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Letture, la festa di San Leopoldo Mandic e il valore della confessione

Maria, la “Parona Benedeta”, la Padrona Benedetta, come la chiamava lui con dolcezza, e dunque chissà se è stata una coincidenza che Leopoldo Mandic sia nato di maggio. Ed è proprio oggi, 12 maggio, giorno della nascita del santo, anche giorno della grande festa in suo onore  nel santuario di Padova.

Per la verità quest’anno qui maggio assomiglia più a novembre, piove molto e la temperatura non fa pensare alla primavera. I fiori del piccolo e curato giardino del convento grondano acqua, ma i colori sono vivaci. Sin dalle prime ore del mattino si celebrano, una dopo l’altra, le sante messe a cui partecipano molti pellegrini arrivati dal Triveneto, da tutta Italia e non solo. Davanti alla teca di cristallo in cui riposa il corpo del santo ardono due lumi con la bandiera croata. Peccato per il tempo inclemente, che probabilmente rende tutto meno agevole. Ma chi arriva qui ha il desiderio più forte di essere in presenza di padre Leopoldo, di affidargli tutte le pene, i dolori, le gioie della loro intera esistenza. Ci sono famiglie con bimbi piccoli, un piccolo gruppo di giovani, tante persone in gruppo, mentre arrivano e si radunano in preghiera alcuni anziani ex alpini, di passaggio a Padova prima di raggiungere Udine dove si svolge, in questi giorni, il raduno nazionale del corpo armato forse più amato e popolare.

Nel pomeriggio tutti invitati alla solenne concelebrazione presieduta dal cardinale  Giovanni Battista Re, decano del Sacro collegio dei cardinali. Viene offerto  l’olio per la Lampada votiva della Riconciliazione dai sindaci di alcuni paesi di varie province venete. Una cerimonia suggestiva e molto partecipata.  Martedì prossimo alle ore 20.45 ci sarà spazio anche per un omaggio musicale a san Leopoldo dell’Orchestra di Padova e del Veneto, con musiche di Bach, Corelli, Barber, Haendel e altri ancora.

Ci viene in mente quanto letto recentemente nell’ultima biografia pubblicata sul santo, quella di Pina Baglioni, per la Ares Edizioni. Nella quale viene ribadito che la vita di Bogdan Ivan Mandic, al secolo Leopoldo,  è tanto semplice da risultare complicata da descrivere, come avverte l’autrice. Non ci sono da raccontare fatti eclatanti, avventure, viaggi straordinari, incontri storici. Eppure proprio questa esistenza caratterizzata dal nascondimento, rappresenta un segno concreto di come Dio scelga le situazioni più sfuggenti ai nostri canoni schematici e perlopiù illusori per mostrare la Sua presenza nel mondo. Il futuro santo nasce a Castelnuovo di Cattaro (oggi nel Montenegro) il 12 maggio 1866. Un luogo suggestivo e amato, sempre presente nella sua geografia interiore. La sua è una famiglia di nobili ascendenti, caduta in povertà. Ed è in famiglia che la fede mette radici in quel ragazzino gracile e riflessivo, ma anche sempre pronto a giocare e a vagabondare con i numerosi fratelli e amici. Viene ordinato sacerdote il 20 settembre 1890 nell’ordine dei cappuccini come fra Leopoldo. Causa l’esile costituzione fisica e un difetto di pronuncia, non riesce dedicarsi alla predicazione e alla missione, come avrebbe tanto desiderato. Diventa confessore, soprattutto dopo essere arrivato nel convento di Padova, presto si guadagna l’affetto della gente e presto lo si considera un santo. Conservando nel cuore il desiderio struggente di poter tornare verso Oriente a svolgere quella che sentiva come la sua vera missione, ossia la sperata riunione della Chiesa d’Oriente e di quella d’Occidente. 

La beatificazione avviene nel 1976 da papa Paolo VI e poi canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1983. Una vita, la sua, vissuta nel segno, oltre che della misericordia e della compassione, anche dell’umiltà e dell’obbedienza, dell’offerta di ogni sofferenza, da quelle spirituali a quelle fisiche. Confessa in dialetto veneto e non rifiuta nessuno e viene preso in giro per la sua affabilità, la bassa statura e per la sua persona così fragile e dimessa.  Eppure è diventato un gigante della fede e un simbolo della missionarietà della Chiesa, come anche sottolineato da papa Francesco.

San Leopoldo è stato riconosciuto il 6 gennaio 2020 patrono dei malati d’Italia colpiti da tumore. Uno dei temi-cardine della meditazione e della missionarietà del santo, lo abbiamo accennato,  è la sua incessante opera di riconciliazione tra le due Chiese. Lo spiega molto chiaramente, tra le altre pubblicazioni, "Il mio Oriente. L’ecumenismo spirituale di san Leopoldo Mandic" a cura di Antonio Fregona. Dove possiamo rileggere dunque le famose parole scritte dal santo alla sua guida spirituale, il confratello padre Odorico da Pordenone: "Io ho sempre l’Oriente dinanzi agli occhi e sento che il Signore mi invita a celebrare i santi misteri (…) acciocché a suo tempo avvenga la grande promessa:”unum ovile et unus pastor”. E certo avverrà…" Quell’Oriente che è sempre presente nel suo cuore, che anima  la sua preghiera e l’offerta delle proprie sofferenze.  Un cammino interiore che ha come meta il raggiungimento dei 'fratelli orientali'.

 

 

Pina Baglioni, Leopoldo Mandic. Il fraticello che voleva tutti in Paradiso, Ares edizioni, pp.160. euro 14

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