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Un servizio di EWTN News

Sinodo Greco Cattolico Ucraino, Shevchuk: “Tocchiamo le ferite del popolo ucraino”

Sua Beatitudine Shevchuk, l'arcieparca Gudziak durante la conferenza stampa

Dieci giorni a Roma, per tornare lì dove c’è il legame con Pietro, per essere ascoltati anche dal Papa e per portargli le sofferenze e le speranze del popolo ucraino. Dieci giorni di sessioni intense, di incontri ad alto livello con il Papa stesso, con i cardinali Parolin, Zuppi, Koch, con l’arcivescovo Gugerotti che è stato nunzio a Kyiv e sarà presto cardinale, con il Cardinale Sandri che, come Parolin, andò sui luoghi del conflitto prima che ci fosse l’aggressione su larga scala. Dieci giorni di grandi discussioni, alla ricerca di come stare vicino alle persone in questo tempo di guerra, di definire una "pastorale del trauma". Una conclusione: “Si deve stare con il popolo, per toccarne e comprenderne le ferite”. E un auspicio: “Questo è un sinodo della speranza”.

Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, padre e capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, il 14 settembre ha incontrato i giornalisti al termine del Sinodo (durato dal 3 al 13 settembre) insieme all’arcieparca metropolita di Philadelphia Borys Gudziak. Hanno raccontato dell’incontro con il Papa, delle loro attese, ma soprattutto hanno parlato della popolazione. Da ben prima del conflitto, dalle manifestazioni di piazza Majdan, la Chiesa è stata vicino alla gente. Oggi, ha aggiunto un compito: l’attenzione pastorale per i soldati, il lavoro psicologico per le vittime del conflitto, lo sguardo al futuro, alla ricostruzione.

Sua Beatitudine Shevchuk dice che no, ancora non hanno invitato di nuovo Papa Francesco a visitare l’Ucraina. “Abbiamo detto però – aggiunge- che un giorno aspettiamo questa possibilità, perché per capire cosa succede in Ucraina bisogna toccare le ferite”.

Il lavoro, per la più grande delle Chiese sui iuris, è anche quello di veicolare il pensiero di Papa Francesco. Non è sempre facile. Il Papa fa a volte dichiarazioni che vanno comprese in contesto, ma che permettono varie interpretazioni. Molti lo considerano filo-russo, specie dopo quello che ha detto ai giovani russi il 25 agosto sull’eredità della Madre Russia. Il governo ucraino ha più volte detto che non vuole una mediazione della Santa Sede, il consigliere di Zelensky Podoljak è arrivato a dire che la Santa Sede non è affidabile.

Sono tutte preoccupazioni che sono state portate sul tavolo del Papa durante più di due ore di colloquio, lo scorso 6 settembre. “Quando il Papa ha detto: sto dalla vostra parte, mi sono sentito consolato”, ha detto Sua Beatitudine Shevchuk. Che poi ha aggiunto: “Abbiamo chiesto agli ambasciatori di Ucraina presso la Santa Sede e l’Italia se Podoljak ha parlato a nome del governo o a titolo personale. Ha parlato a titolo personale”.

È il lavoro di cucitura, tra una opinione pubblica vessata dalla guerra, la comunicazione del governo che ha le sue esigenze, e quello di una Chiesa nazionale eppure globale, che deve anche rifuggire al nazionalismo.

A noi spetta ora convincere la nostra gente del messaggio di Papa Francesco e di veicolarlo bene”, spiega Sua Beatitudine. Anche perché l’immagine pubblica del Papa è distrutta in Ucraina. Prima dell’invasione russa, il Santo Padre era il leader religioso più rispettato in Ucraina, ora la sua popolarità è calata fino al 3 per cento e, dopo l’incomprensione sulla questione della “madre Russia” – aggiunge Shevchuk – “non saprei dire quanti ucraini oggi dichiarano la loro piena fiducia nell’immagine pubblica del Papa. Questo per la Chiesa cattolica in Ucraina è un vero problema”. Si tratta di andare oltre la guerra dell’informazione, stabilire una strategia comunicativa che possa garantire una “visione oggettiva degli avvenimenti”.

La comunione con Roma è parte costitutiva della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. “Abbiamo pagato un prezzo altissimo, oggi per questa comunione cattolica e universale è la forza della sopravvivenza del nostro popolodice Sua Beatitudine.

Si deve guardare anche ai fatti. Dall’iniziativa “Il Papa per l’Ucraina” del 2016, passando per l’incontro interdicasteriale del 2019, fino alle centinaia di appelli per la martoriata ucraina, l’attenzione della Santa Sede sulla situazione nel Paese è stata costante.

Ora, in questi giorni, c’è la missione del Cardinale Zuppi in Cina. Sua Beatitudine Shevchuk la definisce “molto importante, perché la Cina è un grande giocatore geopolitico che ha dichiarato di essere sempre disposto a collaborare per la pace”, ma è anche “un chiaro segno che il Papa non si rassegna alla guerra. La Santa Sede e il Santo Padre non sono indifferenti a quello che sta succedendo nel nostro Paese e stanno cercando tutte le possibilità per far cessare questa guerra insensata e deicida”.

Il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina definisce “importante” la visita del Cardinale Zuppi in Ucraina, perché tutto quello che abbiamo messo nelle sue mani, lui lo ha portato a Mosca: la questione dei bambini ma anche l’elenco dei tanti civili ucraini rapiti, torturati, scomparsi a causa dell’aggressione russa”.

Insomma, c’è speranza. Ma c’è anche la necessità di non “mutilare” la parola pace, che deve essere “giusta”, e che “per gli ucraini pace deve essere sopravvivenza. Se una pace non collabora alla sopravvivenza di un popolo, questa pace non è vera. Se questa pace non dura, vuol dire che è una tregua”.

Parlando dell’incontro con il Papa, che il pontefice ha voluto iniziare un’ora prima perché tutti potessero parlare, Sua Beatitudine ha raccontato che hanno portato testimonianza dei vescovi di Odessa, di Donetsk esiliato a Zaporizhzhia, di Kharkiv. E poi c’è la questione dei due sacerdoti redentoristi dell’Esarcato di Donetsk, prigionieri dei russi, padre Ivan Levitskyi e padre Bohdan Heleta, catturati a Berdyansk.

Anche il Cardinale Parolin ne ha parlato nella sua relazione, squarciando un velo di silenzio. Shevchuk ha detto che le ultime notizie che “sono prigionieri dei russi”, ma non si sa “se sono ancora in vita”, nonostante il tema della loro sorte sia stato toccato sia negli incontri del Cardinale Zuppi che del Cardinale Parolin.

Sono tutti temi che restano a margine, perché il primo obiettivo è quello di preservare “la comunione cattolica universale”, quanto mai necessaria se si conta che la guerra ha causato fratture anche all’interno della Chiesa Ortodossa, con il Patriarcato di Mosca sempre più isolato nel suo sostegno alla guerra e antiche ferite dei popoli che riemergono.

In Ucraina c’è un Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle Confessioni Religioseche tra l’altro è stato a Roma in occasione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Da sempre, il consiglio, che rappresenta il 95 per cento delle confessioni religiose ucraine, ha lavorato come onlus, per alleviare le ferite della popolazione. La loro presenza ha permesso di non far degenerare la guerra in una “tragedia umanitaria”, perché – nota Shevchuk – “in Ucraina nessuno è morto di fame, di freddo o altre cause umanitarie lì dove la carità cattolica è stata capace di arrivare”.

Ora la necessità è quella di formulare un nuovo approccio pastorale, che Sua Beatitudine chiama “una pastorale del trauma”, perché “in Ucraina aumenta il trauma della guerra. Ci rendiamo conto l’esistenza del nostro Paese non dipende solo dalle armi che inviano per fermare l’aggressore ma anche dalla capacità di gestire il trauma. Tutti noi siamo feriti e abbiamo capito che tutti noi sacerdoti, vescovi, monaci, dobbiamo imparare un modo nuovo di accompagnare il popolo”.

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