Maggio, il mese di Maria e della devozione mariana.
Albeggia, in una Padova già oppressa dalla calura estiva. Sono le cinque del mattino, nella sua cella del convento a Santa Croce padre Leopoldo Mandic si alza faticosamente dal letto. Sta male, sa da tempo che si trova sull’orlo della sua esistenza terrena.
“Non mi sembra vero, posso tornare qui a festeggiare il Padre nel suo santuario! Erano due anni che non ci tornavo…” Una signora minuta, che cammina faticosamente e che mormora queste parole alla donna più giovane che l’accompagna, dandole il braccio.
Una lunga, dolorosa attesa ha reso ancora più profonda, quest’anno, la partecipazione alla festa di san Leopoldo Mandic, il 12 maggio, giorno della sua nascita. Una ricorrenza molto sentita, sempre caratterizzata da una grande partecipazione a Padova, nel santuario a lui dedicato. L’anno scorso la pandemia ha cancellato, tra le molte cose, anche questa festa.
Un piccolo uomo dall’aria fragile, consunta, ma dal sorriso sereno, appena accennato: si appoggia ad un bastone, indossa un saio, quello dei frati cappuccini. Il colore della foto vira al seppiato, un colore che sa di storia, di passato, eppure quel sorriso, quella figura curva, piegata, emanano una forza che li rende vicini, contemporanei, o meglio senza tempo.
Nel convento dei cappuccini di Padova, noto nel mondo come santuario di Padre Leopoldo, in diversi dipinti dedicati al santo e alla sua vita compaiono scorci di paesaggi che appartengono alla sua terra d’origine, la Dalmazia, simboleggiano uno sguardo costantemente rivolto a Oriente, il mare, i profili di monti e di città che compongono l’orizzonte spirituale di Leopoldo Mandic.
Entrando nella chiesa di Santa Maria della Consolazione al Foro romano, nel cuore della vecchia Roma, si resta ammirati dallo sguardo sereno e vigilante dell'immagine della Vergine, posta sull'altare maggiore. Non a caso il termine consolazione sta appunto ad indicare la vicinanza e l'amore della Madre di Dio, verso i suoi figli che entrano nella chiesa romana. Oltre a ciò, nell'altare dedicato a San Francesco di Assisi, posto nella navata sinistra, si può venerare anche una reliquia del corpo di San Leopoldo Mandic.
File di letti sotto la volta spoglia di una chiesa, mentre dal rosone ormai senza più vetri un fiotto poderoso di luce inonda lo spazio e la figura di un piccolo frate si staglia tra quelle fila di letti e di dolore. E’ una foto in bianco e nero, e colpisce per la sua forza e la capacità evocativa.
Era un frate piccolo, fragile, con il saio di francescano cappuccino tutto consumato. Ed era una figurasempre più familiare, a Padova e nella provincia, con la con quel suo passo lento, appoggiato albastone.
"Questo povero me": così si firmava spesso san Leopoldo Mandic, il piccolo frate cappuccino con un carisma particolare per la confessione.
Un piccolo frate alto appena 1 metro e 35 centimetri trascorre oltre dieci ore nel confessionale. Non si risparmia mai. Ha una salute fragile e non ha una grande fisicità, ma la sua maestosità la si intravede nello sguardo. Padre Leopoldo Mandic (1866-1942) da tutti conosciuto come il confessore santo, nasce in Montenegro, sotto l'allora Impero Austro-Ungarico, in un piccolo paesino che si chiama Castelnuovo Cattaro. A 16 anni entra nella Provincia veneta dei frati cappuccini ed inizia il suo iter ad Udine, Bassano del Grappa ed infine viene ordinato sacerdote nel 1890.