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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, verso l’Urbi et Orbi di Pasqua

Papa Francesco durante un urbi et orbi

Nella Via Crucis del Venerdì Santo, Papa Francesco ha voluto raccogliere voci di pace, mettendo insieme varie testimonianze raccolte durante i suoi viaggi. E, tra queste, alla decima stazione c’è la testimonianza di un russo e di un ucraino, uno schema che ripete quello controverso dello scorso anno, quando due amiche, una russa e una ucraina, furono chiamate a portare la croce, creando non pochi malumori di fronte alla difficoltà di un percorso di perdono da parte ucraina quando la guerra era ancora in corso.

Ma la posizione del Papa è questa, e cioè quella di non guardare alle responsabilità, ma di mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito, distinguendone le situazioni (il Papa parla sempre di “martoriata” ucraina) ma sottolineando la necessità che entrambi smettano di fare la guerra. Ed è presumibile che questo approccio si troverà nel messaggio Urbi et Orbi di Pasqua, quando il Papa, dalla loggia delle benedizioni, scandirà il suo annuncio di Pasqua insieme alla disamina geopolitica che mostra le priorità della diplomazia pontificia al momento.

                                                           FOCUS URBI ET ORBI

Quali saranno i temi del Papa all’urbi et orbi?

Nel suo messaggio alla città e al mondo del giorno di Pasqua, Papa Francesco potrebbe toccare vari temi. Oltre alla guerra in Ucraina, con attenzione al popolo russo, c’è la Siria, che ormai ininterrottamente dall’inizio del pontificato occupa i primi posti nella lista geopolitica del Papa. Quest’anno, tra l’altro, c’è stato anche il terribile terremoto che ha squassato Siria e Turchia, e il Papa non potrà dimenticarlo.

Anche Gerusalemme e la Terrasanta sono sempre presenti nei messaggi urbi et orbi, e questa volta c’è anche un motivo in più, cioè la recrudescenza di vari attacchi anticristiani. Possibile anche una menzione del Libano, ancora in crisi politico – economico, e ancora in attesa di una visita de Papa, dopo che quella che si pensava avrebbe avuto luogo nel giugno 2022 non c’è stata.

Ci sono altri scenari cui la diplomazia pontificia guarda con interesse. Una è la Tunisia, dove si è vissuto un periodo di forti proteste, e con una fronte interno che ha cominciato a mettere in luce il problema degli irregolari subsahariani. Ma la Tunisia è anche il posto che lo scorso anno ha visto per la prima volta l’ordinazione episcopale di un sacerdote della diocesi di Tunisi, il 44enne padre Nicolas Lhernould, L’ultima ordinazione episcopale in Tunisia risaliva al 1962, sei anni dopo l’indipendenza.

Guardando all’Africa, Papa Francesco probabilmente affronterà il tema del Sud Sudan, dove è stato in viaggio, ma anche quello dell’Etiopia, nazione che tra l’altro vive la difficile situazione nel Tigray, dove sono morte 800 mila persone in due anni di guerra.

Ma il Papa guarda anche alla Repubblica Democratica del Congo, altro Paese toccato da una sua visita, dove continua il conflitto ad Est, a Goma, tanto che l’Unione Europea è arrivata ad annunciare l’istituzione di un ponte aereo umanitario verso la città di Goma, nella zona Est del Paese dove altre 600 mila persone sono state sfollate dopo le ultime incursioni dei ribelli del M23.

Ci sono poi due Paesi che hanno visto vescovi arrestati: il Nicaragua, dove il vescovo Rolando Àlvarez di Matagalpa sta scontando il carcere, e l’Eritrea, dove è stato arrestato il vescovo Fikremarian Hagos insieme a due sacerdoti, Abba Mihretab Stefanos, parroco di San Michele a Segheneity e Abba Abraham della Società dei Cappuccini.

Altra situazione dove si sperimenta una violenza jiahdista fortissima è il Burkina Faso, Paese tra l’altro incaricato di scrivere i testi per la Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani 2024. E sono sotto attacco jihadista anche il Mali e parte del Mozambico, altro Paese visitato da Papa Francesco., nonché la Nigeria, ormai tristemente nota per l’odio anticristiano che vi protrae da più di un decennio.

Quasi sicura una menzione del Papa sulla situazione dei Rohingya in Myanmar.

FOCUS EUROPA

Gallagher a San Marino, per l’insediamento dei capitani reggenti

L’1 aprile, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, è stato oratore alla cerimonia di insediamento dei nuovi capitani reggenti di San Marino.

Nel suo intervento, il “ministro degli Esteri” vaticano ha citato l’esempio di San Marino, fondatore della più antica repubblica di Europa che sempre si adoperò per i più deboli e per il bene comune.

San Marino è governata da due capitani reggenti, eletti ogni sei mesi. E questa collegialità, ha notato l’arcivescovo, è “l’essenza della democrazia,  specialmente in un tempo in cui crescono le polarizzazioni e il dibattito politico è improntato piuttosto allo scontro di opposte visioni ideologiche”.

San Marino, ha notato Gallagher, ha una “lunga tradizione di accoglienza e ospitalità”, ma anche di libertà, considerando che San Marino disse in punto di morte: “Vi lascio liberi dal potere umano”.

L’arcivescovo Gallagher ha notato che “sotto la bandiera della libertà sono state compiute non poche violenze nella storia”, e ancora oggi regna “molta confusione” sul termine di libertà, “al punto tale che esso non di rado è frainteso con l’idea di poter fare ciò che si vuole”, cosa che “diventa facilmente l’anticamera dell’anarchia”.

Tuttavia, la bandiera di San Marino, con il suo richiamo al cielo, “indica un’idea diversa di libertà, che attinge proprio alla vita del vostro Fondatore, il quale era un uomo libero perché la sua vita era legata a Dio”.

La libertà di San Marino era legata alla trascendenza, all’idea, contenuta nel Vangelo di Giovani, che “la verità vi farà liberi”. Questo porta dunque a dover operare secondo “il principio della sana laicità”, che “non può disgiungere la doverosa autonomia di cui gode l’ordinamento civile dalla bussola morale che è iscritta nella natura umana e che, nella tradizione cristiana, attinge alla rivelazione evangelica”.

Infine, l’arcivescovo Gallagher ha parlato dell’importanza del multilteralismo, ricordando che questo “esige il rispetto reciproco di ogni comunità politica nei confronti dell’altra», in spirito di verità, giustizia, solidarietà operante, libertà”.

                                               Guerra in Ucraina, le parole del nunzio Kulbokas

L’arcivescovo Visvaldas Kulbos, nunzio in Ucraina, si è collegato la scorsa settimana con la chiesa cattolica latina di San Giuseppe di Mykolaiv, dove 150 volontari della carovana della pace sono arrivati e hanno celebrato la Messa nella Domenica delle Palme, il 2 aprile.

(La storia continua sotto)

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Il nunzio ha detto di avere piacere che il collegamento avvenisse in una chiesa perché convinto “che questa guerra è così difficile da risolvere che solo un miracolo può aiutare”, e ha parlato della difficile ricerca della pace, perché “se siamo arrivati a questo punto significa che la situazione è molto seria. Vuol dire che non abbiamo reagito alla minaccia delle armi negli anni passati, significa che non abbiamo reagito agli autoritarismi, alla distruzione dell’azione delle Nazioni Unite e a tutti gli strumenti della legalità internazionale”.

L’arcivescovo Kulbokas ha poi spiegato di essere in contatto con i famigliari dei prigionieri, sa che in molti stanno soffrendo, e lodato la carovana della pace perché la sua presenza “cerca di smuovere le coscienze”. Infine, ha detto che in Ucraina c’è “un grande desiderio” per la venuta del Papa, ma che “la decisione spetta a lui. La nostra arma è la preghiera non solo di parole ma dei cuori”.

                                                           FOCUS TERRASANTA

Gallagher e il ministro degli Esteri di Giordania a colloqui

Lo scorso 1 aprile, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha avuto una conversazione telefonica con il suo omologo giordano Ayman Safadi.

I due ministri degli Esteri hanno ribadito il loro impegno per sviluppare le relazioni giordano-vaticane e migliorare la cooperazione nel mantenere la sicurezza regionale e la pace.

Secondo un comunicato di Amman, i due hanno sottolineato “il solido legame” tra Giordania e Santa Sede e hanno fatto appello affinché si trovi una prospettiva reale per raggiungere una pace equa in Terrasanta. Questa pace deve essere accettata dalla comunità internazionale e basata sulla soluzione dei due Stati. Un comunicato del ministero degli Esteri giordano ha messo in luce anche l’importanza della posizione vaticana in favore della soluzione dei due Stati.

Safadi ha anche messo in luce gli sforzi del regno giordano, come custode dei Luoghi Santi, di “salvaguardare la città santa di Gerusalemme, preservando lo status quo e proteggendo l’identità araba”.

Terrasanta, il re di Giordania supporta i palestinesi

Re Adbullah di Giordania la scorsa domenica ha riaffermato supporto per il popolo palestinese e Gerusalemme durante un incontro che si è tenuto al palazzo Al Husseinya, cui ha partecipato il presidente palestinese Mahmoud Abbas (meglio conosciuto con il nome di battaglia Abu Mazen) e un numero di figure cristiane e musulmane provenienti da Gerusalemme.

Secondo il re di Giordania, è dovere di ogni musulmano contrastare l’escalation di Israele contro i luoghi santi cristiani e musulmani a Gerusalemme, e ha chiesto alla comunità internazionale di prendere posizione contro le affermazioni “esclusiviste e razziste” fatte da alcuni ufficiali israeliani.

Re Adbullah ha ribadito il suo impegno a mantenere la Custodia Hashemita dei Luoghi Santi, e fatto riferimento al Patto del Califfo Islamico Omar Bin Al Khattab, che ha preservato i luoghi santi a Gerusalemme per oltre 1400 anni.

Il re ha inoltre affermato che l’impegno a migliorare le condizioni umanitarie dei palestinesi non allenta il loro diritto ad uno Stato indipendente, e chiesto di fermare la ricollocazione dei cristiani, così come i ripetuti attacchi dei cristiani.

Da parte sua, Mahmoud Abbas ha sottolineato che l’incontro “riafferma i legami di fratellanza” tra giordani e palestinesi, ha lodato la Custodia Hashemita dei Luoghi Santi, ha rimarcato che i palestinesi continueranno la loro resistenza.

Il Patriarca Greco Ortodosso di Gerusalemme Teofilo III ha invece messo in guardia “dagli attacchi senza precedenti sulla presenza cristiana da gruppi radicali israeliani”.

Il vicario generale e vicario patriarca di Gerusalemme e Palestina William Shomali ha invece ricordato che Gerusalemme “ancora affronta violenza e instabilità sotto occupazione, così come tentativi di mettere in dubbio la narrativa araba palestinese.

                                               FOCUS AMERICA LATINA

Cile, il presidente della Repubblica dà un riconoscimento alle organizzazioni ecclesiali per la difesa dei diritti umani durante la dittatura

Gabriel Boric Font, presidente della Repubblica Cilena, ha ringraziato le organizzazioni ecclesiali cilene per il loro lavoro in difesa dei diritti umani durante la dittatura in una cerimonia che si è tenuta lo scorso 2 aprile.

Durante l’incontro, cui hanno partecipato un migliaio di persone, è stato riconosciuto il lavoro di Javier Egaña (che è stato segretario esecutivo della Vicaria della Solidarietà e poi Ambasciatore del Cile in Vaticano), del sacerdote Esteban Gumucio, e di cinque organizzazioni: la Vicaria della Solidarietà, il Comitato per la Pace (COPACHI), il Comitato Nazionale per l'Aiuto ai Rifugiati, la Fondazione per l'Assistenza Sociale delle Chiese Cristiane (FASIC) e il Servizio Pace e Giustizia (Serpaj).

Queste organizzazioni sono state fondamentali, durante la dittatura cilena, nel rendere visibile le persecuzioni, le violenze politiche e le violazioni dei diritti dei cileni durante la loro dittatura militare, e sono state premiate con la consegna di alberi autoctoni.

Nel ringraziare queste organizzazioni, il presidente Boric ha detto di non poter “fare a meno di pensare che 50 anni dopo il colpo di stato, abbiamo ancora detenuti scomparsi in Cile", e ha affermato che “proprio come ieri, quando i difensori dei diritti umani hanno combattuto instancabilmente per la democrazia, oggi spetta a noi continuare questo compito fondamentale e permanente di costruire una cultura che ci permetta di guardare al futuro con speranza".
Secondo le informazioni diffuse dalla Conferenza Episcopale Cilena, durante l’incontro è stata eseguita la "Cantata de los Derechos Humanos, Caín y Abel", opera scritta dal sacerdote dei Sacri Cuori, Esteban Gumucio, morto nel 2001, per il quale è in corso la causa di canonizzazione, con la musica composta da Alejandro Guarello e dal Gruppo Ortiga, che l'ha anche eseguita alla sua prima. Gumucio e Guarello furono convocati dall'allora Arcivescovo di Santiago, il Cardinale Raúl Silva Henríquez, per eseguirla come atto culturale all'inaugurazione del Simposio internazionale sui diritti umani, il 25 novembre 1978, nella Cattedrale di Santiago, davanti a leader sociali e politici, ambasciatori e comunità cristiane, nel pieno della dittatura militare.
Appello del vescovo di El Salvador al governo per sostenere le famiglie dei migranti morti a Ciudad Juarez

L’arcivesocvo José Luis Escobar Alas, arcivescovo di El Salvador, si è appellato al governo perché destini immediatamente le risorse necessarie alle famiglie dei 7 migranti salvaodregni morti insieme ad altri 31 migranti lo scorso 27 marzo in un centro di accoglienza a Ciudad Juarez. Oltre che dal Salvaodor, i migranti venivano da Colombia, Ecuador, Guatemala, Honduras e Venezuela.

L’arcivescovo ha chiesto di rimpatriare i corpi nel più breve tempo possibile, e di aiutare i fratelli e famiglie povere, perché “proprio per questo stanno migrando”, cioè per la povertà, denunciando anche come il governo non abbia preso le iniziative necessarie per ridurre la migrazione illegale.

Sì, ha ammesso, si è dato un freno alla violenza, ma ora è importante affrontare la questione economica.

Nella conferenza stampa, l’arcivescovo Escobar ha parlato anche della proposta di ridurre il numero di deputati e dei municipi, mostrandosi più favorevole alla prima e meno della seconda.

Infine, l’arcivescovo ha sostenuto che i governanti devono guardare al bene comune del popolo e non portare in carcere persone innocenti.

                                                           FOCUS AFRICA

Uganda, la reazione dei vescovi alla legge anti-omosessualità

Non c’è ancora una posizione della Chiesa sulla Legge Anti Omosessualità promulgata dal Parlamento ugandese il 21 marzo. La legge è ancora in attesa della firma del presidente Yoweri Kaguta Museveni perché questo diventi effettivo.

L’arcivescovo Paul Ssemogerere di Kampala ha detto lo scorso 29 marzo che la Conferenza Episcopale di Uganda deve incontrarsi per discutere della legge, e che comunque “il male e il peccato non possono essere condonati”.

Secondo l’arcivescovo di Kampala, ci si deve concentrare nel combattere il peccato più che il peccatore.

La legge ha attratto il supporto di 389 membri del Parlamento di Uganda. Ci sono varie pressioni internazionali perché il presidente rifiuti la legge.                                                        

FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a New York, la questione dell’invecchiamento

Il 3 aprile, si è tenuta alle Nazioni Unite di New York la 13esima sessione del Gruppo Aperto sull’invecchiamento.

L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha sottolineato in un intervento che le persone hanno “eguale dignità in ogni fase della vita, fino alla morte naturale”, e per questo ogni società che supporta le persone più anziane e cerca di includerle pienamente dovrebbe lavorare sulle proprie leggi per creare una protezione sociale più accessibile e sostenibile, assistenza domiciliare e sanità di qualità.

La Santa Sede chiede anche politiche che supportino il benessere della famiglia, perché “la famiglia è il supporto primario per i nonni e i membri della famiglia più anziani.

Secondo la Santa Sede, eutanasia o suicidio assistito sono “la forma ultima dell’esclusione sociale e una perversione della professione medica”, mentre la società dovrebbe fornire un “accompagnamento compassionevole” per le persone anziane.

La Santa Sede a New York, la questione del disarmo

Il 4 aprile, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha avuto uno scambio di vedute generali nella commissione disarmo.

La Santa Sede ha notato che la prossima settimana sarà il 60esimo anniversario dell’Enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, pubblicata appena dopo la crisi dei missili a Cuba, e ha notato che la rilevanza dell’enciclica è ancora attuale, considerando la guerra in Ucraina.

La Santa Sede ha chiesto a tutti gli Stati di universi al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari. Inoltre, la Santa Sede ha auspicato che si affronti anche misure di trasparenza per quanto riguarda l’utilizzo dello spazio per armamenti di diverso tipo.

La Santa Sede a New York, la questione delle armi nucleari

Nell’ambito della Commissione Disarmo delle Nazioni Unite, il 5 aprile si è discusso in particolare di disarmo nucleare. L’arcivescovo Caccia ha enfatizzato che l’attuale pericolo nucleare obbliga gli Stati a impegnarsi nel dialogo riguardo i principi che possano far raggiungere l’obiettivo di un mondo libero da armi nucleari.

La Santa Sede ha anche espresso rincrescimento che gli Stati parte del trattato START (l’accordo per limitare le armi nucleari siglato nel 1991 da Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica) abbiano deciso di lasciare andare lo scambio di dati semestrale, e ha chiesto a tutti gli Stati in possesso del maggior numero di armi nucleari di impegnarsi in un dialogo in buon fede sulla trasparenza riguardante i propri arsenali nucleari.

La Santa Sede a New York, la questione delle armi nello spazio

Si è parlato anche di armi nello spazio, in una sessione della Commissione Disarmo delle Nazioni Unite che si è tenuta il 5 aprile. L’arcivescovo Caccia ha chiesto misure di trasparenza e di costruzione di confidenza per aiutare a facilitare la fiducia e assicurare l’uso pacifico dello spazio.

La posizione della Santa Sede è che ciascuno Stato ha la responsabilità di salvaguardare la natura pacifica dello spazio, e che le politiche nazionali sullo spazio dovrebbero essere guidate dalla cooperazione, più che dal confronto.

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