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Un servizio di EWTN News

La gioventù di San Massimiliano Kolbe

Il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell’Assunta, nel campo di concentramento di Auschwitz, al Blocco 11, con una iniezione di acido fenico, un uomo che aveva impresso sul petto il numero 16670 veniva ucciso. Quell’uomo si chiamava Massimiliano Kolbe. Era un frate conventuale francescano e diverrà santo. Il religioso polacco rappresenta una delle più belle figure di santità del secolo scorso. Visionario per diversi aspetti (importante la sua diffusione della devozione mariana grazie alla carta stampata e addirittura la radio); pioniere del Messaggio evangelico fino al Giappone, terra da lui amata e vissuta; martire perché donò la vita in quel campo di concentramento nazista, prendendo il posto di un padre di famiglia, Franciszek Gajowniczek che nel processo di canonizzazione, rilasciò una testimonianza nella quale vedeva il santo polacco dire a Hans Bock, capoblocco dell'infermeria dei detenuti, incaricato di effettuare l'iniezione mortale nel braccio: “Lei non ha capito nulla della vita. L'odio non serve a niente. Solo l'amore crea!”. Le ultime parole di San Massimiliano Kolbe, porgendo il braccio all’iniezione letale, furono: “Ave Maria”. Ma facciamo un passo indietro, cercando di comprendere da dove era venuto quel frate: quale le sue origini? che tipo di bambino era? come arrivò ad essere religioso francescano? E per rispondere a queste domande, AciStampa ha intervistato un testimone d’eccezione: è padre Raffaele Di Muro, Preside della Facoltà Teologica San Bonaventura-Seraphicum di Roma e direttore della cattedra kolbiana della stessa istituzione universitaria. Padre Di Muro è inoltre autore di innumerevoli saggi su Kolbe.

Padre Raffaele, partiamo proprio dai primi anni di vita di Massimiliano, o meglio di Raimondo, questo il nome prima di prendere i voti. Quali sono i primi passi di Raimondo? Da dove nasce questa sua spiritualità così ricca?

Raimondo Kolbe nasce a Zduńska Wola, un piccolo paesino non lontano dalla capitale della Polonia, Varsavia. E’ l’8 gennaio del 1894. Fin da picccolo Raimondo respira nella sua famiglia - i genitori sono Julius Kolbe e Maria Dąbrowska, di lavoro facevano i tessitori - una religiosità piena, molto ricca. La casa dove abita il piccolo Raimondo è molto modesta, di legno, come vuole la migliore tradizione polacca. E’ una casa a due piani e ancora oggi è possibile visitarla: al primo piano c’è il laboratorio tessile con i telai e tutti gli strumenti di lavoro; il secondo, invece, ha un’unica stanza da letto. I genitori erano terziari francescani e si narra che tutti e due, in giovane età, avessero pensato di sposare la vita religiosa. Poi, invece, le due rispettive famiglie d’origine decisero diversamente facendoli convolare a nozzde. Un desiderio, il loro che, in fondo, potremmo dire sarà quasi un’eredità spirituale per i loro tre figli (tre, almeno sono quelli che sopravviveranno): Francesco, il primo; il secondo, Raimondo, e poi viene Giuseppe. Tutti e tre saranno frati. Francesco e Raimondo entreranno in convento insieme. Poi saranno seguiti da Giuseppe. Tutto ciò riesce a darci l’idea di quanto fosse santa questa famiglia.

Nei primi anni di Raimondo, troviamo un episodio biografico che potremmo definire “un seme” di quella che sarà poi la sua santità. A dieci anni, infatti, Kolbe ha la visione dell’Immacolata: può raccontarci come andò quest’episodio così determinante nella vita del santo polacco?

Il racconto è della madre, Maria Dąbrowska, che depositò come testimone al processo di canonizzazione. San Massimiliano Kolbe non ci lascia nulla di scritto in merito a ciò. Quando avvenne l’episodio, Kolbe aveva all’incirca dieci anni. All’epoca, la famiglia si era trasferita in un altro piccolo paese della Polonia, Pabianice.Qui, vi era una chiesetta dedicata a San Matteo. La casa dei Kolbe non era molto lontana dalla piccola chiesetta. In questa parrocchia è presente un bellissimo altare dedicato all’Immacolata: un quadro bellissimo è posto sopra l’altare. Bisogna premettere un fatto: il piccolo Raimondo, dei tre figli, era il più vulcanico, il più irrequieto. Era così vispo tanto che la madre, un giorno, quasi esasperata dal suo comportamente gli disse: “Che ne sarà di te, piccolo Raimondo?”. Davanti a questa domanda, il piccolo rimase un po’ male. Lo prese, ovviamente, come un aspro rimprovero e così andò a piangere proprio in quella chiesetta vicino casa. E fu proprio qui che avvenne la visione dell’Immacolata recante due corone: Lei, la Vergine, offriva la possibilità di scegliere fra due corone che aveva in mano. Una rossa, il martirio; l’altra bianca, la purezza, la castità. Kolbe accolse entrambe: ovviamente non sapeva cosa stava facendo, cosa avesse scelto. L’episodio lo racconterà alla madre che aveva compreso quale sarebbe stata la vita del figlio: “custodì tutte queste cose nel suo cuore”, così come la Vergine con Cristo. Solamente nel momento del processo racconterà tutto.

Facciamo un salto di tempo e di luogo: 1917, Roma.  Massimiliano è nella Città Eterna presso il collegio San Bonaventura, vicino ai Fori Imperiali. Ed è proprio in questo collegio che avverrà un fatto storico che determinerà la vita di Massimiliano Kolbe: la fondazione della Milizia dell’Immacolata.

Sì, a Roma nasce la Milizia. Nella città dei Santi Pietro e Paolo, Kolbe giunge nel 1912.                              E’ giovanissimo: ha soli 18 anni. Questo è un tempo particolare per la Chiesa: da poco c’è stata l’unità d’Italia; molti manifestano ancora apertamente contro la Chiesa. Kolbe vive tutto questo periodo con grande sofferenza. Ed è a questo punto che nasce in lui una domanda: cosa posso fare io, giovane frate, per la Chiesa? Nasce così il 16 otttobre 1917 la Milizia dell’Immacolata: cercare di diffondere la devozione a Maria con ogni mezzo per contrastare chi è contro la fede e la Chiesa. Un’idea geniale!

Roma e il giovane Kolbe. Ci sono, infatti, altri due luoghi romani importanti per il giovane San Massimiliano.

Il primo è la chiesa di Sant’Andrea della Valle. Qui, il 28 aprile 1918, la quarta domenica dopo Pasqua, le mani del cardinale vicario Basilio Pompilj si stendono sul capo di Fra Massimiliano: Kolbe diventa sacerdote. Ma anche un altro luogo, profondamente legato alla Vergine, è presente nella vita di Massimiliano: è la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. Qui, il giorno dopo l’ordinazione, celebra la sua prima messa. In una sua lettera aveva scritto, infatti: “La conversione di Ratisbonne in quella chiesa, grazie alla visione della Vergine Maria, e l’influenza che la medaglia miracolosa ha avuto su di lui mi hanno sempre affascinato. Tutti i membri della Milizia dell’Immacolata portano la medaglia miracolosa. La conversione di Ratisbonne attraverso questa medaglia e la visione della Vergine Maria sono collegate con questa chiesa. Questo è il luogo appropriato per la mia prima Messa”. Nel retro del ricordino di questa messa vi è scritto: “Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto?” (2Sam 7,18). “Mio Dio e mio tutto”. Ricordo della prima Messa celebrata da padre Massimiliano Maria Kolbe, francescano all’altare dove Maria l’Immacolata si è degnata di apparire a Ratisbonne. Concedimi di lodarti, o Vergine santa. Dammi forza contro i tuoi nemici. Roma, 29 aprile 1918”.

E a questi due luoghi, succede un terzo: la basilica di San Pietro.

Questo è il luogo scelto da San Massimiliano per la sua seconda messa. A Padre Giuseppe Maria Pal, cofondatore della Milizia, alla sua domanda “Dove celebrerai la tua seconda Messa, padre Massimiliano?”, Kolbe rispose senza indugio: “In basilica, sulla tomba del martire San Pietro e primo vicario del Signore. L’intenzione della mia seconda Messa sarà per la grazia dell’apostolato del martirio”. E il suo è stato, quel 14 agosto del 1941, un dono della propria vita per i fratelli attraverso proprio il martirio.

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