Koper, 20 June, 2023 / 9:00 AM
Si è concluso con una dichiarazione in dieci punti il Forum Ecumenico Europeo che si è tenuto a Capodistria (Koper in sloveno) dal 17 al 18 giugno. Dieci punti per ribadire la necessità di un dialogo tra le fedi, la volontà di gettare ponti e non costruire muri, la necessità, in fondo, di costruire una Europa riconciliata. Perché, alla fine, le differenze tra Est e Ovest, esacerbate da anni di cortina di ferro e di ateismo di Stato, inaspritesi con le cicatrici mai curate delle ferite nate dalle dominazioni e dalle guerre, rappresentano uno degli scogli più grandi perché ci sia davvero la pace in Europa. E il dialogo rappresenta l’unica arma per poter costruire percorsi di riconciliazione, e una figura reciproca, che possano davvero portare ad una Europa di pace.
Non stupisce, dunque, che Papa Francesco abbia mandato al Forum come suo inviato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, avendo riconosciuto, quando l’iniziativa gli era stata presentata dalla presidente di Slovenia Nataša Pirc Musar (sempre presente durante il Forum) una possibile via per la pace. Una via che sembra diventare urgente ora che la guerra in Ucraina rappresenta una nuova ferita nel centro dell’Europa, ma che in realtà era fondamentale anche prima, quando comunque i cinquant’anni di Pax Europea hanno vissuto alcuni conflitti regionale o conflitti congelati che non vanno dimenticati.
Può questa idea di pace partire dalla Slovenia? Sì, sottolinea il vescovo Peter Štumpf di Murska Sobota, perché la Slovenia è “terra luogo di incontri di tre nazioni”, ma anche un posto “colpito dalle ideologie contro Dio e contro l’uomo”, che ora ha un ruolo nello sviluppare la pace, la quale “richiede più coraggio della guerra.
Da queste premesse nasce il Forum. C’erano 24 partecipanti - cattolici, ortodossi, evangelici protestanti e musulmani – chiamati, dopo il discorso del Cardinale Parolin, a intervenire in discorsi di 3-5 minuti per raccontare di un comune impegno per la pace. E una dichiarazione finale che comincia con il versetto del Salmo 122: “Per amore dei miei fratelli e dei miei amici griderò: ‘Regni in te la pace’.”
Il documento finale va compulsato per comprendere il tono della manifestazione. I partecipanti notano che l’Europa ha attraversato molte prove dall’inizio del XXI secolo, come “la guerra in Ucraina, le crisi in vari campi e l'alienazione generale tra le persone, che provoca una mancanza di speranza per il futuro”.
È una crisi della speranza, eppure “nonostante le difficoltà di ogni periodo storico, ci sono opportunità e luoghi di intersezione di diversi ambienti culturali che consentono l'incontro e il dialogo, soprattutto tra i leader religiosi che sono i primi ad essere chiamati a guardare oltre le agende politiche e di altro genere, pur rimanendo in contatto con i mali di questo mondo”.
La Slovenia, in questo senso, è un luogo ideale, perché si trova “nel cuore dell’Europa, tra le alpi, il Mediterraneo e il bacino pannonico (ungherese)”, e così può fungere “da ponte tra il mondo slavo, germanico e romantico”.
I partecipanti al Forum notano che “in circostanze instabili, la fede in Dio, che non viene meno alle sue promesse (cfr 2 Cor 1,18), può essere un sostegno per perseverare nel bene nell'ambito interpersonale, sociale e spirituale”.
I punti della dichiarazione sottolineano che il dialogo parte “dell’essere radicati ina un tradizione spirituale”, che “dà ai cristiani e membri di altre religioni un senso di significato” e la responsabilità di impegnarsi nello sviluppo umano integrale”.
In questo, particolarmente importante è il dialogo “che promuova l’esercizio della libertà religiosa e rafforzi la cura sostenibile delle risorse naturali e dello sviluppo economico”.
I partecipanti ricordano che “il raggiungimento della giustizia negli aspetti ecologici ed economici contribuisce in modo decisivo al lavoro per la diffusione della pace nei Balcani occidentali oggi e in futuro”, e mettono in luce la necessità “nei Balcani occidentali” e in tutti i Paesi di “riconoscere il diritto all’esistenza di tutte le comunità religiose”, mentre “le autorità statali devono essere invitate a rispettarne la libertà in favore della pace e del dialogo”.
I delegati sottolineano anche che “l'estremismo, il terrorismo e tutte le altre forme di violenza e di guerra non hanno nulla a che fare con l'autentica religione e devono essere respinti sia nella società sia a livello delle stesse comunità religiose”; rimarcano il problema dell’inverno demografico; chiede una riflessione delle azioni passate da parte dei decisori politici.
Quindi, affermano che “è estremamente importante incontrare regolarmente e trovare soluzioni comuni tra le diverse comunità religiose nei Balcani, dove, per la loro influenza storica e attuale, le Chiese cattolica e ortodossa e la comunità islamica hanno una responsabilità speciale”.
E concludono: “Non ci può essere incontro sincero e dialogo fecondo senza la preghiera e la fiducia nel Creatore, che è padrone della storia e compie ciò che l'uomo da solo non può fare. Solo una fede rafforzata in Dio e una valutazione sincera delle proprie azioni finora, che sono segnate dalla debolezza umana, aiutano a raggiungere la pace e la prosperità nella sfera interpersonale, sociale e spirituale”.
Sono temi che possono fungere da piattaforma anche per un dialogo ecumenico europeo che è in corso, e che punta a ridefinire proprio la Charta Oecumenica nel prossimo Simposio Ecumenico Europeo che si terrà nel 2026.
Sono temi attuali in quello che il Cardinale Parolin ha descritto come un mondo “diviso da numerosi conflitti”, nel quale è “di fondamentale importanza riflettere sul dialogo”, specie in una regione che ha mostrato in molti modi la possibilità di una coesistenza pacifica tra culture, gruppi etnici e religioni diverse, perché “le cattedrali cattoliche e ortodosse, le moschee e le sinagoghe mostrano che le differenze siano una fonte di ricchezza”.
Eppure, sottolinea Parolin, proprio quanto accaduto nei Balcani (la guerra degli Anni Novanta è ancora fresca nella memoria) mostra “quanto poco sia sufficiente per distruggere la società”.
Il cardinale Parolin ha sottolineato anche l’importanza del dialogo, sia di quello interreligioso, definito da Papa Francesco come un obbligo per i credenti, sia quello ecumenico, che è occasione per un incontro, per un ponte.
La Santa Sede, sin dall’inizio, ha avuto una posizione chiara nei Balcani, che è la difesa della sovranità popolare. E oggi punta ad una integrazione europea della regione, definita dal Cardinale Parolin come una “buona opportunità per promuovere riforme strutturali”.
Diversi gli interventi degni di nota. Tra questi, quello del Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo emerito di Sarajevo, uno degli ultimi cardinali creati da Giovanni Paolo II. Minoranza cattolica in un Paese a maggioranza musulmano, lì dove il conflitto etnico rischia sempre di assumere connotazioni religiose, il Cardinale Puljic non ha mancato, nel corso degli anni, di denunciare “l’esodo nascosto” dei cristiani di Bosnia.
Nel suo intervento sui principi per il dialogo interreligioso, il Cardinale Puljic ha spiegato che “il dialogo richiede almeno due parti” e che sono capaci di dialogo “le persone che hanno una posizione chiara e sono capaci di dialogo”.
E nel dialogo ci si deve ascoltare, cercare atteggiamenti che rimuovono pregiudizi, sbarazzarsi della ideologia politica, avere il coraggio di ammettere la verità, perché “ogni parte deve trovare la forza di spazzare via il proprio cortile, ma non di gettare la spazzatura nei cortili di altre persone”.
Puljic ha anche sottolineato che “Nessun crimine può essere difeso, soprattutto non in nome di Dio. Il crimine non cura il crimine. Chi commette un crimine in nome di Dio è il più grande crimine contro Dio”, e che “il dialogo non ha alternative per una vita pacifica. L'alternativa è il conflitto, l'odio, l'intolleranza”.
Infine, ha delineato la situazione in Bosnia, sottolineando che non si è trattato di una “guerra di religione, ma pianificata per la conquista e la creazione di spazi etnicamente puliti, e anche con l'aiuto delle grandi potenze”. Così, “prima viene uccisa la verità, poi viene uccisa la responsabilità, in modo che l'uomo sia il prossimo obiettivo. È stato terribile sperimentare la diffusione dell'odio attraverso il meccanismo di incitamento per creare il morale della guerra”.
(La storia continua sotto)
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Il cardinale ha poi raccontato del Consiglio Interreligioso dei Leader delle Comunità tradizionali in Bosnia Erzegovina, proprio sulla base di questi principi di dialogo, che si è preso anche il compito di andare nei luoghi dei martiri a pregare. Ma anche lo straordinario lavoro nel campo dell’educazione religiosa.
Il Muftì sloveno Mezevt Poric, che ha menzionato il progetto del Consiglio di Puljic, ha affermato che “dobbiamo costruire ponti tra le persone, non muri. Troppo spesso ci concentriamo su ciò che ci separa invece che su ciò che ci unisce. Un grammo di prevenzione della violenza vale quanto un chilogrammo di costruzione della pace postbellica. Dobbiamo imparare a rispettare la diversità e costruire su valori condivisi come la pace e la compassione. Dobbiamo promuovere il dialogo e la cooperazione interreligiosi e costruire ponti tra le diverse comunità. Il dialogo è un elemento inevitabile della democrazia”.
Il vescovo luterano Jaroslav Javornik, della minoranza luterana slovacca in Serbia, ha messo in luce il fatto che “nella chiesa di Kulpìn, di cui sono pastore, per più di un secolo le campane hanno suonato nella chiesa evangelica quando moriva un ortodosso, e viceversa. È una grande benedizione che possiamo visitarci l’uno l’altro ed essere presenti a tutte le nostre vacanze”. E ha sottolineato che la soluzione è “trovare persone di buona volontà in tutti i gruppi religiosi che hanno un senso di dialogo e lo vedono come una via di uscita per le future generazioni”.
Il vescovo ortodosso Pimen, dalla Chiesa Ortodossa Macedone, ricordando le guerre nei Balcani, ha raccontato che “alla fine delle guerre, sapevamo tutti in fondo che eravamo noi i perdenti. Perdenti che si rendono conto che, indipendentemente dal risultato, hanno perso la guerra, a causa dei loro compagni, amici, parenti perduti. Perdenti che hanno sentito la perdita dei loro beni e delle loro case”.
Il vescovo ha negato che si sia trattato di guerre religiose. “Conosciamo – ha detto - qualche religione, almeno qui nei Balcani, che fa precipitare i suoi religiosi nella guerra? E se siamo d'accordo con l'affermazione che queste guerre non sono state combattute dai credenti, dobbiamo ancora concordare sul fatto che i fanatici religiosi fossero i criminali più sanguinari”.
Sempre dalla Macedonia del Nord, il vescovo di Skopje Kiro Stojanov ha rimarcato l'esperienza macedone, dove c'è un Consiglio Interreligioso, che ha lo scopo di "promuovere il dialogo, la comprensione e la cooperazione tra le comunità religiose e creare un'atmosfera di rispetto reciproco e pacifica convivenza", e che ha anche una buona "comunicazione personale e informale tra i membri del Consiglio". E ha ricordato che "c'è la radice della pace, che è un processo a lungo termine e partecipativo, che coinvolge ogni parte della società dalla famiglia e dalla scuola, alle varie istituzioni nazionali e internazionali. Insieme dobbiamo e possiamo costruire una cultura di pace e prevenire l'uso delle armi e ogni forma di violenza".
In fondo, ha sottolineato il vescovo Andrej Saje, presidente della Conferenza Episcopale Slovena, “l'impegno per la pace è possibile solo in un dialogo sincero, che si instaura nella tolleranza e nel rispetto dell'interlocutore, pur accettandone le differenze e nella disponibilità alla cooperazione. L'uomo è una creatura di relazione e ha bisogno dell'altro per la propria realizzazione. In un mondo globalizzato, lo sentiamo ancora di più. Non possiamo sopravvivere senza l'altro”.
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