Roma, 06 October, 2023 / 4:00 PM
Il “Papa buono” e il “Papa intellettuale e pensoso”. Il Papa del Discorso della Luna e il Papa dell’urlo agli “uomini delle Brigate Rosse”. Diversi, però anche simili, secondo la definizione calzante de futuro Benedetto XVI. E lo stesso destino, in fondo, perché diventati entrambi pontefici, dopo due conclavi consecutivi, anche saliti agli onori degli altari. Che – ha sottolineato Papa Francesco – “hanno saputo guidare la Chiesa in tempi di grandi entusiasmi e però altrettanto di grandi domande e sfide”.
Legati da un’amicizia discreta ma intensa, hanno avuto vite a tratti parallele, a tratti intrecciate, pronte a dare concretezza al vangelo in tempi difficili e a tratti drammatici, ma anche molto ricchi di grandi speranze. Certamente secondo la percezione diffusa, in apparenza, non potrebbero essere uno più diverso dell’altro; il primo bergamasco, di origine contadina, sempre sorridente, grande comunicatore; il secondo bresciano, di famiglia ricchissima, dal carattere timido e riservato.
Eppure hanno più cose in comune di quanto si possa pensare e un filo lungo e resistente unisce Angelo Giuseppe Roncalli, diventato Giovanni XXIII, e Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. Un legame rafforzato anche da una sintonia che è cresciuta nel tempo nella loro visione della Chiesa e della società. Un modo inedito di interpretare e di conoscere più approfonditamente queste due personalità è proposta dal saggista e studioso Marco Roncalli nel suo nuovo libro “Giovanni XXIII e Paolo VI. Due vite intrecciate” (edito da Morcelliana) attraverso documenti attentamente vagliati e le voci degli ultimi testimoni. Si tratta della corrispondenza tra i due (oltre duecento lettere ufficiali o private), i loro diari, appunti, taccuini, le memorie dei loro collaboratori più vicini, le tante tracce disseminate nelle tappe biografiche costellate di incontri, in questo caso narrate e interpretate insieme per la prima volta.
Tutto comincia con gli anni dell’infanzia e della formazione nelle terre d’origine, il riconoscimento della vocazione e i primi passi nella vita di sacerdozio, con il lavoro diplomatico di Roncalli in Bulgaria, Turchia e Grecia, Francia, e di Montini presso la Segreteria di Stato. Si analizza anche il loro atteggiamento nei confronti del regime fascista e delle loro iniziative, sotto il pontificato di Pio XII, per soccorrere ebrei perseguitati e per favorire la fine della seconda guerra mondiale. Seguono gli intensi anni di attività pastorale a Venezia, per Roncalli, e a Milano, per Montini. Anni anche difficili, con tante sfide dal dopoguerra agli anni del boom economico, alle nuove tensioni internazionali e la paura, concreta, di un nuovo, terribile conflitto internazionale.
Fino ad arrivare al fatidico anno dell’elezione di Giovanni XXIII e all’avvio del Concilio Vaticano II. Bisogna ricordare che comunque questo legame speciale è stato già indagato. Pensiamo a “Lettere di fede e amicizia (1925-1963)” , il saggio uscito qualche anni fa che presenta il nutrito rapporto epistolare tra Roncalli e Montini. Il carteggio (nell’edizione curata per l’Istituto Paolo VI ed Edizioni Studium da Loris Capovilla e proprio da Marco Roncalli) copre 40 anni di storia e complessivamente presenta 201 lettere che testimoniano la vicinanza tra i due sacerdoti. Di questi documenti, 91 erano già stati pubblicati nel 1982 da Capovilla in “Giovanni e Paolo due Papi. Saggio di corrispondenza (1925-1962)”. Il testo testimonia la stima reciproca rinsaldata dall’amicizia per quella Chiesa che sono pronti a servire e ad amare nello spirito di obbedienza; una stima che si trasforma in un rapporto sempre più stretto ben sottolineato dal registro stilistico sempre meno protocollare.
Si considerino ad esempio le confidenze alla vigilia del Conclave con Roncalli che il 16 ottobre del 1958 comunica a Montini dalla Domus Mariae: “Voglia gradire il mio saluto di qua dove sto esercitandomi ad un saggio di vita e di responsabilità ecclesiastiche ben gravi. Ho bisogno grande dell’aiuto dei Santi: e perciò mi raccomando a chi è più vicino ai Santi di mia speciale devozione, e dispone di un potere di eccezione sopra il loro intervento celeste e terreste. Tenga dunque raccomandata la intimità del mio spirito a S. Ambrogio e a S. Carlo”.
Nell’ultima lettera, datata 25 maggio 1963, il cardinale Montini scrive una epistola accorata al Pontefice gravemente malato: “Ci è quasi conforto essere col Padre amatissimo ‘In passione socii’ e unire al Suo dolore fisico il nostro spirituale. Crescono così nell’animo i voti, crescono le preghiere per la salute di Vostra Santità, crescono l’ammirazione e l’edificazione per vederLa, anche in questi giorni, sempre solerte e cortese, profondere a quanti accorrono verso la casa del Padre parole animatrici e benedizioni confortatrici, mentre in tutta la Chiesa e nel mondo si diffonde l’eco maestosa e paterna dei Vostri magistrali messaggi”.
Un tono rispettoso, certo, ma anche sinceramente pervaso di affetto umano. E tornando all’ultimo saggio di Marco Roncalli, da queste pagine, dunque, emergono con chiarezza i vasti campi di attività di entrambi, i rapporti con i collaboratori, il segretario Loris Francesco Capovilla, il confessore Alfredo Cavagna, le relazioni con altri amici comuni. Due uomini, due papi, due santi, che hanno lasciato un segno profondo nel loro tempo e un’eredità per la Chiesa di oggi e per tutti gli “uomini di buona volontà”.
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