Napoli, 17 May, 2023 / 6:00 PM
“C’è una prima grande prospettiva, quella della sapienza cristiana che manifesta una sua caratteristica: quella dell’accoglienza. E c’è una seconda prospettiva: quella del fare teologia in un contesto plurale, per cui si potrebbe parlare di tante teologie quante sono le sponde del Mediterraneo; questa prospettiva rappresenta un orizzonte molto vasto che ha bisogno di essere coniugato con il dono della sapienza cristiana”. Lo ha detto l’Arcivescovo di Napoli, Monsignor Domenico Battaglia, intervenuto al convegno della Sezione San Tommaso della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale sul tema “La sapienza dell’accoglienza. Fare teologia nel contesto del Mediterraneo”.
Spesso – ha osservato Monsignor Battaglia – alla parola sapienza “associamo ad un’etimologia ricondotta esclusivamente al sapere, la parola sapienza ha una radice comune a quella della parola sapore: sapiente non è colui che sa tanto oppure sa tutto, sapiente è anzitutto colui che sa cosa da sapore alla vita, cosa la rende bella, ricca, piena, degna di essere vissuta”.
“Il gusto dell’amore, il dare sapore alla realtà di ogni giorno – ha aggiunto - diventa la missione del discepolo e, quindi, anche la nostra missione, perché fare teologia non è un esercizio intellettuale ma una modalità concreta di vivere la sequela di Gesù, nel tentativo costante di ricercare nel Vangelo ciò che rende gustosa la vita agli uomini e alle donne del nostro tempo, salvandoli dalla mancanza di senso e di significato. Ecco la missione della teologia: andare al senso della realtà concreta della nostra gente per annunciare Cristo, colui che sempre dona sapore senza mai annullare nessun ingrediente ma esaltando l’originalità di ciascuno! E per fare tutto questo occorre lasciarsi guidare realmente dallo Spirito Santo”.
Secondo l’Arcivescovo di Napoli “non può esserci sapienza senza accoglienza e non può esserci accoglienza senza sapienza. Per lasciarsi toccare nel profondo dal dono della sapienza occorre avere anzitutto un cuore disposto all’accoglienza. Tante volte non siamo disposti ad accogliere la sapienza che viene da Dio perché siamo troppo pieni della nostra sapienza umana. Allo stesso modo, il processo dell’accoglienza richiede sempre un esercizio di sapienza. Accogliere l’altro, con le sue luci e le sue ombre non è un semplice esercizio intellettuale o politico, ma è piuttosto frutto del convincimento profondo che senza l’altro non posso andare da nessuna parte, che senza l’altro non posso spiccare il volo nella vita, che senza l’altro il mio cuore, per quanto grande, resterà un piccolo orticello incontaminato tanto bello da vedere ma scomodo da abitare”.
“Per questo il movimento dell’accogliere – ha concluso il presule - inizia sempre con un atto profondo, rivoluzionario per il nostro ego, di grande sapienza: perché si tratta di insegnare a noi stessi che quando siamo soli la nostra vita ha meno sapore, che quando diventiamo autoreferenziali la nostra esistenza diventa insipida, che quando abbattiamo i ponti e costruiamo i muri il nostro procedere diventa meno ricco e incapace di andare oltre”.
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