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Un servizio di EWTN News

Dopo il Papa in Mongolia, “la missione della Chiesa è stare con i piccoli”

Il vescovo Mumbiela con Papa Francesco durante l'incontro del Papa con sacerdoti, missionari e vescovi di Mongolia a Ulaanbatar, 2 settembre 2023

Durante il viaggio di Papa Francesco in Mongolia, insieme al Cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbatar, c’era sempre un vescovo. Quel vescovo era José Luis Mumbiela Sierra. Guida la diocesi della Santa Trinità di Almaty, in Kazakhstan, dove è arrivato come missionario fidei donum nel 1988. Ma è soprattutto il presidente della Conferenza Episcopale dell’Asia Centrale, istituita nel 2021, che include gli Stati di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, ma anche Mongolia, Afghanistan e Azerbaijan.

È una conferenza episcopale giovane, che racchiude stati con sfide diverse, ma con alcuni tratti in comune, a partire dal fatto che i cattolici sono in minoranza in quei Paesi. Il vescovo Mumbiela ha parlato con ACI Stampa del viaggio e dell’impatto che può avere il Papa nella regione.

Durante il viaggio in Mongolia, Papa Francesco ha incontrato i missionari e i sacerdoti. Come lo ha trovato?

Lo ho trovato entusiasta, perché questo è il cibo della sua anima. Ha parlato dei buoni pastori, ha parlato di buona politica, dell’anima del tempo, e sono tutti argomenti che viviamo in prima persona negli incontri con le persone. Abbiamo la gioia di poter vedere il frutto di tanto lavoro, di tanta sofferenza. A volte penso a questi fratelli della Santa Sede, che vivono invece in tanta sofferenza nascosta perché non riescono a vedere i risultati nel mezzo di tante cose. E invece noi possiamo vedere i risultati, possiamo toccarli, e il Papa è felice di questa nostra risposta.

Quale è l’impatto che questo viaggio ha avuto sui fedeli?

Ci sono gruppi di fedeli che hanno fatto persino quattro giorni di viaggio dalla Russia per poter essere qui e vedere il Papa. È un atto di fede. Come è un atto di fede per le persone venute dalla Cina. Le persone hanno bisogno di vedere il Buon Pastore, e il Papa rappresenta il buon pastore. Noi non ci rendiamo conto del sacrificio che fanno le persone per sentirsi parte della Chiesa.

Papa Francesco è stato in Kazakhstan nel 2022, e ora in Mongolia. Ma ha avuto modo di chiedere al Papa perché?

Non me lo ha detto, non mi ha spigato il perché di questa attenzione verso l’Asia Centrale. Ma noi ci possiamo chiedere perché Dio fa queste cose, avendo come principio il fatto che il Papa vuole fare quello che propone Dio. Io credo che questo è un tempo speciale per la Chiesa in questi termin, perché c’è la possibilità di guardare anche a luoghi cui non si guardava mai.

E cosa significa oggi guardare a questi luoghi?

È il segno che la fede deve respirare. La Chiesa si deve centrare sull’amore, ed è importante avere una visione superiore, guardare la Chiesa universale, essere vicini alla Chiesa universale. Ma allo stesso tempo, la Santa Sede ha bisogno di stare vicino alla gente che vive in posti che non interessano a nessuno. La missione della Chiesa è manifestare sollecitudine per i piccoli.

Quale è la sfida che lascia Papa Francesco, allora?

Servire i piccoli. È una sfida grande, noi abbiamo una conferenza episcopale che copre Paesi molto diversi. Dobbiamo testimoniare che c’è speranza per tutti, ed è molto importante in una conferenza episcopale che i vescovi ordinari siano uniti. Siamo Paesi molto piccoli, e molto diversi, ma in tutti i cattolici sono minoranza. È facile sentirsi isolati.

Nasce da qui la Conferenza Episcopale dell’Asia Centrale?

Nella nostra Conferenza Episcopale, ogni Paese è distinto, ha un processo differente, vive circostanze e sfide differenti. È comune l’essere minoranza. È comune la necessità di testimonianza, di essere sicuri di parlare della fede senza vergogna.

Come ha trovato il Papa in questi giorni?

Fisicamente, sta molto meglio di quanto ha visitato il Kazakhstan. Sta anche camminando di più. E camminando è più ottimismo. Ma ha lo stesso entusiasmo di sempre.

 

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