I Salesiani sono arrivati in Mongolia nel 2001, hanno portato diverse iniziative, fondato scuole, centri giovani con un gruppo di missionari provenienti da ogni parte del mondo. La Caritas Mongolia è invece guidata da una dinamica suora kenyana, Anne Waturu, arrivata nel Paese sette anni fa. Sono i due volti della carità della Chiesa mongola, esaltata da Papa Francesco nel suo discorso di inaugurazione alla “Casa di Misericordia”, l’ultima grande opera della Chiesa locale.
Durante il viaggio di Papa Francesco in Mongolia, insieme al Cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbatar, c’era sempre un vescovo. Quel vescovo era José Luis Mumbiela Sierra. Guida la diocesi della Santa Trinità di Almaty, in Kazakhstan, dove è arrivato come missionario fidei donum nel 1988. Ma è soprattutto il presidente della Conferenza Episcopale dell’Asia Centrale, istituita nel 2021, che include gli Stati di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, ma anche Mongolia, Afghanistan e Azerbaijan.
Papa Francesco a tutto campo: il dialogo con la Cina, che va avanti, con una commissione mista per la nomina dei vescovi presieduta dal Cardinale Parolin (ed è uno sguardo anche sull’accordo sino-vaticano) . Il concetto della “mistica del terzo vicino” applicato alla Mongolia, a significare la capacità di un Paese di cercare gli altri non per colonialismo, ma per dialogo. L’elogio del Vietnam, un Paese che ha avuto voglia di impegnarsi nel dialogo. Il chiarimento sulle sue parole su Pietro il Grande e Caterina II ai giovani russi, scambiate per un appoggio all’imperialismo. E poi il Sinodo, il cui protagonista è lo Spirito Santo, e l’accusa all’ideologia, una “acqua distillata che non dà sapore”, e la prossima pubblicazione della “Laudato Si bis”, se così si può chiamare, ovvero l’esortazione apostolica che punta ad aggiornare l’enciclica del 2015.
Quello che resta più impresso del viaggio del Papa in Mongolia è forse il momento in cui entra nella ger di Tsetsege, la donna che ha trovato una piccola statua della Madonna in una discarica. In quel gesto, c’era molto della storia del viaggio: una casa portatile, segno del nomadismo di un popolo, portata proprio nel cortile della Chiesa, dove il Papa ha potuto toccare con mano cosa è la vita nella ger; una Vergine che appare all’improvviso là dove non ce la si aspetterebbe, e non tanto perché sta in una discarica, ma perché quella discarica è in un posto dove ci sono pochissimi cattolici; e una Chiesa che capisce l’importanza simbolica di tutto questo, e porta quella statua nella sua cattedrale.
Il congedo dalla Mongolia avverrà domani, all’alba in Italia, quando Papa Francesco si recherà prima alla “Casa della Misericordia” per inaugurarla e poi salirà sul volo che lo riporterà in Italia. Ma il saluto al Paese è avvenuto oggi, al termine di una Messa molto partecipata, dove il piccolo gregge della Chiesa di Mongolia si è riunito insieme a quello dei Paesi vicini o nell’area, dai 40 fedeli portati dal vescovo Chow di Hong Kong, fino ai russi che hanno fatto persino 4 giorni di viaggio solo per essere qui oggi, passando per kazakhi, uzbeki, tajiki. Una porzione di Asia Centrale che mostra la sua anima cattolica. Un’anima diversa per Paesi diversi, eppure simile nella scelta di abbracciare la fede anche quando si è minoranza, tra mille difficoltà, e in Paesi dove spesso la fede viene messa da parte.
Primo Papa a toccare il suolo della Mongolia, Francesco è arrivato in un Paese ricostruito dopo settanta anni di socialismo. C’è la libertà religiosa, ma la Chiesa è ancora parificata ad una ONG, con gli obblighi di assunzione di un tot numero di personale locale. C’è, però, una attività viva della Chiesa. E c’è un lavoro per raggiungere un accordo tra Santa Sede e Mongolia che permetta finalmente di dare status giuridico alla Chiesa.
Dalla suggestiva immagine della ger, la tipica tenda del popolo nomade mongolo, alla tradizione della suun dalai ijii, secondo la quale attraverso l’apertura superiore della ger la luce feconda la regina Alungoo. Dall’idea della pax mongolica, da estendere anche ad un’Europa in conflitto, a quella della profondità, che è quella che si percepisce negli spazi larghi delle steppe.
Papa Francesco è arrivato in Mongolia alle 9.48 ora locale, diventando il primo Papa a mettere piede nel Paese. Ma non ci saranno incontri, in questa prima giornata, tutta dedicata, invece, al recupero fisico. Dunque, accoglienza ufficiale all’aeroporto, con picchetto d’onore e assaggio dello yogurt secco, tradizione mongola e nomade, saluto al presidente e poi il trasferimento alla sede della Prefettura Apostolica di Ulaan Bator, accompagnato dal Cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico, e anche da José Mumbiela, vescovo della Santissima Trinità in Almaty e presidente della neonata (ha appena due anni) conferenza episcopale centro-asiatica.
Quando l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è andato in Mongolia lo scorso giugno, ha lavorato anche per definire un “accordo” tra Santa Sede e Mongolia, quello che un tempo si chiamava concordato, e che serve per meglio definire la realtà giuridica della Chiesa in Mongolia. La speranza era di concludere i negoziati in tempo per il viaggio di Papa Francesco nel Paese, in modo da firmarlo in occasione del viaggio. Non si sa se questo avverrà, e probabilmente ci dovrebbe volere un po’ di più. Di fatto, però, è un passo avanti fondamentale nelle relazioni diplomatiche.
Non c’è ancora una lista ufficiale dei partecipanti all’incontro ecumenico e interreligioso che Papa Francesco presiederà all’Hun Center di Ulanbaatar alle 10 del mattino di domenica 3 settembre. Gli occhi, comunque, sono tutti puntati su quell’incontro, che potrebbe avere, alla fine, un impatto diplomatico superiore a ciò che si pensa. E questo perché il buddhismo praticato in maggioranza dalla popolazione mongola non è un buddismo qualunque, ma il buddhismo tibetano.
Quando Papa Francesco atterrerà in Mongolia, il prossimo 1 settembre, si troverà in un territorio di antica evangelizzazione, dove il cristianesimo arrivò nel VII secolo con i nestoriani e dove il Papa inviò un legato, un francescano, nel XIII secolo, che addirittura precedette l’arrivo di Marco Polo a Kubali Khan. Ma si troverà anche di fronte ad un piccolo gregge di cristiani, stretti tra la grande maggioranza buddhista e l’eredità comunista, in uno Stato che cerca di stabilirsi dai tempi del collasso dell’Impero Sovietico.
Il primo giorno è solo di viaggio, il secondo giorno è solo di recupero. Papa Francesco va in Mongolia dal 31 agosto al 4 settembre, ma in realtà le giornate piene di eventi sono quelle del 2 e del 3 settembre, mentre il 4 settembre ci sarà solo un incontro e la cerimonia di congedo. Nell’occasione, Papa Francesco andrà anche ad inaugurare la “Casa della Misericordia”. Motto del viaggio è “Sperare insieme”.
La morte improvvisa del vicario generale della prefettura apostolica di Ulan Bator ha lasciato nello sconcerto la piccola comunità cattolica di Mongolia. Padre Kim Stephano Seong Hyeon, infatti, era nel Paese dal 2002, punto di riferimento per tutti, che tra l’altro lavorava ai preparativi di una annunciata visita del Papa, che si pensava fosse a settembre e che invece dovrebbe avere luogo già alla fine di agosto.