappellanie, assistenza psicologica, diversi progetti sociali ma anche l’advocacy dell’Ucraina nelle arene internazionali”. Tra le attività più apprezzata, l’implementazione di programmi per la salute mentale, patrocinati dalla First Lady Olena Zelenska.

Russia, il presidente Putin incontra i capi religiosi

Il 25 ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato i rappresentanti delle associazioni religiose russe nella Sala Santa Caterina del Cremlino.

Hanno partecipato all’incontro: il Patriarca Kirill di Mosca e di tutte le Russie; il Gran Muftì di Russia e Presidente della Direzione Spirituale Centrale dei Musulmani di Russia Talgat Tadzhuddin; il Muftì, Presidente del Consiglio religioso dei Musulmani di Russia Ravil Gaynutdin; il Capo del Sangha tradizionale buddista di Russia Pandito Khambo Lama Damba Ayusheev; Rabbino capo della Russia (Federazione delle comunità ebraiche della Russia) Berel Lazar; Rabbino, presidente della Federazione delle comunità ebraiche della Russia Alexander Boroda; Arcivescovo, capo della diocesi russa e di Novo-Nakhichevan della Chiesa apostolica armena Ezras; Metropolita Kornily di Mosca e di tutta la Russia della Chiesa ortodossa russa di vecchio rito; Vescovo capo dell’Unione russa dei cristiani di fede evangelica (pentecostali) Sergei Ryakhovsky.

Nel suo discorso, il presidente Putin ha condannato “i tentativi di alcune forze di provocare un’ulteriore escalation trascinando altri Paesi e nazioni nel conflitto e usandoli per i loro interessi egoistici, per lanciare un’ondata di caos e di odio reciproco non solo in Medio Oriente ma anche oltre. A questo scopo, stanno cercando di sfruttare i sentimenti etnici e religiosi di milioni di persone, che è la loro politica – se così si può dire – da molto tempo, ben prima della crisi attuale”.

Il presidente ha affermato che “i musulmani vengono contrapposti agli ebrei e chiamati a combattere una “guerra contro i miscredenti”. Gli sciiti sono contrapposti ai sunniti e i cristiani ortodossi ai cattolici. In Europa si chiude un occhio sulla blasfemia e sul vandalismo contro i luoghi sacri musulmani. In alcuni Paesi, glorificano apertamente e ufficialmente i criminali nazisti e gli antisemiti le cui mani sono macchiate del sangue delle vittime dell’Olocausto. In Ucraina, stanno lavorando per mettere fuori legge la Chiesa ortodossa canonica e per approfondire lo scisma”.

Secondo il presidente russo, “queste azioni sono chiaramente progettate per seminare instabilità nel mondo, per dividere le culture, i popoli e le religioni mondiali e per provocare uno scontro di civiltà. Tutto si basa sul noto principio del divide et impera. Nel frattempo, si continua a parlare di un oscuro “nuovo ordine mondiale” che, in realtà, è essenzialmente lo stesso: ipocrisia, due pesi e due misure, pretese di eccezionalismo e di dominio globale e conservazione di quello che è essenzialmente un sistema neocoloniale”.

Secondo il presidente russo, questa situazione sarebbe la reazione all’emergere di un ordine mondiale multipolare, e dunque sta usando “islamofobia, antisemitismo, russofobia” per cercare di fermare il cambiamento di equilibri, traendo anche forza “dal fatto che l’epidemia di violenza e di odio coinvolga non solo il Medio Oriente, ma anche altre regioni, in modo da far divampare vecchi e nuovi focolai di tensione in Eurasia”.

Giocando la carta dell’attacco anti-russo, Putin ha detto che queste forze occidentali “vogliono che il conflitto in Medio Oriente, così come qualsiasi altro conflitto religioso o etnico nel mondo, sia direttamente o indirettamente legato alla Russia in un modo o nell’altro o, per essere più precisi, che dia un colpo alla Russia e alla società russa. Per questo motivo ricorreranno a menzogne e provocazioni e useranno pretesti esterni e interni per indebolire e dividere la nostra società e provocare conflitti etnici e religiosi in patria.”

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Santa Sede a New York, la situazione in Medio Oriente

Il 24 ottobre, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha tenuto un dibattito sulla “Situazione in Medio Oriente, inclusa la Questione palestinese”. Se è vero che questi dibattiti avvengono periodicamente sotto l’egida delle Nazioni Unite, è anche vero che la situazione attuale lo ha reso particolarmente concreto ed urgente.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore presso le Nazioni Unite, ha messo in luce l’escalation di violenza in Israele e Palestina che “ha portato deplorevoli livelli di sofferenza”. A questo proposito, la delegazione della Santa Sede ha posto tre punti all’attenzione.

Il primo è la condanna inequivocabile e assoluta degli attacchi terroristici portati avanti da Hamas e altri gruppi armati il 7 ottobre contro la popolazione di Israele.

Il secondo punto è il fatto che la responsabilità criminale degli atti terroristici non può mai essere attribuita ad una intera nazione o a un popolo.

Infine, la Santa Sede pone all’attenzione preoccupazione per il disastro umanitario che si prospetta a Gaza, dove in migliaia sono morti e in centinaia di migliaia sono stati sfollati. L’arcivescovo Caccia si è anche appellato alle autorità dello Stato di Israele e dello Stato di Palestina di rinnovare il loro impegno verso la pace, reiterando il supporto della Santa Sede alla soluzione dei due Stati.

La Santa Sede a New York, ancora sul disarmo

Il 24 ottobre, il Primo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha tenuto una discussione tematica sulle armi convenzionali. L’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha ricordato che tutti gli Stati parte del Trattato di Non Proliferazione Nucleare hanno l’obbligo di impegnarsi in un trattato per “un disarmo generale e completo”, un obiettivo da riaffermare per ricordare nel mezzo della veloce e globale proliferazione delle normi, specialmente con il diffuso uso indiscriminato di armamenti in Ucraina.

Sempre il nunzio ha ricordato che le armi convenzionali dovrebbero essere usate per scopi difensivi e non diretti a obiettivi civili, e che la comunità internazionale dovrebbe comunque tenere al centro di ogni negoziato la dignità inerente della persona umana. La Santa Sede, inoltre, supporta il Programma di Azione per prevenire, combattere e sradicare il commercio illecito di armi piccole e leggere, nonché l’appello del Segretario generale affinché si aprano negoziazioni per uno strumento legalmente vincolante che proibisca sistemi autonomi letali di armi, i cosiddetti LAWS.

Santa Sede a New York, altre misure di disarmo

Successivamente, il Primo Comitato delle Nazioni Unite ha affrontato il tema delle misure di disarmo. L’arcivescovo Caccia ha ribadito che la Santa Sede supporta la creazione di norme internazionali e istituzioni che promuovono il dialogo e l’uso di tecnologie di comunicazione e informazione per lo sviluppo umano, la giustizia e la pace. Da questo punto di vista, ha detto, la delegazione della Santa Sede ha apprezzato che il Secondo Rapporto annuale sui progressi del Gruppo di Lavoro aperto sulle tecnologie di informazione sia stato approvato per consenso.

Allo stesso tempo, l’arcivescovo Caccia ha notato che “i cbyer attacchi contro ospedali e centri medici ed educative, nonché centri di distribuzione alimentare e altri network umanitari sono cresciuti”, e che le strutture della Santa Sede li hanno dovuti affrontare. Così, alla luce di “rapidi avanzamenti tecnologi e cyberattacchi diffusi”, l’arcivescovo Caccia ha chiesto alla comunità internazionale di supportare e portare avanti la comunicazione internazionale, le norme e gli strumenti legali per promuovere il bene comune e proteggere le persone in situazioni vulnerabili.

La Santa Sede a New York, la questione dell’innalzamento del livello del mare

Il 27 ottobre, si discuteva al Sesto Comitato delle Nazioni Unite il Rapporto della Commissione sulla Legge Internazionale riguardante i Principi Generali della Legge e l’Innalzamento del livello del mare in relazione alla legge internazionale”.

L’arcivescovo Caccia ha prima di tutto parlato dei principi generali della legge, e ha notato gli sforzi della commissione nel chiarire la metodologia appropriata per determinare l’esistenza di principi di legge, ma ha anche chiesto cautela nel promuovere un approccio che alle volte appare porre una non dovuta enfasi sull’analisi empirica della pratica statale e delle decisioni giuridiche.

Quindi, l’arcivescovo ha affrontato il tema dell’innalzamento del livello del mare in relazione alla legge internazionale, mettendo in luce la complessità degli aspetti legali e tecnici dell’innalzamento del livello del mare. Da qui, l’uso di nuove terminologie, come quella di “sfollati climatici” ancora non ben definita nella legge internazionale. Ci vuole, ha detto la Santa Sede, una maggiore chiarezza concettuale per permettere una risposta legale più mirata e globale che salvaguardi i rischi di quelli colpiti dal cambiamento climatico.

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