Città del Vaticano , 02 January, 2016 / 2:31 PM
Entra in vigore l’accordo tra Santa Sede e Stato di Palestina. Un comunicato della Sala Stampa Vaticana riferisce che “la Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno notificato reciprocamente il compimento per le procedure richieste per la sua entrata in vigore”. L’accordo, firmato il 26 giugno 2015, è costituito da un Preambolo e 32 articoli, e riguarda “aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa in Palestina, riaffermando nello stesso tempo il sostegno per una soluzione negoziata e pacifica del conflitto nella regione”.
Il “Comprehensive agreement” è stato favorevolmente accolto da molti osservatori, ma ha suscitato anche le proteste dell’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede, che si era riservata di studiare l’accordo in dettaglio e aveva paventato che questo avrebbe potuto avere implicazioni nella cooperazione tra Israele e Vaticano.
Dal punto di vista giuridico, l’accordo presenta dei temi fondamentali, che possono essere da apripista per ulteriori accordi della Chiesa nella regione mediorientale. Prima di tutto, la Chiesa ottiene riconoscimento giuridico, e il diritto all’obiezione di coscienza è stabilito in maniera fortissima, come mai era accaduto prima negli accordi tra la Santa Sede e la controparte. L’accordo stabilisce inoltre la libertà della Chiesa non solo nei luoghi di culto ma anche nelle attività caritative e sociali, nell'insegnamento, nei mezzi di comunicazione, nella vita pubblica, ed è la prima volta che questo succede in uno Stato a maggioranza islamica. In più, l’accordo si propone come un ‘apripista’ per una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.
Di certo, l’accordo si è inserito in un percorso di reciproco riconoscimento tra Santa Sede e Palestina. La Santa Sede ha cominciato a riferirsi allo stato di Palestina già a seguito della decisione dell’assemblea delle Nazioni Unite di inserire la Palestina tra gli Stati osservatori non membri del consesso ONU, il 30 novembre 2012, e nell'Annuario Pontificio 2015 ci riferisce a relazioni diplomatiche con la Palestina, e con l'Autorità Nazionale Palestinese, come in passato.
Quando la Palestina fu riconosciuta come Stato dall'ONU, la Santa Sede aveva rilasciato una dichiarazione pesata, non come arbitro, ma come Paese particolarmente interessato allo sviluppo degli eventi e desideroso di mantenere rapporti di vicinanza sia con gli israeliani che con i palestinesi. Con i primi, anche per concludere le trattative sull’applicazione dell’Accordo Fondamentale, che sembrano non finire mai. Con i secondi, perché i cristiani della regione sono soprattutto arabi palestinesi, una minoranza isolata che va protetta.
Questa “neutralità” della Santa Sede si è espressa anche nell’accordo con lo Stato Palestinese. Sul modello del Trattato Lateranense, la Santa Sede ha mostrato la sua volontà di esercitare la sua missione educativa, spirituale e morale, rimanendo estranea alle competizioni temporali o politiche e a non reclamare una competenza sulle dispute territoriali tra le nazioni, a meno che non venga espressamente chiesta una mediazione.
La Santa Sede ha mantenuto equidistanza anche quando, in occasione della visita di Papa Francesco alle Nazioni Unite di New York, lo Stato di Palestina ha promosso una risoluzione che consentisse alle bandiere degli Stati osservatori permanenti (la Palestina e la Santa Sede appunto) di sventolare di fronte al quartier generale dell’ONU.
La Santa Sede ha prima chiesto alla Palestina di togliere il suo nome alla risoluzione, declinando l’invito. Poi ha sottolineato di non opporsi alla risoluzione, ma di voler mantenere la tradizione. E infine ha accettato (con la condizione di non fare cerimonie) l’offerta delle Nazioni Unite, che aveva alla fine chiesto alla Santa Sede di innalzare la bandiera un po’ per sfruttare l’effetto mediatico della visita del Papa a celebrare il loro 70esimo, un po’ per equilibrare lo sbilanciamento diplomatico nei confronti della Palestina.
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