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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, chiarezza dall’Ucraina, apertura da Mosca

Papa Francesco e l'arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk

La diplomazia pontificia è una diplomazia del dialogo, che non usa il normale linguaggio diplomatico, che si basa su altri criteri e come tale deve essere compresa. La lezione su quello che è la diplomazia del Papa è stata data da Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, in una lunga intervista ad un portale ucraino. Sebbene non abbia nascosto alcune criticità dell’operato della Santa Sede e del Papa sulla guerra in Ucraina, Beatitudine ha mostrato comprensione delle attività della Santa Sede, aprendo così uno spiraglio nell’opinione pubblica ucraina che sembra essersi indirizzata ad una sfiducia riguardo il Vaticano.

Il bilancio del viaggio del Cardinale Zuppi a Mosca è quello di un “cauto ottimismo”, secondo l’arcivescovo di Mosca Paolo Pezzi. E ancora: la situazione in Nicaragua, quella in El Salvador, gli interventi sul multilaterale.

                                               FOCUS GUERRA IN UCRAINA

Cosa ha detto veramente Sua Beatitudine Shevchuk sulla diplomazia pontificia e sul Papa

Era suonata un po’ come un atto di accusa al Santo Padre, l’intervista che Sua Beatitudine Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, aveva rilasciato al portale ucraino Glavkom. Ed è per questo che di questa intervista è stata diffusa una traduzione ufficiale, lo scorso 29 giugno, ad opera della segreteria del padre e capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, per mettere a contesto alcune affermazioni, sottolineare il tema dell’intervista e, soprattutto, superare alcuni fraintendimenti che possono essere nati dall’aver letto l’intervista in una traduzione automatica, e dunque al di fuori di quelle sfumature linguistiche che possono essere naturali in una conversazione lunga come era stata quella con Glavkom.

Ma cosa aveva detto Sua Beatitudine? Ricordando il viaggio di Giovanni Paolo II in Ucraina, aveva sottolineato che anche Papa Francesco ha espresso il desiderio di venire in Ucraina da tempo, ma che “il messaggio principale che egli vuole portare in Ucraina è probabilmente ancora in fase elaborazione”, ma che comunque “il Papa vuole veramente fare il possibile per fermare questa guerra”.

Allo stesso tempo, Sua Beatitudine ha detto che la voglia di Papa Francesco di andare a Mosca, oltre che a Kyiv, turba un po’ perché a quel punto va definito bene anche il messaggio da portare.

L’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha anche messo in luce che Papa Francesco ha messo in campo diverse iniziative per far finire la guerra, includendo anche l’irrituale visita all’ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede del 25 febbraio 2022, e anche la videoconferenza del 16 marzo 2022 tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill.

Tuttavia, ha notato con un certo realismo, nessuna di queste iniziative ha sortito gli effetti sperati. Sua Beatitudine ha anche notato che la Santa Sede, a livello diplomatico, è differente, usa “il dialogo, la parola, i contatti, la comunicazione e la diplomazia”, e questo spiega anche la neutralità della Santa Sede, perché “il Vaticano non si schiera mai da una, o dall’altra parte del conflitto, cercando di starne al di sopra. Questo serve per non perdere l’occasione di dialogare con entrambe le parti”.

Sono parole che servono a spiegare all’opinione pubblica ucraina alcune decisioni del Papa, non certo a criticare il Papa. Tanto che Sua Beatitudine ha ammesso che questo poteva fare male, ma che allo stesso tempo “adempiendo, tuttavia, al ruolo tradizionale dell’arbitro mondiale nella riconciliazione di vari conflitti, il Vaticano ha usato una terminologia diversa”, e solo dopo ha sottolineato che “la neutralità diplomatica non significava la neutralità morale”, come è stato fatto dal Papa in varie interviste specificando chi era l’aggressore e chi era la vittima.

Ma, soprattutto, Shevchuk ha messo in luce “gli sforzi del Papa nel salvare la città ucraina di Mariupol”, e anche le vite dei bambini di vari orfanotrofi finiti nel territorio occupato, tanto che “il Santo Padre in persona, così come le strutture della Santa Sede, sono diventati il centro di azione umanitaria mondiale per salvare le vite umane in Ucraina. Passi concreti ci dicono da che parte sta il papa. La sua lettera al popolo ucraino, di cui avevamo bisogno, diventata l’esempio di empatia pastorale nei confronti dell’Ucraina, dice che è dalla parte ucraina (il 25 novembre 2022 il Vaticano ha pubblicato la lettera di sostegno del Papa per gli ucraini)”.

Sua Beatitudine ha anche detto di aver spiegato al Papa l’incomprensione degli ucraini nei suoi confronti, e che il Papa ha ascoltato attentamente – e in effetti la lettera del 25 novembre nasce a seguito di uno di quegli incontri.

Ma Sua Beatitudine mette anche in luce come “lo Stato ucraino non abbia compreso appieno le opportunità offerte dal Vaticano per difendere il nostro interesse nazionale”, e che invece “per noi, greco-cattolici, è ovvio che il Vaticano è una potente piattaforma di lotta costante, di difesa costante dei nostri interessi nazionali, della nostra visione ecclesiale”.

Ad una domanda, molto netta, sul fatto che il Papa non sentisse il punto di vista ucraino sul conflitto, ma piuttosto quello russo, Shevchuk ha risposto altrettanto nettamente che “questa affermazione non è vera”, sebbene il Vaticano sia comunque un bersaglio dell’influenza russa. Tra l’altro, Sua Beatitudine ha notato che il fatto che il Vaticano viva una fase di riforma può essere un problema, perché crea alcune incertezze nell’istituzione, e ha messo in luce che c’è una crisi della comunicazione che “non esiste solo nel caso dell’Ucraina”. “Forse – ha chiosato - senza rendersene conto, il Santo Padre e il Vaticano si sono trovati in prima linea in una guerra ibrida con la Russia, non essendone preparati abbastanza. Come se la caveranno? Non lo so”.

Parlando poi della visita del presidente Zelenskyi da Papa Francesco lo scorso 13 maggio, Shevchuk ha notato che il presidente abbia sottolineato che l’Ucraina non ha bisogno di mediatori, ma di alleati, e si è chiesto fino a che punto il Vaticano possa essere davvero un alleato, considerando anche la sua particolarità. Beatitudine ha chiesto al Cardinale Matteo Zuppi, quando questi è stato inviato a Kyiv, non solo di tenere conto della questione umanitaria della liberazione dei bambini, ma anche della distruzione della diga Kakhova, tema che era rimasto sottotraccia. Incontrando la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli il 30 giugno, Papa Francesco ha appunto menzionato la diga.

La traduzione integrale dell’intervista, insomma, permette di contestualizzare le parole di Sua Beatitudine. Non sono diverse dai concetti già espressi, né sono state dette di nascosto da Papa Francesco. Rispondono, piuttosto, ad una serie di domande che ci si pone di fronte all’atteggiamento della Santa Sede. E, va ricordato, sono le risposte del capo di una Chiesa che si trova in prima linea in un Paese in guerra.

La missione del Cardinale Zuppi a Mosca

Ci vorrà del tempo per analizzare le conseguenze della visita del Cardinale Matteo Zuppi a Mosca. Il Cardinale, inviato speciale del Papa, è stato accompagnato da Adriano Roccucci, vicepresidente della Comunità di Sant’Egidio ed esperto del mondo russo, che tra l’altro nelle foto di protocollo è collacato immediatamente dopo il nunzio apostolico, l’arcivescovo Diquattro, e prima del funzionario di nunziatura a Mosca e dell’officiale della Segreteria di Stato che accompagnava il Cardinale Zuppi.

Se il Cardinale Zuppi aveva invitato il Patriarca Kirill a visitare la comunità ortodossa del Patriarcato di Mosca a Bologna, lasciando intendere anche la possibilità di un incontro con Papa Francesco nella città felsinea, ci ha pensato il metropolita Antonij, capo delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, a sottolineare come nel colloquio non si sia mai parlato di un possibile incontro tra il Patriarca Kirill e il Santo Padre.

La missione a Mosca di Zuppi non ha visto incontri di alto livello, né con il presidente Vladimir Putin, né con il ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Il Cardinale ha però incontrato due volte Yuri Ushakov, consigliere di Putin. L’ultimo incontro, reso noto dall’agenzia Interfax, è avvenuto nella mattina del 30 giugno, prima della partenza del Cardinale Zuppi per Roma.

Ushakov ha detto che l’incontro è servito per fare il punto della visita del Cardinale a Mosca. Non era un incontro previsto, e questo lo rende positivo. La Russia ha espresso un "alto apprezzamento" per la posizione "equilibrata e imparziale" del Vaticano illustrata da Zuppi sulla situazione in Ucraina ed è pronta a discutere ulteriori proposte se emergono. Il Vaticano, ha aggiunto Ushakov, ha mostrato la volontà di depoliticizzare la soluzione dei problemi umanitari legati al conflitto in Ucraina. "Sosteniamo questa intenzione del Papa", ha concluso Ushakov.

La presenza di Sant’Egidio è stata molto forte in questi colloqui, persino menzionata dal Patriarcato di Mosca nel comunicato diffuso dopo l’incontro Zuppi – Kirill.

Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio, ha sottolineato che l’incontro con Ushakov “è qualcosa di molto importante”, e anzi che è “una notizia, un fatto, che una grande personalità della Chiesa cattolica sia stata ricevuta a questo livello a Mosca e abbia potuto portare la richiesta del Papa di potere aprire dei canali umanitari per i bambini e per i prigionieri".

Parlando a Tv 2000, l’arcivescovo Paolo Pezzi della Gran Madre di Dio di Mosca ha messo in luce che “l’incontro con il consigliere di Putin non era affatto scontato. Per la pace occorre essere creativi, fantasiosi e aperti”, e che comunque “il bilancio della missione del card. Zuppi a Mosca è di un cauto ottimismo”.

(La storia continua sotto)

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                                                           FOCUS EUROPA

L’arcivescovo Gugerotti in Bielorussia

C’è anche una speranza diplomatica per il viaggio dell’arcivescovo Claudio Gugerotti, prefetto del Dicatero per le Chiese Orientali, in Bielorussia. Il presule, che ha un passato da nunzio in Bielorussia e in Ucraina, è a Minsk e dintorni come legato pontificio per il 25esimo anniversario della Vergine di Budslau, ma il suo viaggio comunque si è connotato di colorazioni diplomatiche considerando la situazione nel Paese.

Il 29 giugno, nella nunziatura, l’arcivescovo Gugerotti ha incontrato i vescovi cattolici della Bielorussia, in una riunione cui ha partecipato anche l’arcivescovo Ante Jozic, nunzio a Minsk, e Serhy Hayek, amministratore apostolico per i Cattolici di Rito Bizantino nel Paese.

Secondo il portale Catholic.by, l’arcivescovo Gugerotti ha assicurato la vicinanza del Papa.

Il 29 giugno, l’arcivescovo Gugerotti si è anche incontrato con il ministro degli Affari Esteri bielorusso Sergei Aleinik.

Secondo il portale del ministero degli Esteri, le parti “hanno discusso l’attuale situazione nella regione euroasiatica e nel mondo in generale, la cooperazione tra la Bielorussia e il Vaticano in formati multilaterali, le relazioni bilaterali a vari livelli”.

Le due parti hanno anche “riaffermato il loro impegno a rafforzare la cooperazione tra Bielorussia e Santa Sede e rafforzare il dialogo inter-fede”.

Macedonia del Nord, proteste contro una legislazione sull’uguaglianza di gender

Il 29 giugno, migliaia di manifestanti hanno affollato le strade di Skopje, la capitale della Macedonia del Nord, unendosi ad una protesta organizzata dalla Chiesa Ortodossa del Paese contro una legislazione su eguaglianza e identità di genere. L’arcivescovo Stefan, a capo della Chiesa Ortodossa della Macedonia del Nord, ha messo in luce come la legislazione minacciasse i valori della famiglia”, e che la nuova legge andrebbe ad introdurre “nuove ideologie inaccettabili e insultanti”.

Alla protesta si sono unite altre comunità religiose della Macedonia del Nord, dai cattolici agli islamici. Non si conoscono dettagli della legge, e secondo i media questa nuova legge permetterebbe a tutti macedoni oltre i 16 anni di definire il loro genere sessuale sulle loro carte di identità della polizia. Questo progetto di legge è stato congelato, e poi incorporato nella legge sulla gender equality.

Secondo l’arcivescovo Stefan, queste nuove leggi andrebbero a forzare la Chiesa a “parlare ed esprimersi nel linguaggio di qualche ordine mondiale che è alieno al mondo e allo spirito dei padri del Vangelo”.

Papa Francesco riceve le mogli degli ambasciatori ucraini

Il 28 giugno, Papa Francesco ha ricevuto a Casa Santa Marta, dove risiede, una delegazione dell’Associazione delle mogli dei diplomatici ucraini, dopo che queste avevano già partecipato all’udienza generale. Presente all’incontro anche l’ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede Andryi Yurash.

Si trattava di 18 mogli di ambasciatori, che hanno consegnato al Papa una lettera e diversi doni. Il Papa ha detto che la guerra è sempre una sconfitta e ha ricordato di quando ha imparato a servire la messa in Ucraino da un cappellano che c’era Buenos Aires, e che poi fu fatto vescovo.

Il 26 giugno, la delegazione femminile ucraina ha incontrato invece a Istanbul il patriarca Bartolomeo, e il 29 giugno ha partecipato alla celebrazione della solennità dei Santi Pietro e Paolo presieduta dal Papa.

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Il nunzio in Marocco si congeda

Il 30 giugno, Papa Francesco ha accettato la rinuncia dell’arcivescovo Vito Rallo, dal 2015 nunzio in Marocco, il quale lascia, come è già successo quest’anno all’arcivescovo Joseph Marino e all’arcivescovo Antonio Arcari, al compimento del 70esimo anno di età, e lo scorso anno agli arcivescovi Green e D’Errico. È una facoltà, quella di andare in pensione a 70 anni, concessa ai nunzi dal Regolamento delle Nunziature Apostoliche – per tutti gli altri incarichi vaticani, la “pensione” si raggiunge sempre al compimento dei 75 anni.

Diplomatico di lungo corso, l’arcivescovo Rallo è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1988, e ha servito nelle nunziature di Corea, Senegal, Messico, Canada, Libano, Spagna, Burkina Faso e Niger.

Dal 2004 al 2007 è stato inviato speciale e osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, dal 2007 nunzio in Burkina Faso e Niger e dal 2015 nunzio in Marocco, incarico che ha mantenuto fino ad ora.

Oltre ad aver contribuito ad organizzare il viaggio del Papa in Marocco nel marzo 2019, l’arcivescovo Rallo ha stretto ottimi rapporti a tutti i livelli in Marocco, tanto che il suo congedo vedrà molti atti fino a fine agosto, quando lascerà il Paese e, dopo un breve passaggio a Roma, tornerà a vivere nella sua città natale di Mazara del Vallo.

In particolare Il 2 luglio ci sarà una grande Concelebrazione Eucaristica nella Cattedrale di Rabat, alla quale parteciperanno i due Arcivescovi, rappresentanti delle comunità religiose, Corpo diplomatico, e una numerosa assemblea di fedeli per ricordare il 10.mo anniversario di Pontificato di Papa Francesco e per pregare per il Santo Padre.

Il 5 luglio si terrà presso l'Accademia del Regno del Marocco una giornata consacrata al dialogo interreligioso voluta dalla medesima Accademia, dalla Rabita Mohammedia des Oulémas e dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso. Il 12 luglio ricevimento diplomatico nel giardino della Nunziatura per il 10.mo anniversario di Pontificato e per dire au revoir ai diplomatici, autorità e amici. Si preannunciano cene in onore del Nunzio Apostolico da parte dell'Accademia del Regno, della Rabita Mohammedia des Oulémas, Ministero Esteri, Fondazione Diplomatica. In più, ci saranno varie altre occasioni di congedo. Un segno di grande stima, insomma, per il nunzio di un Paese musulmano.

Spiega il nunzio ad ACI Stampa: “Papa Francesco, mi nominò Nunzio Apostolico nel Regno del Marocco il 12 dicembre 2015, dove arrivai il 16 gennaio 2016, nel mese di marzo presentai le Lettere credenziali a S.M. Mohammed VI, Amir Al Mouminine, Re del Marocco. Fare un bilancio di questi sette anni e mezzo trascorsi e inserito in una immensa comunità di musulmani sunniti e rappresentare il Santo Padre presso una piccola comunità cattolica di 30000 fedeli, mi ha permesso di prendere coscienza che si può vivere, lavorare ed essere rispettati da una grande e fiera comunità musulmana, che pratica l’islam del giusto mezzo e di scuola malachite, una delle quattro scuole giuridiche dell'islam sunnita, fondata da Malik ibn Anas (morto nel 795)”.

Le rinunce dei nunzi apostolici sono pubblicate dal bollettino della Sala Stampa della Sede in seguito alle nuove norme stabilite dal Motu proprio “Imparare a congedarsi”, pubblicato il 15 febbraio 2018. Secondo il motu proprio, i nunzi seguono la stessa procedura di vescovi e capi Dicastero della Curia non cardinali: anche i rappresentanti pontifici “non cessano ipso facto dal loro ufficio al compimento dei settantacinque anni di età, ma in tale circostanza devono presentare la rinuncia al Sommo Pontefice”. Per essere efficace, la rinuncia dev’essere accettata dal Papa.

L’arcivescovo Xuereb conclude il mandato in Corea e Mongolia

È con una lettera che l’arcivescovo Alfred Xuereb conclude il suo quinquennio da nunzio in Corea del Sud e Mongolia. Non si tratta di una rinuncia – Xuereb non ha ancora 70 anni – ma piuttosto della fine di un incarico, in attesa di una nuova destinazione. E, certo, la notizia del suo addio lascia perplessi, perché arriva ad appena due mesi dal viaggio del Papa in Mongolia.

L’arcivescovo Xuereb, che era nunzio nel Paese dal 2018, ha scritto una lettera ai coreani dicendo di dover lasciare il Paese “con tristezza” perché lascia dietro di sé un popolo magnifico, e rimarca i suoi sforzi di “coreanizzarsi” il più possibile, “entrando in armonia con una cultura e delle tradizioni così diverse dalla mia”, cosa che gli ha permesso di ammirare “la vesta e ricca eredità culturale che la Corea ha da offrire”.

L’arcivescovo Xuereb ringrazia anche per la collaborazione sul territorio, a partire dal contributo dei vescovi locali che è “molto prezioso ed essenziale per il Santo Padre”. L’arcivescovo Xuereb fa anche la lista dei vescovi che ha contribuito a far nominare in questo quinquennio, ha lodato le generose offerte della Chiesa di Corea all’Obolo di San Pietro, e per la Terra Santa, ha ribadito l’apprezzamento di Papa Francesco per la “esemplare e concreta manifestazione di solidarietà missionaria che si respira in Corea”.

L’incarico dell’arcivescovo Xuereb in Corea è terminato il 19 giugno 2023.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede alla PAM,  per una struttura multilaterale

Lo scorso 26 giugno, si è tenuta la Giunta Esecutiva del Programma Alimentare Mondiale, una delle agenzie delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione, che hanno sede a Roma. La più nota di queste agenzie è la FAO (Food and Agriculture Organization), ma poi c’è anche l’IFAD (Fondo Nazionale per lo Sviluppo Agricolo) e appunto il PAM, il Programma Alimentare mondiale. Tutte queste agenzie sono state visitate da Papa Francesco nel corso del suo pontificato.

Monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso le agenzie alimentari delle Nazioni Unite, ha messo in luce nel suo intervento che è giusto “sottolineare l’importanza che riveste l’impegno quotidiano del PAM per salvare e trasformare vite, non solo distribuendo gli alimenti, ma anche lavorando con le comunità per migliorare la nutrizione e sviluppare resilienza”.

Eppure, nota l’osservatore, nonostante tutti gli sforzi “la lotta contro la fame non avanza con la celerità desiderata”, e questo si percepisce con forza “a causa del complesso e drammatico momento storico che vive l’umanità”, caratterizzato da conflitti, fenomeni meteorologici estremi, ma anche l’aggravarsi delle difficoltà economiche che si unisce alle conseguenze della pandemia.

Insomma, ci si trova di fronte ad una “spirale di effetti negativi” che impedisce una adeguata nutrizione.

Per superare la situazione, ci vuole “una grande alleanza spirituale e sociale che nasca nei cuori”, e che metta freno “alla ricerca compulsiva di profitto, che dà beneficio solo a pochi”. C’è bisogno di un cambiamento di rotta, a partire da un taglio delle spese militari, considerando che la Santa Sede “sa bene che la fame e la violenza bellica si retroalimentano”, e dunque questo circolo vizioso “deve rompersi attraverso strategie preveggenti e progetti di sviluppo ben coordinati e complementari, che non vadano a toccare solo i sintomi, ma anche le cause profonde dei conflitti”, perché “la piaga della fame nel mondo non si può sradicare senza pace, né ci può essere pace duratura senza sicurezza alimentare”.

La Santa Sede a Ginevra, i diritti umani dei migranti

Il 26 giugno, si è tenuta a Ginevra la 53esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani. Una sessione della discussione è stata dedicata al dialogo con il Relatore speciale sui diritti umani dei migranti.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha detto di condividere “la profonda preoccupazione” sulle sfide affrontate da quanti si trovano in una situazione irregolare, anche perché “nonostante gli impegni e i progressi fatti a livello internazionale, continuiamo a testimoniare con grande tristezza la non necessaria perdita di vite nel mare e in altre rotte migratorie”.

Senza rotte sicure, nota la Santa Sede, i migranti fanno viaggi pericolosi, a volte vittime di trafficanti, e molti di quelli che sono costretti a migrare poi “non hanno altra scelta che lavorare e vivere ai margini della società finché non sono in grado di regolarizzare il loro stato, venendo sfruttati e vedendo i loro diritti umani minati”.

La Santa Sede ricorda che i migranti “non sono solo numeri e statistiche, ma fratelli e sorelle, parte della nostra stessa famiglia umana”. Per questo, si propone di rafforzare il Global Compact sulle Migrazioni per assicurare che la migrazione sia davvero “sicura, ordinata e regolare”, cosa che significa anche espandere le rotte per la migrazione regolare e il reinsediamento, migliorare l’educazione e le condizioni di lavoro nelle nazioni di origine, e tenere in considerazione i bisogni e le aspirazioni materiali e spirituali dei migranti.

La Santa Sede a Ginevra, il diritto all’educazione

Il Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra ha discusso il 27 giugno del rapporto sul Diritto all’Educazione. La Santa Sede ha notato che l’educazione, che non è solo l’educazione scolastica, è “un imperativo per lo sviluppo umano integrale di tutti”, e per questo la Santa Sede accoglie con favore la richiesta del Relatore di dare “più ampio supporto a forme appropriate di educazione pre-primaria, tecnica e più anziana per aiutare le persone a sviluppare le loro abilità, acquisire informazioni e ricevere una educazione che li possa aiutare nel loro percorso”.

La Santa Sede ha ricordato il lancio, nel 2019, del Global Compact per l’Educazione da parte di Papa Francesco. Allo stesso tempo, la Santa Sede vede con preoccupazione un passaggio del rapporto che sottolinea che la richiesta dei genitori e di comunità che i bambini non partecipino a qualche contesto educativo sarebbe contro il diritto all’educazione, perché questo va contro la Convenzione dei Diritti del Bambino, che chiede di rispettare i genitori del bambino, “con la loro identità, linguaggio e valori”, e che protegge “i diritti e i doveri dei genitori nell’indirizzare i figli nell’esercizio dei loro diritti alla libertà di pensiero, coscienza e religione”.

La Santa Sede nota che “la vera inclusione rispetta la sensibilità culturale e la diversità”, mentre “l’imposizione di una agenda uniforme, inflessibile e intollerante costituisce di fatto una forma di colonizzazione ideologica”, una mentalità che “pensando che le oscure pagine della storia sono state lasciate indietro, si apre alla cancel culture che giudica il passato puramente sulla base di alcune categorie contemporanee”.

La Santa Sede a Ginevra, la protezione dei diritti umani nel contesto del cambiamento climatico

Il 28 giugno, il Consiglio dei Diritti Umani ha discusso della promozione e protezione dei diritti umani nel contesto del cambiamento climatico. La santa Sede nota che “abbiamo un dovere morale di affrontare i sempre più frequenti e severi impatti umanitari” dati dal cambiamento climatico, in particolare la “migrazione forzata”, perché lo sfollamento può anche essere indirettamente causata dalla crisi climatica, che esacerba le tensioni sociali e genera conflitti su scarse risorse.

La Santa Sede lamenta che gli approcci allo sfollamento dovuti al cambiamento climatico sono spesso “di corta prospettiva e influenzati da preoccupazioni economiche, accrescendo il rischio di sfruttamento, abuso e discriminazione”, e la Santa Sede desidera per questo “incoraggiare i membri di questo consiglio a proteggere i diritti umani fondamentali dei migranti e di altre persone colpite da sfollamento a causa del cambiamento climatico”.

La Santa Sede nota anche che il cambiamento climatico colpisce in maniera sproporzionata le nazioni “a basso reddito e in via di sviluppo, che non hanno le risorse di affrontare le loro conseguenze da sole”.

La Santa Sede a Ginevra, la tratta degli esseri umani

Altra sessione del Consiglio dei Diritti Umani, altro rapporto. Il 28 giugno, si è discusso a Ginevra il rapporto sul traffico di esseri umani. La tratta – ha notato la Santa Sede – è “una tragica realtà che è esacerbata oggi dal crescente numero di crisi umanitarie e di rifugiati, in particolare da quelle che vengono da conflitti, cambiamento climatico e povertà”.

La Santa Sede nota che “mentre il rapido sviluppo di nuove tecnologie offre grandi opportunità” questo fornisce a “trafficanti e criminali con piattaforme digitali strumenti anonimi per reclutare, sfruttare le vittime e organizzare il loro trasporto”, con un sempre più grande uso dei social media. Una situazione che richiede ovviamente prevenzione, ma anche lo sviluppo di politiche adeguate per proteggere, assistere e reintegrare le vittime”. Per questo, sottolinea la Santa Sede, attività di consapevolezza sull’uso sicuro di internet e dei social media “può anche aiutare a mitigare i rischi di bambini e ragazzi che cadono vittime della tratta online”.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

El Salvador, la questione della rielezione del presidente

Il cardinale Gregorio Rosa Chavez, vescovo ausiliare emerito de El Salvador, ha commentato la notizia di un possibile secondo mandato per il presidente Nayib Bukele e del vicepresidente Ulloa, nonostante sia proibito dalla Costituzione, come portatore di una situazione critica.

Il Cardinale ha sottolineato che si tratta di un “dibattito che si sta vivendo, ci sono esperti sul tema, che è comunque un tema polemico”, e solo quando sarà presa la decisione si vedranno le conseguenze.

Parlando delle indagini su corruzione dell’attuale amministrazione, il Cardinale Rosa Chavez ha segnalato che il Guatemala è stato “per ora uno specchio che ha colpito a molti sulla realtà che vivono. “La verità – ha detto – è che un mondo senza corruzione è un mondo con il futuro, e la corruzione che questo Paese ha vissuto ha stufato le persone che chiedono qualcosa di nuovo”.

Nicaragua, la Corte Interamericana dei Diritti Umani chiede la liberazione del vescovo Álvarez

Dopo la presa di posizione dell’Unione Europea, anche la Corte Interamericana dei Diritti Umani firma una risoluzione che chiede al Nicaragua di liberare immediatamente il vescovo Rolando Álvarez di Matagalpa, incarcerato e condannato a 26 anni per aver “minacciato l’integrità nazionale”.

La Corte ha disposto lo scorso 28 giugno di chiedere al Nicaragua di liberare immediatamente il vescovo e allo stesso modo adottare “i mezzi necessari per proteggere efficacemente la sua vita, salute e integrità personale”.

Álvarez è stato condannato il 10 febbraio, dopo aver rifiutato, il giorno prima della sentenza, di andare in esilio negli Stati Uniti con altri 222 prigionieri politici incarcerati ed espulsi.

La Corte ha dato al Nicaragua fino al 7 luglio per liberare il presule, e allo stesso tempo ha disposto che si garantisca al vescovo un “trattamento degno”.

Da marzo, il Nicaragua ha sospeso le relazioni con la Santa Sede, e monsignor Marcel Diouf, incaricato di affari della Santa Sede in Nicaragua, ha abbandonato il Paese il 17 marzo. Un anno prima, il regime aveva espulso il nunzio Waldemar Sommertag.

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