Città del Vaticano , 12 May, 2023 / 1:00 AM
"La dignità di ogni essere umano – che per ebrei e cattolici discende dall’affermazione della sacralità della vita umana – è stata nuovamente proclamata, in accordo con la dichiarazione della Commissione bilaterale rilasciata a Roma nel febbraio 2006 /Shevat 5766". E' quanto esposto nella dichiarazione congiunta pubblicata oggi della Commissione bilaterale del Gran Rabbinato di Israele e della Commissione per i Rapporti religiosi con l'ebraismo della Santa Sede.
Un testo importante in un periodo storico in cui molte legislazioni civili hanno intenzione di inserire il così detto "suicidio assistito" nelle diverse nazioni.
“Noi - si legge nella dichiarazione - affermiamo i principi delle nostre rispettive tradizioni religiose secondo le quali Dio è il Creatore e Signore di ogni vita, e la vita umana è sacra perché, proprio come insegna la Bibbia, la persona umana è creata secondo l’immagine divina (cfr Genesi 1, 26-27). Per il fatto che la vita è un dono divino da rispettare e preservare, noi ripudiamo decisamente l’idea di un dominio umano sulla vita, e del diritto di decidere del suo valore o della sua durata da parte di qualsiasi persona o gruppo umano. Conseguentemente ripudiamo il concetto di eutanasia attiva (il cosiddetto mercy killing) in quanto illegittima pretesa dell’uomo sull’esclusiva autorità divina nel determinare il momento della morte della persona umana”. Inoltre “A questo proposito ribadiamo gli insegnamenti delle nostre tradizioni, secondo i quali ogni
conoscenza e capacità umana deve servire a promuovere la vita e la dignità dell’uomo, e perciò essere in accordo con i valori morali che derivano dai principi sopra menzionati. Di conseguenza bisogna che ci siano dei limiti nell’applicazione scientifica e tecnologica, riconoscendo il fatto che non tutto quello che è tecnicamente realizzabile sia anche etico”.
Una riconferma della Dichiarazione congiunta delle tre religioni abramiche, che rifiuta l’eutanasia attiva ed il suicidio medicalmente assistito, pubblicata in Vaticano il 28 ottobre 2019 / 29 Tishri 5780.
E' chiaro quindi che "per ebrei e cristiani il prendersi cura dei malati terminali con fede, rispetto ed amore, significa veramente accendere una luce di fiducia e di speranza, in un momento contrassegnato da oscurità e da un senso di solitudine e di abbandono, tanto per il malato quanto per i suoi cari".
Inoltre si è parlato delle "linee guida relative ai malati terminali, legiferate in armonia con la tradizione ebraica, e le loro ramificazioni globali. È stata messa in rilievo la distinzione tra azioni che causano la morte e scelte di omissione al di là dei bisogni umani fondamentali; come pure tra eutanasia attiva e suicidio medicalmente assistito da una parte, e dall’altra la sospensione di trattamenti terapeutici continuati (come ventilazione e pacemaker) o che prolunghino la vita al di là dei bisogni umani fondamentali (come dialisi e chemioterapia)".
Appare chiaro che "le complessità etiche e religiose, implicate nelle situazioni di fine vita, esigono che ciascun caso sia preso in considerazione in rapporto alle proprie particolari circostanze e necessità".
La riunione si è svolta a Gerusalemme lo scorso 4 maggio e ha compreso anche un visita all' Ospedale Shaare Zedeq, dove i delegati "hanno potuto costatare le modalità di trattamento di malati terminali, in conformità ai principi sopra enunciati".
A guidare le delegazione il Rabbino Rasson Arussi e il cardinale Kurt Koch.
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